Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XXVI

Capo XXVI

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CAPO XXVI.

Il cavaliere minato ed arso dai Romani. — Due assalti colla peggio delle truppe reali. — Colloquio di pace senza effetto. — Mura di Edessa combattute indarno; accordi.

I. Tra questo mezzo il presidio scavò entro le mura una fossa, dalla quale un sotterraneo cuniculo metter dovea sino al centro dell’inalzato cavaliere, per indi appiccarvi grandissimo fuoco, e di tal foggia rovinarne tutta la mole; quando il nemico accortosene al rumore de’ minatori si pose anch’egli ad approfondarne le parti laterali sperando incogliervi i Romani; questi però avutone sentore desisterono subito dall’impresa, [p. 255 modifica]riturando con nuova terra il vano fatto, e diedersi in vece a formarne altro larghissimo, a foggia di stanza, dalla parte che l’edificio più si avvicinava alle mura; accumularonvi quindi secchi tronchi d’alberi arsicciati, e tutti a larga mano spalmati con olio di cedro, con solfo e bitume, avendovene in città abbondante provvista. In quello stante i duci persiani, il ripeto, conferivano spesso con Martino appalesandosi bramosissimi di pace; dato però fine al lavoro, pervenuto questo a signoreggiare la città, accomiataronlo ricusandosi apertamente ad ogni convenzione. I Romani allora ardon all’improviso i predisposti tronchi, ed intanto che le fiamme diffondonsi là sotto, e’ non cessano di alimentarle con altro legname per rendere l’incendio universale, come di fatto ebberne certezza vedendo nella notte il fumo che andava qua e la aprendosi un varco alla superficie di esso. Nondimeno parendo loro immatura la manifestazione delle tramate insidie, gittanvi prestamente sopra dalle mura vaselli pieni di carboni ardenti ed incendiario saettame, al cadere de’ quali subito accorrevan le scolte notturne ad ammorzarli, persuasi che ciò fosse la sorgente del fumo; crescendo tuttavia il male, e cadendo molti dei loro feriti dagli archi romani si chiamò soccorso. Al levar poi del sole giunto il re con gran parte dell’esercito e montatovi sopra fu il primo a conoscere non essere onninamente gli avventati combustibili su quel terreno la vera cagione di quanto appariva, ma occulto fuoco nelle sue viscere, e per estinguerlo fecevi all’istante correre tutte le truppe. Ora gli Edesseni rincoratisi cominciarono a [p. 256 modifica]villaneggiarlo con parole in mirando portare chi terra e chi acqua laddove maggiormente svolgevansi que’ fieri turbini, sperando così vincere il sottoposto vulcano; era però un affaticarsi indarno, conciossiachè al versarvi la terra scompariva bensì il fumo, come vuol ragione, ma solo per isgorgare con duplicata veemenza da nuovi spiragli sotto cui vie più ingagliardiva la possa delle fiamme. Ove similmente attendevasi qualche buon effetto dall’acqua, producevane questa uno contrario coll’aggiugner forza al solfo ed al bitume, non avendovi mezzo di usarne in tanta copia quanta richiedeva il bisogno per renderla prevalente all’incendio: sì crebbero in fine que’ densi vortici coll’annottare da essere visibili ai Carreni ed a più lontani popoli. I Romani allora, saliti anch’egli sopra il cavaliere, attaccarono vigorosamente il nemico e n’ebbero vittoria, sebbene dovessero presto discenderne vedendosi andare a fuoco tutt’all’intorno.

II. Fallita questa impresa a Persiani, dopo il sesto giorno e’ volgonsi ben prima dell’aurora ad assaltare chetamente una parte del muro, e trovato il presidio in profondissimo sonno acconciaronvi le scale per occuparne la sommità; e sarebbonvi riusciti in buon punto se tale del contado, vedute le insidie, non avesse destato le guardie, al cui sopraggiugnere si venne alle mani con grande tumulto e rumore. I barbari, dichiaratasi la vittoria per gli assediati, si ritrassero nel campo abbandonando ogni loro apprestamento a divenir bottino degli Edesseni. Cosroe allora inviò di mezzanotte molte truppe ad espugnare la porta nomata [p. 257 modifica]Magna, ed i Romani e quanti altri eranvi entro, con una sortita, li misero nuovamente in fuga.

