Istoria delle guerre vandaliche/Libro primo/Capo II
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CAPO II.
I. Sedendo l’imperatore Onorio nell’occidente, i barbari osarono rompere ne’ suoi dominj1; ora chi fossero questi barbari e come il mandassero ad effetto vuol qui narrarsi. Ebbervi e sonvi tuttora diverse specie di Goti, avendo maggioranza tra esse i Goti, così propriamente nomati, i Vandali, i Visigoti ed i Gepidi, costituenti in cumulo gli antichi Sauromati e Melancleni, o se pur vuoi Geti. Ma avvegnachè tra loro differenti nei nomi convengono assaissimo nel resto, essendo tutti bianchi di corpo, di crine biondi, grandi e avvenenti della persona; comuni altresì hanno le leggi, l’ariana fede, e il gotico linguaggio. Io non mi ritraggo dal crederli tutti dello stesso ceppo e dall’attribuirne la varianza de’ nomi alla celebrità de’ loro più valorosi condottieri. Cosiffatta gente abitava un tempo al di là dell’Istro, i Gepidi però, distaccatisi da quei luoghi, vennero di poi ad abitare i dintorni di Singidone e Sirmio2, ed altro suolo contiguo alle due ripe di esso fiume, dove anche presentemente hanno sede.
II. I Visigoti, de’ rimanenti, al primo uscire delle terre loro strinsero lega con Arcadio, ma trascorsi degli anni impugnarono le armi, violatori de’ patti, contro amendue gl’imperii, e messa a saccomanno la Tracia, capitanati da Alarico inondarono Europa3. Onorio stavasi in Roma tutto beato fra le dolcezze della pace al giugnergli la nuova della costoro venuta in Taulanzio4 con formidabile esercito; il perchè abbandonato di fretta quel cielo riparò a Ravenna, fortissima città sulla riva del mar Ionio5. Taluni non di meno supposero che l’imperatore medesimo chiamato avesse i barbari a vendicare la ribellione de’ suoi popoli6; ma l’indole a me nota del principe non consente che vi presti credenza. Quelle masnade non trovando opposizione inferocirono grandemente dappertutto, ed in ispecie nelle città poste a tramontana dell’antedetto golfo, non vedendosene più vestigia da qualche torre o porto all’infuori, e massacrarono vecchi, donne e fanciulli, senza commiserazione di età o sesso; e di vero la costoro mercè va anche oggidi l’Italia cotanto dipopolata. Ma è cosa ben più straordinaria che dopo avere predate immense ricchezze in Europa, rifuggissero, carichi de’ pubblici e de’ privati tesori di Roma, nelle Gallie. Ora esporrò con quale ardimento venisse la città sorpresa.
III. Alarico, speso molto tempo nè bastatogli l’animo di soggiogare colla forza Roma, diedesi a combatterla con l’inganno, scegliendo all’uopo dall’esercito non meno di trecento giovani de’ più valorosi e chiari per nascita, ai quali partecipò che apparentemente destinavali a schiavi de’ più cospicui patrizj del senato romano; eglino però entrati nelle case loro e servitili con sommessione e rispetto, dovevano in tal giorno, che saprebbero in appresso, tenersi pronti, mentre i padroni dopo il pranzo riposavano, ad aprire, morti i custodi, la porta Salara. Fece quindi ambasceria alla città per attestare al senato la sua grande compiacenza mirandolo zelantissimo del proprio monarca, e per assicurarlo che in avvenire e’ goderebbe dal canto suo tranquillità perfetta; ed a maggiormente provargli che era profondo ammiratore di tanta virtù, inviava a ciascun membro di esso uno schiavo: partirono que’ giovani, e poco stante fu divulgato il comando alla soldatesca di strappare in varii luoghi gli steccati. I Romani creduli alle costui parole cominciarono ad allegrarsi senza punto misfidarne; e vie più allontanavano le menti da ogni sospetto nel vedere i nuovi schiavi attentissimi ai servigi loro, parte dell’esercito, svelte le insegne, levare il campo, ed avervi ogni sembianza che tra breve il resto ne imiterebbe l’esempio: arrivato però lo stabilito giorno, e fattosi da Alarico impugnare le armi alla truppa e procedere all’antedetto ingresso, dove appunto era il suo padiglione durante l’assedio, i trecento all’ora determinata furono presti a trucidare la guardia, ad aprire la porta ed a ricevere l’esercito entro le mura. I soldati appena giuntivi misero a fuoco alcune case, e quella tra esse, dello storico Sallustio, rimanendone anche a dì nostri le rovine; ed allorchè ebbero dato il guasto alla città e morte a parecchi Romani partironsi col bottino7.
