Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XXVII

Capo XXVII

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CAPO XXVII.

Morte di Giusto e Peranio; Marcello e Constanziano, lor successori, mandati in ambasceria a Cosroe. — Guerra particolare tra Alamandaro ed Areta. — Isdigunna muove insidiosamente contro Dara, e, mancatogli il colpo, va ambasciadore in Bizanzio.

I. L’imperio compianse in tal epoca la morte di due illustri capitani, Giusto nipote dell’imperatore, e l’ibero Peranio; il primo fu spento da morbo, e l’altro da una caduta di sella in cacciando. Giustiniano [p. 260 modifica]sustituì ad essi Marcello ancor tenero figliuolo del fratel suo, e Constanziano, spedito poco stante con Sergio ambasciadore a Cosroe per trattare la pace. Questi incontrarono il re nell’Assiria, laddove ergonsi due grandissime città, Seleucia e Ctesifonte, divise non da regione comunque ma dal solo Tigri, ed opera dei Macedoni, cui obbedirono dopo Alessandro di Filippo i Persiani e le vicine genti1. Venuti pertanto al suo cospetto fecergli istanza di rendere ai Romani i castelli della Lazica e di confermare le proposte convenzioni. Ma egli rispose che prima di sottoscrivere una pace stabile tra loro si dovea rimanere d’accordo per una tregua, durante la quale fosse lecito alle ambascerie di oltrepassare i proprii confini senz’ombra di pericolo per venire a parlamento e conversare insieme, unico mezzo di rendere l’amicizia loro eterna; ma questa tregua volersi ottenere dai Romani con danaro e col mandargli di soprappiù Tribuno a dimorare qualche tempo seco; professava costui medicina, ed avendolo risanato da grave malattia eragli divenuto accettissimo. Alla riferta delle reali domande Giustinino spedì tosto in Persia Tribuno e venti mila aurei2, e così, ricorrendo l’anno decimonono del suo imperio, fu sottoscritta una tregua di cinque anni3.

II. Areta dappoi ed Alamandaro, condottieri di Saraceni, guerreggiarono tra loro senza aiuti dell’ [p. 261 modifica]imperatore o del re, ed il secondo nelle sue scorribande incolto un figliuolo del nemico pascolante i proprj destrieri sacrificollo subito a Venere, pruova manifesta che il padre non aveva mai parteggiato co’ Persiani. I loro eserciti poscia fecero giornata, ed Areta mise in rotta l’avversario uccidendogli molta gente, e poco mancò non conducessegli in ischiavitù i due figliuoli; così ebbe termine questa guerra.

III. Col tratto successivo il re persiano infinse mandare un’ambasceria in Bizanzio all’imperatore, e fattone capo Isdigunne diedegli il corteo di cinquecento eletti guerrieri, comandando loro che pervenuti in Dara prendessero ad albergare in molti separati luoghi per tenersi pronti nel cupo della notte, quando tutti riposavano profondamente, a metter fuoco alle case di lor dimora, acciocchè, sendo i Romani occupati nell’estinguere gli incendj, e’ potessero spalancare le porte della città ad un esercito, che il prefetto di Nisibi aveva avuto l’incarico di allestire segretamente all’uopo. Con tale frode il barbaro sperava uccidere a suo bel agio i Romani di presidio in essa e di assoggettarsi la città. Se non che un suddito imperiale, fuggito poco dianzi in Persia, risapute le insidie manifestolle a Giorgio colà prefetto e quel desso, come già scrivea, che fu consigliero ai barbari assediati nella rocca de’ Sisaurani di rendersi al duce imperiale4. Giorgio dunque venuto ad incontrare l’ambasciadore sulle frontiere comuni a’ due Stati, alla bella prima esposegli non addirsi tanto [p. 262 modifica]corteggio ad un’ambasceria, nè poter egli ricevere sì gran numero di Persiani entro una città romana, quindi pregavalo di lasciarne la maggior parte in Ammodio. Isdigunne fremea di gravissima ira, come che, ambasciadore a’ Romani, ricevuto avesse ingiuria dal prefetto, il quale però, nulla curando lo sdegno di lui e molto la salvezza di Dara, non permisegli di mettervi piede che accompagnato da sole venti persone.

IV. Isdigunne, avvegnachè andassegli l’impresa a vuoto, proseguì nulla manco la via di Bizanzio, menando seco la moglie e due figliuoli per vie più illustrare l’ambasceria. Presentatosi quindi al trono di Cesare vi depose i reali doni e le scritte in cui era soltanto espressa la brama del monarca di sapere se l’imperatore stesse bene del corpo. Grustiniano lo accolse onorandolo siffattamente che non ci ricorda nell’antichità esempio da compararvi, e fin volle, quando convitavalo, seduto alla sua mensa l’interpetre di lui Braduna5; cortesia fuor d’ogni rimembranza, non avendovi chi possa ignorare interdetta sempre ad un turcimanno, sebbene per uffizio non inferiore a qualsisivoglia magistrato, la partecipazione di quell’onoranza. Mostroglisi eziandio, accomiatandolo, generosissimo nel ricambiare i presenti avuti, dando opera che i suoi, comunque frivola e vana fosse stata l’ambasceria, [p. 263 modifica]superassero di gran pezza quelli persiani, o se pur vuoi il danaro consumato nel lungo viaggio6. Tal fine ebbe il tradimento del barbaro contro Dara.

Note

  1. V. nota cap. 3, § 4 di questo libro.
  2. Deux mille marcs d’argent (Cousin).
  3. Anno dell’era volgare 546.
  4. Cap. 19 di questo libro.
  5. È nomato Bradassione dal Cousin, Braducione dal chiarissimo commentatore delle Storie Segrete, il quale aggiugne che la imprudente condotta di Giustiniano fruttò a costui la crocifissione, a tal morte avendolo il re, sospettosissimo di tanta distinzione, condannato al tornare in Persia.
  6. A tale ambasceria dà il Nostro assai più rilevante scopo nella Storia miscellanea, ove dice che Isdegunna si portò a Bisanzio per trattare la pace, ma solo vennegli fatto dopo molte controversie di conchiudere una tregua per cinque anni (quella indicata al § 1 di questo capo), ponendo tra le altre condizioni di essa l’obbligo all’imperatore di sborsare ai Persiani due mila libbre d’oro pel quinquennio, e libbre seicento pe’ diciotto mesi trascorsi dall’una sospension d’armi all’altra, del quale tempo consumato in conferenze pretendeva il monarca ritrarne qualche vantaggio. Si domandò parimente a Giustiniano la restituzione di Besato, di schiatta illustre ed in pieno possesso de’ reali favori, addivenuto in Armenia prigioniero di Valeriano, e trasportato in Bizanzio ove tuttora dimorava in istrettissimo carcere. Alla quale inchiesta, sebbene accompagnata dall’offerta d’un generoso riscatto, aderì l’imperatore mandandoglielo di bando giusta le insinuazioni d’Isdegunna, il quale andavagli ripetendo che i buoni uffici di costui sarebbero stati un mezzo efficacissimo per indurre il re a levare le truppe dalla regione de’ Lazj. Quest’ambasceria in fine d’Isdegunna, qui riportata sotto l’anno decimonono dell’imperio di Giustiniano, ha un’epoca nella prefata Istoria anteriore di quattro anni (cap. 15).