III. Nè cessavano ancora i vincitori di molestare il nemico, quando presentatosi il turcimanno Paolo annunziò loro a nome del monarca l’arrivo dell’ambasciador Recinerio da Bizanzio; alla qual nuova si divisero le due fazioni. E di vero il legato antedetto già da parecchi giorni dimorava nel campo de’ barbari senza ch’e’ pensassero darne avviso agli Edesseni, volendo prima compire il battifolle, ed attendere l’esito d’un assalto col suo mezzo dato alle mura; perocchè sperimentando propizia la fortuna avrebbero rigettato ogni proposta di pace, e rimanendo perdenti, come accadde, potrebbero di buon grado accogliere i patti offerti dai Romani. Espose inoltre Paolo che una deputazione tosto procedesse al campo reale per istabilire gli accordi, ed ebbene ch’ella vi arriverebbe dopo tre giorni, sendo ora il duce Martino alquanto malsano.

IV. Cosroe, sembratagli insidiosa la risposta, volle tenersi pronto ad un attacco, al qual uopo ordinò che si accumulasse gran numero di mattoni sul cavaliere, e passati due giorni marciò egli stesso alle mura per combatterle, circondando in prima la città col disporre presso a ciascuna porta e duci e truppa. Fecevi similmente portare scale ed altre macchine, e pose da tergo i Saraceni con piccol numero di Persiani, destinandoli non già a soccorrere gli assalitori, ma solo a perseguitare i fuggenti superate che fossersi le mura. Con tale ordinanza l’esercito reale principiò di mattina l’assalto non senza vantaggio, essendo ben forte in confronto dei [p. 258 modifica]Romani, molti dei quali inoltre, non antiveduto l’attacco, erano per anche affatto all’oscuro de’ casi loro; ma coll’inasprir della pugna l’intiera città fu in perturbazione e tumulto, e uomini e donne e pargoletti, accorsi ove ferveva la pugna, opponevansi i primi ancor robusti vigorosamente al nemico, e gli altri tutti fornivan i combattenti di pietre e di quanto potesseli giovare, venendo sin versate dall’alto sopra gli assalitori caldaie d’olio bollente; i villani stessi nella lotta mostraron di sè opere molte ed egregie. I barbari per lo contrario stanchi di pericolare gittavan le armi, e pregavano il re di non ostinarsi maggiormente in quell’assedio. Ma Cosroe pieno di sdegno, minacciando e bravando a tutti, li riconduceva alle mura, e fattevi accostare le torri, le scale e le macchine, con forte rumore tentò vincere la città. Resistono impertanto i Romani, e difendendosi in mucchio con ardore estremo fugano i loro competitori, ed allo stesso re, mentre volge precipitosamente le spalle, non mancano fischi e provocamenti ad un secondo attacco. Il solo Azarete resisteva tuttavia presso alla porta Soine in certo luogo nomato Tripurgo1, ove una mano di prodissimi Romani era uscita a contendergli quel terreno; oltre di che ebbe un violento assalto in parte del muro chiamata Prochisma, ove sembrava la fortuna arridesse alle truppe reali, quando il vincitore Peranio con forte soccorso di guerrieri e qualche Edesseni spronatovi il cavallo vi combattè sino al tramonto [p. 259 modifica]del sole. Terminata colla notte la strage, i Persiani raggiunsero il campo e vi si tennero di continuo in guardia; il presidio poi fornì di sassi la sommità delle mura ed apprestò ogni altra necessaria difesa per accogliere convenevolmente nel venturo giorno il nemico se vedesselo un’altra fiata inoltrare; ma uom non comparve. Al posdomane parte dell’esercito reale ad esortazione di Cosroe fe impeto contro la porta Barlai, accorsivi però i Romani fu tosto vinta e costretta a retrocedere negli accampamenti. Dopo di che giunse alle mura Paolo turcimanno del re con invito a Martino di passare nel campo nemico per venire ad un’amichevole composizione; ed arrivatovi l’ambasciadore, il monarca fattesi annoverare cinquecento libbre d’oro, sottoscrisse gli accordi, obbligando la sua parola che mai più avrebbeli violati; quindi messi a fuoco e fiamme gli steccati del campo e le macchine, tornò con tutto l’esercito nel regno.

Note

  1. Diremmo noi: le tre torri.