IV. Corre poi il grido che l’eunuco adetto alla cura degli imperiali volatili fosse il primo a risapere in Ravenna tale saccheggio e che presentatosi ad Onorio, esclamasse; guai a Roma! e questi traudendo colui annunziargli sciagure della sua prediletta gallina, nomata pur ella Roma, compassionandola rispondesse: è solo un momento ch’io davale beccare nella mano; l’altro però accortosi dell’equivoco soggiunse: non del pollo volea io dire, ma del saccheggio sofferto da Roma città, per opera d’Alarico; ed Onorio: temeva sciagura occorsa alla mia bestiuola; parlare da sciocco ed impertinente quale di fatto egli era.
V. V’ha non di meno chi riferisce in modo ben diverso l’entrata d’Alarico in Roma, accagionandone una delle più illustri matrone di nome Proba, la quale forte compassionando i suoi concittadini in causa della fame e d’ogni altro disagio inevitabile negli assedj8, e non vedendo mezzo di salvare la città, addivenuti i barbari già padroni del Tevere e del porto9, esortasse i familiari suoi ad aprire una delle porte urbane.
VI. Alarico prima di abbandonare quelle mura proclamò Attalo10, uomo di cospicuo legnaggio, imperatore dei Romani, accordandogli il diadema, la porpora, ed ogni altro segno del poter supremo, nella mira d’inalzarlo, spogliatone Onorio, al trono d’occidente; dopo di che entrambi si partono coll’esercito dirigendosi contro Ravenna. Attalo però non avea omeri da tanta carica, ed era sordo ai buoni consigli, sino a quelli di Alarico stesso, che dissuadevalo dal mandare in Africa prefetti mal provveduti di truppe.
VII. La Britannia intrattanto ribellatasi dall’imperio dichiarava suo re tal Constantino di non oscura prosapia, il quale approntata una forte armata navale salpò tosto contro la Gallia e la Spagna. Onorio poi quantunque possessore di qualche navilio attendeva nientedimeno l’esito delle vicende africane, perocchè se fossero da colà rispinti i prefetti di Attalo, e’ vi navigherebbe a golfo lanciato per conservarsi quella parte del suo imperio, e se non volesse arridergli la fortuna rifuggirebbe a Teodosio, da gran pezza succeduto al genitore Arcadio nel trono orientale11, per seco deliberare su’ mali presenti.
VIII. Tale pensava nell’animo suo il disgraziato imperatore quando maravigliosissimi avvenimenti cangiarono quel ben tristo apparato di cose. E di vero si compiace il Nume essere aiutatore non già degli astuti o degli orgogliosi, ma di chi, non malvagio, cadde in estremi disastri, come era il caso dell’infelice Onorio. Imperciocchè ad un tratto ferì le sue orecchie la nuova della uccisione dei prefetti mandati da Attalo nell’Africa, ed i suoi occhi la comparsa d’una potente ed improvisa armata di mare speditagli in aiuto da Bizanzio. Alarico da ultimo adiratosi con Attalo per la costui dappocaggine e privatolo dell’imperio, il rinchiuse in carcere; quindi, morto anch’egli di malattia, il successore Ataulfo12 conducendo un esercito di Visigoti nella Gallia vi sconfisse il tiranno Constantino, ed ucciselo con tutta la prole; ma più non riuscì ai Romani di ricuperare la Britannia, essendo questa passata dall’uno all’altro tiranno.
IX. I Goti valicato l’Istro impadronironsi della Pannonia13, e poscia ottennero dall’imperatore di trasferire lor dimora nella Tracia14; ma soggiornatovi ben poco presero a corseggiare le terre dell’imperio occidentale, come diffusamente esporremo scrivendone la istoria.
Note
- ↑ Correndo l’anno 7 del suo imperio, e 401 dell’era volgare.
- ↑ Città della Pannonia inferiore, secondo Tolemeo, e spesso ricordata da Antonino e da Plinio (Ist. Nat., lib. iii). Strabone dice: «Vicino a Segesta sono anche il forte di Siscia e Sirmio posti sulla strada che conduce in Italia» (lib. vii, trad. di F. A.). Menandro Protettore lasciò scritto come ai tempi di Tiberio Anicio, il quale imperò dall’anno 577 dell’era volgare sino al 583, venisse ceduta per capitolazione a Baiano cagano degli Abari. È uopo in fine avvertire che male si legge in Stefano Sirmio de’ Peonj (Παιὁνιων, parte settentrionale della Macedonia) in vece di Sirmio de’ Pannonj (Παννονίων).
- ↑ Anno 15 dell’imperio d’Onorio, e 419 dell’era volgare.
