Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo II.djvu/522

496 GUERRE VANDALICHE

nacolo, e stettesi dalle spalle di Artabano; i rimanenti al di fuori presero a compiere gli ordini avuti. Artasiro adunque all’incominciar del banchetto, desiderando levarsi quanto prima d’impaccio, avea portato la mano sull’elsa per imprendere, ma Gregorio accortosene persuaselo in lingua armena ad attendere il momento in che il tiranno fosse de’ cibi e del liquore innebriato. E quegli nel medesimo linguaggio risposegli: «Perchè, o amico, perchè rattemperare l’animo mio sì ben disposto?» Proseguendosi intanto i piaceri della mensa, Gontari sopraffatto già da ebbrezza diede per certa sua vanagloria di quelle imbandigioni alle guardie, che tutte, meno Uliteo e due cavalieri, usciron di là per gustarne, ed insiem cogli altri e all’uopo stesso anche Artasiro partì. Or questi prima di tornarvi nudò il ferro, paventando non qualche ostacolo impedissegli di sguainarlo prontamente, e poselo sotto la vesta: rivenuto quindi là entro andava a Gontari in sembiante di volergli fidare alcun segreto. Artabano aocchiollo, e forte agitato dallo sdegno contro il tiranno e dalla incertezza della felice riuscita di quella trama, squassava il capo e colorava il suo volto in mille guise, a tal che ognuno avrebbe potuto di leggieri comprendere quanta ravvolgevaglisi nella mente; come ben lo conobbe Pietro sedutogli a lato, che però si tacque approvando entro sè quella bisogna, la mercè della molta sua benevolenza all’imperatore. Accostatosi Artasiro a Gontari tale de’ servi cercò ributtarlo indietro, e vistogli in quel mezzo alcun poco l’ignudo acciaro forte gridò: «A che, brav’uomo,