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LIBRO SECONDO | 261 |
ratore o del re, ed il secondo nelle sue scorribande incolto un figliuolo del nemico pascolante i proprj destrieri sacrificollo subito a Venere, pruova manifesta che il padre non aveva mai parteggiato co’ Persiani. I loro eserciti poscia fecero giornata, ed Areta mise in rotta l’avversario uccidendogli molta gente, e poco mancò non conducessegli in ischiavitù i due figliuoli; così ebbe termine questa guerra.
III. Col tratto successivo il re persiano infinse mandare un’ambasceria in Bizanzio all’imperatore, e fattone capo Isdigunne diedegli il corteo di cinquecento eletti guerrieri, comandando loro che pervenuti in Dara prendessero ad albergare in molti separati luoghi per tenersi pronti nel cupo della notte, quando tutti riposavano profondamente, a metter fuoco alle case di lor dimora, acciocchè, sendo i Romani occupati nell’estinguere gli incendj, e’ potessero spalancare le porte della città ad un esercito, che il prefetto di Nisibi aveva avuto l’incarico di allestire segretamente all’uopo. Con tale frode il barbaro sperava uccidere a suo bel agio i Romani di presidio in essa e di assoggettarsi la città. Se non che un suddito imperiale, fuggito poco dianzi in Persia, risapute le insidie manifestolle a Giorgio colà prefetto e quel desso, come già scrivea, che fu consigliero ai barbari assediati nella rocca de’ Sisaurani di rendersi al duce imperiale1. Giorgio dunque venuto ad incontrare l’ambasciadore sulle frontiere comuni a’ due Stati, alla bella prima esposegli non addirsi tanto