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l’immenso disgusto del re nel vederla precipitata nel labirinto di sciagurate opinioni, dalle quali se la sapesse ravveduta, ne proverebbe tanta allegrezza, quanta se la vedesse resuscitata da morte. Ove le rimostranze non bastassero, doveva obbligarla ad assistere con tutta la casa sua a sermoni di controversia; quando non ne profittasse, intimarle essere volontà del re che il duca la facesse riporre in luogo appartato, ove non potesse corrompere altri, staccata sin dalla famiglia, mentre si sottoporrebbero a processo e condanna quelli che fossero sospetti di false dottrine.

Così fu fatto, e il marito per alcun tempo tenne chiusi la Renata e ventiquattro de’ suoi nel castello di Consandolo, distante un 30 chilometri da Ferrara: ma quivi e alla vicina Argenta essi diffusero le loro dottrine. Il duca alternava rigori e perdoni senza frutto, or mettendola nel palazzo di San Francesco, or nelle stanze della reggia

    signori e principi! Il Signore vi dia fede, e vi avanzi nella sua cognizione, giacchè di continuo dobbiamo pregare di crescere nella fede».
    A soli ventinove anni ella morì, e ad Eidelberga fu scritto sul suo sepolcro:
    — A Dio immortale e alla virtù e memoria di Olimpia figlia di Fulvio Morato, uom dottissimo, carissima moglie del medico Andrea Grunthero, il cui ingegno e la singolar cognizione delle due lingue, e la probità de’ costumi, e il sommo studio della pietà, sopra il comun modo furono stimati. Il qual giudizio umano della vita sua la beata morte, subíta santamente e pacatamente, confermò col testimonio divino. Morì in suolo straniero l’anno 1555 della salute; dell’età sua XXIX. Qui fu sepolta col marito e col fratello Emilio».
    Celio Calcagnini ne pianse in versi la morte. Sulla casa ch’era stata sua, l’accademia di Eidelberga fece scrivere:

    Vilis et exilis domus hæc quamvis, habitatrix
    Clara tamen claram reddidit ac celebrem.

    Delle opere sue una parte perì nell’incendio di Schweinfurt, tra cui osservazioni sopra Omero e dialoghi greci e latini. Le altre che, oltre quarantotto lettere, sono tre discorsi sui paradossi di Cicerone, dialoghi, orazioni latine e poesie greche, vennero raccolte da Celio Curione, e stampate a Basilea nel 1558: subito esaurite, ristamparonsi nel 1562, poi di nuovo nel 1570 e nel 1580 con aggiunte e col titolo, Olimpiæ Moratæ fæminæ doctissimæ ac piane divinæ opera omnia quæ hactenus inveniri potuerunt cum eruditorum testimoniis et laudibus: Quibus Cœlii Secondi selectæ epistolæ et orationes accesserunt. Il Curione, dedicando alla regina Elisabetta le opere della Morata «mulieris pietate ac literis clarissimæ monumenta, a me tamquam ejus ingenii reliquias, cui illa moriens commendavit et legavit collectas», dice «Hujus quanta fuerit eruditio; quantum, quam ardens veræ religionis studium; quanta in malis adversisque rebus, quæ multa perpessa est, patientia: quanta constantia ex his libris majestas tua facile judicabit».