Istoria delle guerre vandaliche/Libro primo/Capo VI
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CAPO VI.
I. A tanta arroganza de’ Vandali sdegnatosi altamente l’imperatore bizantino deliberò guerreggiarli da terra con un esercito forte, giusta il grido comune, di cento mila combattenti, e da mare con immenso navilio congregato da tutto l’oriente; si profuse inoltre molto danaro ad arredare marinai e soldati, in causa della grande lontananza de’ barbari contro cui eran diretti, non essendo costati meno di trecento aurei gli apprestamenti di quella spedizione; ed, a soqquadrare il tutto, ne fu dato per mala ventura il comando a Basilisco, fratello dell’imperatrice Verina, personaggio non meno avidissimo dell’imperio che certo di ottenerlo perseverando nell’amicizia d’Aspare, il quale sendo zelantissimo sostenitore delle ariane dottrine potea inalzare altrui ma non se stesso al trono. Egli pertanto, mostrandosi già palesemente avverso a Leone1 in vendetta di qualche torto ricevutone, e forse allora mosso da tema non costui riuscendo vittorioso nelle armi addivenisse di soverchio potente, suggerì con segretezza a Basilisco di favorire i nemici.
II. Leone aveva dapprima inviato Antemio, senatore di nobilissimo legnaggio ed assai dovizioso, a reggere l’imperio d’occidente col patto di averne aiuto nella guerra vandalica2. Se non che Gizerico domandato avendo quel diadema a pro di Olibrio suo affine per parte di Placidia figliuola di Valentiniano, al vedersi uscito di speranza incollerì e prese a travagliare l’imperio dall’uno all’altro confine.
III. Eravi di quel tempo in Dalmazia un Marcelliano, personaggio assai probo, il quale dopo la uccisione del suo amico Aezio aveva scosso il giogo romano, e provveduto in guisa alla conservazione dell’usurpato dominio che nessuno più ardiva contrastargliene. L’imperatore adunque volendo trarre profitto anche da lui nell’assalire i barbari, il carezzò cotanto che indusselo a mover contro la Sardegna per discacciarne gli usurpatori, come di leggieri e prestamente egli face. Eraclio inoltre venuto con armata navale da Bizanzio all’africana Tripoli3 vi sconfisse i Vandali, e lasciate le navi marciò per terra colle truppe verso Cartagine; così ebbe principio quella guerra.
IV. Tra questo mezzo Basilisco approdò con tutto il suo navilio ad una cittadetta soli dugento ottanta stadj lontana da Cartagine, ed Ermea nomata da un tempio ab antico erettovi a questo nume4. Ora se il duce, in cambio di temporeggiare, fosse di lancio andato contro la metropoli avrebbene per certo espugnate le mura e ridotto i barbari in servitù, essendosi Gizerico, all’udire la perdita della Sardegna e di Tripoli ed al mirare la formidabile armata navale de’ Romani, lasciato sorprendere da grave spavento di Leone imperatore, giudicandolo principe invittissimo e di una insuperabile potenza; ma il lento procedere e la pigrizia del romano duce, o se pur vuoi il suo tradimento fe perdere la opportunità di sì grande vittoria. Imperciocchè il barbaro vedutane la trascuraggine subitamente arma tutto il suo popolo e ne riempie le navi maggiori; fatta quindi approntare quantità di barche vuote, destinate pur queste a tener dietro le prime, spedisce al nemico per averne soli cinque giorni di tregua, nel correre dei quali risolverebbe se obbedir debba a Leone e venire agli accordi seco; taluni però vorrebbero che inviasse a mercatare questa dilazione ed a cattivarsi con molto danaro la soldatesca romana: il suo desiderio poi d’indugiare la pugna fondava sulla speranza di veder sorgere nel chiesto intervallo un propizio vento. Basilisco adunque sia per secondare i voti di Aspare, sia compro dal barbaro, sia anche per sua intima persuasione di ben fare vi acconsentì, rimanendosi tranquillo nel campo ad attendere l’occasion favorevole ai nemici.
V. Così i Vandali al soffiare di propizio vento navigarono alla volta degli assalitori, e fattisi loro dappresso metton fuoco alle vuote fuste avvisatamente condotte, e spingonle contro dei vascelli romani, i quali per essere molti di numero soggiacquero a gravissimo danno. Allo sparpagliarsi inoltre delle fiamme tra questi, tutto fu disordine, grida e sbigottimento, mirando ognuno a campare da quel terribile incendio; ma i barbari parandosi loro innanzi non cessano di ferire, d’imprigionare, e di sommergere nelle onde chiunque ha cuor di resistere, o tenta salvarsi con disperata fuga.
