Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo XXVIII

Capo XXVIII

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Procopio di Cesarea - La guerra vandalica (VI secolo)
Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
Capo XXVIII
Libro secondo - Capo XXVII
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CAPO XXVIII.

Uccisione di Gontari in un convito. — Artabano governatore dell’Africa. — Giovanni successore di lui; sue felici gesta.


I. Il tiranno stabilita l’epoca della partenza bramò nel dì precedente avere suoi commensali i tenuti da lui più sinceri e zelanti amici, al qual uopo disposte tre mense in acconcio luogo, sedè egli nella prima, come dicevol era, con Atanasio ed Artabano, col trace Pietro, già lancia di Salomone, e con quanti aveavi di sua maggiore intrinsichezza; nelle altre due vedevi i ragguardevolissimi, per natali, grado e valore, de’ Vandali. Pasifilo ad un tempo dividea privatamente la sua tavola con Giovanni capo dei ribelli di Stoza, e con molti altri favoreggiatori di Gontari. Artabano adunque ricevendone l’invito ebbelo un’assai opportuna congiuntura per torre di mezzo il tiranno, ma non fece partecipi del pensier suo che Gregorio, Artasiro e tre cavalieri, ai quali impose di assistere al convito (portando la consuetudine che i capitani seduti al desco avessero dalle spalle cavalieri in piè cinti di spada), e di por mano al primo cenno di Artasiro, giunta l’ora propizia, all’impresa. Ordinò similmente a Gregorio di ragunare i più valorosi Armeni colle spade al fianco, vietata essendo altr’arme nella città scortando i duci e pur questa [p. 495 modifica]deponendosi nel vestibolo del palazzo ov’entrerebbe con essi; fu ben guardingo però dall’indurli in sospetto di cosa veruna, solo mostrandosi timoroso non Gontari avendo commensale Artabano tramassegli insidie nella vita. Il perchè e’ terrebbonsi presso alle guardie del tiranno per ispiarne gli andamenti, ed all’uopo frenarle: dovevano eziandio intanto far sembiante di trastullarsi co’ proprj scudi, maneggiandoli, percuotendoli a vicenda, e adoperandoli in altro che di simile, ma al primo sentore di tumulto nel cenacolo pronti accorreranvi ad aiutarlo; e questi ordini furono da Gregorio diligentemente eseguiti. Artasiro dall’altro canto si pose all’intorno del sinistro braccio tra il nudo e la veste e nella direzione del polso al cubito alcune addoppiate frecce, in grazia delle quali assalito da spada col portarlo avanti così fortificato potesse, riparando i colpi, serbare la persona dalle ferite: quindi voltosi ad Artabano: «Io m’accingerò, dissegli, con prontezza e intrepidamente all’opra? e con quest’arme ho speranza di trafiggere Gontari; tuttavolta qual sia per essere la riuscita del mio cimento nol so presagire. Certo che il Nume se odia la tirannide condurrallo a buon fine; se poi vuole punirmi di qualche antico fallo avrà mezzo a fe mia di rendere vani i nostri sforzi. Che che però succeda, ove tu oggi non vegga ridotto a morte il tiranno, ratto mi finirai collo stesso mio ferro, acciocchè io non abbia a sofferire danno peggiore, e a farmi, appalesandoti complice del mio reato, involontaria cagione di tua rovina». Sì detto entrò con Gregorio e con altro de’ cavalieri nel [p. 496 modifica]cenacolo, e stettesi dalle spalle di Artabano; i rimanenti al di fuori presero a compiere gli ordini avuti. Artasiro adunque all’incominciar del banchetto, desiderando levarsi quanto prima d’impaccio, avea portato la mano sull’elsa per imprendere, ma Gregorio accortosene persuaselo in lingua armena ad attendere il momento in che il tiranno fosse de’ cibi e del liquore innebriato. E quegli nel medesimo linguaggio risposegli: «Perchè, o amico, perchè rattemperare l’animo mio sì ben disposto?» Proseguendosi intanto i piaceri della mensa, Gontari sopraffatto già da ebbrezza diede per certa sua vanagloria di quelle imbandigioni alle guardie, che tutte, meno Uliteo e due cavalieri, usciron di là per gustarne, ed insiem cogli altri e all’uopo stesso anche Artasiro partì. Or questi prima di tornarvi nudò il ferro, paventando non qualche ostacolo impedissegli di sguainarlo prontamente, e poselo sotto la vesta: rivenuto quindi là entro andava a Gontari in sembiante di volergli fidare alcun segreto. Artabano aocchiollo, e forte agitato dallo sdegno contro il tiranno e dalla incertezza della felice riuscita di quella trama, squassava il capo e colorava il suo volto in mille guise, a tal che ognuno avrebbe potuto di leggieri comprendere quanta ravvolgevaglisi nella mente; come ben lo conobbe Pietro sedutogli a lato, che però si tacque approvando entro sè quella bisogna, la mercè della molta sua benevolenza all’imperatore. Accostatosi Artasiro a Gontari tale de’ servi cercò ributtarlo indietro, e vistogli in quel mezzo alcun poco l’ignudo acciaro forte gridò: «A che, brav’uomo, [p. 497 modifica]cosiffatto arnese»? Alla qual voce il tiranno di subito portò la mano, su cui riposava da prima l’orecchia destra, alla sommità del capo, moto quasi diremmo inspiratogli dall’alto per manifestare all’insidiatore il luogo ch’e’ dovea trafiggere. Costui pertanto dirizzatovi il colpo fecegli balzare in terra insiem colle dita parte del cervello. Pietro allora nel trambusto esortò con sonora voce Artasiro a non indugiare nel condurre a fine la impresa: quando poi Gontari così malconcio fe prova di levarsi in piedi, Artabano, sedutogli a lato, strinse la sua larghissima spada, e conficcògliela sino all’elsa nel fianco destro, tal che vennegli di botto meno la vita; Uliteo al punto stesso tirò un colpo di spada ad Artasiro, ma costui, schermitolo coll’armato braccio, rimeritò l’assalitore con una pronta morte. Oltre di che Pietro ed Artabano dato di piglio alle spade, questi del tiranno e quegli d’Uliteo, uccidono i cavalieri ivi raccolti; similmente gli Armeni ad un tanto scompiglio introdottisi nel cenacolo taglianvi a pezzi, secondo gli ordini avuti, i Vandali e gli amici di Gontari. Le truppe infine all’annunzio della costui morte, avendo il più di esse militato sotto Areobindo, corsero in copia a dichiararsi per gli Armeni, e tutte da ultimo riconosciuto Giustiniano signor loro, acclamaronlo Callinico, ovvero sia, con romano termine, vincitore; la qual voce rimbombando nella città mosse i benevoli di lui a far impeto ad un’ora contro i ribelli ed a spegnerli entro le proprie case, ove sorprendevano gli uni abbandonati al sonno, gli altri seduti a mensa, e non pochi [p. 498 modifica]fuori di sè per lo spavento; Pasifilo eziandio giuntòvvi in quel parapiglia la vita. Giovanni con pochi Vandali riparò dapprima nel tempio, ma arrendutisi ben presto ad Artabano sotto la fede vennero spediti a Bizanzio. Così Giustiniano, volgendo l’anno decimonono del suo imperio, ed il trentesimo sesto giorno della tirannide di Gontari, tornò repentinamente al possesso di quella regione1.

