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LIBRO SECONDO 495

ponendosi nel vestibolo del palazzo ov’entrerebbe con essi; fu ben guardingo però dall’indurli in sospetto di cosa veruna, solo mostrandosi timoroso non Gontari avendo commensale Artabano tramassegli insidie nella vita. Il perchè e’ terrebbonsi presso alle guardie del tiranno per ispiarne gli andamenti, ed all’uopo frenarle: dovevano eziandio intanto far sembiante di trastullarsi co’ proprj scudi, maneggiandoli, percuotendoli a vicenda, e adoperandoli in altro che di simile, ma al primo sentore di tumulto nel cenacolo pronti accorreranvi ad aiutarlo; e questi ordini furono da Gregorio diligentemente eseguiti. Artasiro dall’altro canto si pose all’intorno del sinistro braccio tra il nudo e la veste e nella direzione del polso al cubito alcune addoppiate frecce, in grazia delle quali assalito da spada col portarlo avanti così fortificato potesse, riparando i colpi, serbare la persona dalle ferite: quindi voltosi ad Artabano: «Io m’accingerò, dissegli, con prontezza e intrepidamente all’opra? e con quest’arme ho speranza di trafiggere Gontari; tuttavolta qual sia per essere la riuscita del mio cimento nol so presagire. Certo che il Nume se odia la tirannide condurrallo a buon fine; se poi vuole punirmi di qualche antico fallo avrà mezzo a fe mia di rendere vani i nostri sforzi. Che che però succeda, ove tu oggi non vegga ridotto a morte il tiranno, ratto mi finirai collo stesso mio ferro, acciocchè io non abbia a sofferire danno peggiore, e a farmi, appalesandoti complice del mio reato, involontaria cagione di tua rovina». Sì detto entrò con Gregorio e con altro de’ cavalieri nel ce-