VI. Non mancaronvi tuttavia parecchi esempi dell’antico valor romano, ed, a ridirne alcuno, abbia qui onorevole menzione Giovanni vicegerente di Basilisco, il quale vedendo il suo vascello attorniato dai barbari ne sostiene coraggiosamente l’impeto, e ridotto agli estremi, anzichè incorrere nelle mani loro, gettasi armato in mare. Terminata siffattamente la guerra Eraclio ripatriò, Marcellino ebbe morte da un perfido, e Basilisco rifuggi in Bizanzio entro la chiesa del divin Salvatore, o, con altro nome, di S. Sofia, e quindi ai prieghi dell’imperatrice Verina ottenne grazia, ma non potè di subito ascendere in trono, come fortemente desiderava, avendo Leone tolto di mezzo Aspare ed Ardaburio, insospettitosi ch’e’ tendessero insidie alla sua vita5.
Note
- ↑ Il quale avea ottenuto per opera sua l’imperio (V. Candido Isaurio).
- ↑ Anni dell’era volgare 466, e 10 dell’imperio di Leone. «Leone dichiarò Augusto Antemio, e lo mandò a difendere lo imperio d’Italia, restato, per la morte di Severo ucciso dai soldati, senza imperadore, il quale non potè mai venire in Italia, se non l’anno 468 di Cristo, essendo stato impedito da’ barbari, che la depredavano». (Bardi).
- ↑ Non meno di cinque Tripoli rinveniamo nelle Opere dei Geografi e sono: 1.° Tripoli nella Fenicia; 2.° Tripoli d’Africa, alla spiaggia del Mediterraneo; 3.° Tripoli di Barberia; 4.° Tripoli di Lidia; 5.° Tripoli di Tessaglia. Del primo Diodoro scrivea: «È in Fenicia celebre la città di Tripoli, che conveniente alla natura sua ha la denominazione; perciocchè tre città in essa contengonsi discoste l’una dall’altra per l’intervallo d’uno stadio. Una chiamasi degli Aradii, una de’ Sidonii, la terza dei Tirii» (lib. xvi). Del secondo, ch’è pur quello citato qui da Procopio, Solino, scrittore non antichissimo, fu il primo a trasmettercene qualche notizia; vuolsi però avvertire ch’egli si vale di questo nome per indicare una intiera provincia, su cui ergevansi tre città: Achaei, scriv’egli, Tripolin lingua sua signant de trium urbium numero Ocae, Sabratae, Leptis magnae. Ed Isidoro ripetendo la cosa medesima sostituì di più tripolitana regione alla voce Tripoli; della quale sentenza furono eziandio Sesto Rufo, il cosmografo Aetico e Giulio Onorio. Nè tampoco sembrerebbe fuor di proposito il congetturare che il Nostro parimente siasi qui proposto di riferire tal nome a regione, mentovando nel seguito delle presenti Guerre (lib. ii, cap. 21) il governatore (Sergio) mandatovi da Giustiniano, e negli Edifizj (lib. vi, cap. 3) i confini. Non saprebbesi poi con certezza stabilire quando riportassero quelle terre un tal nome; e’ si pare nondimeno che ciò avvenisse dopo l’epoca di Tolomeo, essendo lui posteriori tutti gli storici che in simigliante guisa la chiamano. Dalla regione in processo di tempo il nome passò, non potendosene determinare il quando, a una delle sue principali città, forse Sabrata o Oea, l’una delle quali ridotta poscia a borgata, Tripoli vecchia, colle sue rovine accrebbe la potenza dell’altra, che principiò corseggiando a molestare i cristiani.
- ↑ Mercurio.
- ↑ «Ardaburio meditando insidie contro l’imperatore, procurò di trarre al suo partito gl’Isaurii, ma un certo di nome Martino, famigliare di Artaburio, manifestò la trama a Tarasicodisa; di modo che, aumentandosi ognora più da amendue le parti i sospetti, l’imperatore privò di vita Aspare, ed i suoi figli Ardaburio e Patrizio Cesare» (Candido Is.)