II. Somma fu la gloria di Artabano per sì nobili geste, ed ebbene da Proietta, donna di Areobindo, molte ricchezze in dono. L’imperatore inoltre il guiderdonò colla prefettura di tutta l’Africa; se non che ben presto richiamollo ad istanza di lui medesimo in Bizanzio, e diedegli a successore Giovanni fratello di Pappo.

III. Il nuovo prefetto senza indugio passato in Africa null’ebbe tanto a cuore quanto il combattere Antala ed i Maurusii della Bizacene, e secondato nella guerra da prospera fortuna vennegli fatto di ricuperare all’imperio le insegne prese dai barbari micidiali di Salomone, e di cacciare tutte quelle genti al di là delle romane frontiere. Quindi però a non molto tempo i Maurusii Leucati2 unitisi con forte esercito ad Antala vennero dal suolo tripolitano a soccorrere la Bizacene, e Giovanni mosse a combatterli, ma vinto riparò co’ suoi a Laribo, lasciando al nemico libero il campo di estendere le sue rapine sino a Cartagine e di portare ovunque metteva il piede stragi e desolazione formisura. [p. 499 modifica]Ma non guari dopo il prefetto, rinforzato meglio che potè l’esercito e stretta lega co’ Maurusii capitanati da Cutzina, tornò ad affrontare l’oste nemica, e parte ne uccise, parte ne sospinse nelle ultime terre di quelle regione. E così le genti africane ridotte a picciol numero per le disgrazie della guerra poterono alla fine, avvegnachè ben tardi, goder pace. Di questo modo in Africa passarono le gesta de’ Romani, dalle quali or volgomi a narrare le guerre loro contro de’ Goti.





Fine del Tomo primo delle Guerre.

Note

  1. Anno dell’era volgare 545.
  2. Les Lébantins (Cous.)