- ↑ Ai moderni Tallandt, città della Macedonia presso a Durazzo e Piergo. Rispetto ai Taulanzj V. Strabone (lib. vii), Tolomeo e Plinio (St. Nat., lib. iii).
- ↑ Due leghe da esso lontana scrive il N. A. nel lib. i delle Guerre contro i Goti. Di lei così parla Strabone: «Fra le città poi situate nelle paludi (dell’Adriatico) la maggiore è Ravenna, tutta fabbricata di legno e attraversata da correnti d’acque, sicchè vi si cammina o sopra ponti, o sopra barche che servono a tragittar pei canali. Quando gonfiasi la marea questa città riceve dentro di sè non piccola parte di mare; ed essendo così da queste acque e dai fiumi spazzato via tutto quanto vi ha di fangoso, l’aria per sè stessa cattiva ne rimane per così dire medicata; e quel luogo e perciò tanto salubre, che i principi ordinarono di nutrirvi ed esercitarvi i gladiatori... È mirabile eziandio la natura della vite in que’ paesi; perocchè alligna nelle paludi, e cresce celeremente, e porta abbondevole frutto, ma si consuma poi in quattro o cinque anni... Rispetto a Ravenna è fama che la fondassero i Tessali; i quali non potendo più comportare le insolenze dei Tirreni, ricevettero volentieri fra loro alcuni Umbrii, che occupano tuttora quella città» (lib. v).
- ↑ Fozio nell’Estratto delle Istorie di Olimpiodoro (Bibl., Cod. lxxx) venuto a quest’argomento scrivea: «Aggiugne (Olimpiodoro) che Alarico, prefetto dei Goti, chiamato da Stelicone onde presidiare l’Illirio in favore di Onorio (cui dal padre Teodosio nella divisione del regno fu assegnata questa provincia) sì per motivo della morte di Stelicone, sì perchè non avea avuto quanto gli era stato promesso, assediò Roma e la prese, ed oltre ad una innumerabile preda di danaro ne menò prigioniera Placidia, di Onorio sorella che dimorava allora in quella città; e dice pure che prima di prender Roma vi destinò ad imperatore un certo Attalo, personaggio illustre che n’era allora prefetto». «Queste cose furono da lui operate pel motivi dianzi addotti, e per cagione di Saro, goto pure di nazione, prefetto di poca gente (poichè comandava appena duecento o al più trecento uomini), ma però molto valoroso ed invincibile nei combattimenti; ed avendolo i Romani attirato al loro partito, come ad Alarico contrario, questi giurò loro perpetua inimicizia» (Traduz. di Sp. Blandi). Stelicone poi era stato eletto da Teodosio a tutore di Arcadio e di Onorio, avea unito in matrimonjo due sue figliuole (Termanzia e Maria) al secondo, ed avea intrapreso felicemente molte guerre a favore de’ Romani. Se non che in fine per opera dell’ingrato Olimpio morì di spada, e l’uccisor suo Eracliano ebbe in premio di questa sceleraggine la prefettura dell’Africa.
- ↑ Alarico presa e saccheggiata Roma, fece prigioni molti della casa d’Onorio, e tra gli altri Placidia sua sorella, dandola per moglie al figliuolo Ataulfo. Ciò avvenne nell’anno diciottesimo dell’imperio d’Onorio, e 412 dell’era volgare.
- ↑ «In questo assedio di Roma giunsero a tale estremità gli abitanti che l’un l’altro si divoravano» (Fozio, Estr. di Olimp.)
- ↑ Ostia, dalla città ora distante all’incirca quattordici miglia.
- ↑ Nomato Prisco Attalo da Sozomeno (lib. ix, cap. 8); era costui greco nativo della Ionia.
- ↑ Secondo di questo nome, il quale dall’anno 408 dell’era volgare imperò sino al 450.
- ↑ Figliuolo del defunto.
- ↑ Strabone descrive siffattamente la Pannonia de’ tempi suoi: «I Breuci, gli Andizeti, i Dizioni, i Pirusti, i Mazei, i Disiziati, de’ quali fu condottiero Batone; sono tutti popoli pannonj; e così anche altre piccole genti e di poca fama: giacchè la Pannonia si estende fino alla Dalmazia, e quasi anche fino agli Ardiei (ora parte della Dalmazia presso il fiume Nareola) andando verso il mezzogiorno. Tutta questa parte che dal fondo del mare Adriatico va al golfo Rizonico ed al territorio degli Ardiei è montuosa, e si trova fra il mare e le nazioni pannonie» (lib. vii, trad. di F. A.) Ora è detta Ungheria.
- ↑ Così detta da Trace figliuolo di Marte; ampia provincia d’Europa all’oriente del mar Nero, ed oggidì chiamata Romania o Rumelia.