Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XVIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XVIII.
I. Trascorrendo il tempo dall’ assedio alla capitolazione di Pietra, Belisario, di nulla consapevole, si partiva da Dara alla volta di Nisibi1, e pervenuto ad un luogo bagnato da molte fonti, lontano stadj quarantuno dalla città, ordinò di porre il campo; vedendo però che molti facevansi le maraviglie di quella fermata, e non volevano eseguire il comando, tenne loro il seguente discorso:
II. «Non potrei, o guerrieri, anche volendolo, ora comunicarvi i miei pensamenti: una sola parola detta nel campo, lunge dal rimanervi sepolta, va senza posa discorrendo finchè penetri le orecchie dei nemici. Ben veggo molti di voi arrogarsi, dimentichi affatto dell’ordine e della disciplina, gli ufficii di condottiero, ed obbligarmi a fare discoprimenti che tornerebbe meglio tacere: laonde m’è forza innanzi tutto ammonirvi della impossibilità di eseguire lodevoli imprese con un esercito, quando in esso molti voglionsi a loro buon grado condurre. Io son poi d’avviso che il Persiano, ora occupato nel guerreggiare altre genti, non abbia per ciò sguernito di truppe il suo paese, ed in ispecie Nisibi ultima città de’ proprj confini, e quindi baluardo a tutto il regno. Vivo certissimo al contrario ch’ella racchiuda presidio tale da resistere ai nostri assalti, capitanandolo singolarmente Nabade, il quale dopo Cosroe parmi essere il primo tra’ Persiani e per gloria e per ogni altra maniera di sublime riputazione; penso di più ch’egli assalirà il nostro esercito, e che solo avrem tregua da lui quando ne sia dato vincerlo in campo. Se noi adunque lo andremo a combattere presso della città, azzarderemo un disuguale cimento, imperciocchè ove rimaniamo perdenti verremo lungo tempo incalzati con possentissimo ardore, e se riportiamo la vittoria e’ di leggieri sottrarrassi dalle nostre mani riparando entro le mura, inespugnabili come vedete a cagione del presidio loro: facendo in cambio qui giornata ed uscendone superiori ci troveremo nel perseguitarlo ad un’ora con esso in Nisibi, che spoglia di truppe agevolmente cadrà in nostro potere, o prevenendolo, sarà egli costretto a riparare altrove». Alle quali osservazioni molti dei capi aderirono e stettersi con Belisario negli steccati; ma Pietro cui obbediva una parte dell’esercito, procedette con Giovanni, capitano delle truppe della Mesopotamia, ad accamparsi non più che dieci stadj lunge dalla città. Belisario di poi schierato l’esercito in battaglia mandò loro avviso di usar cautela per non essere sorpresi dai Persiani sul meriggio, costumando i barbari mangiare la sera e non all’ora antedetta, come portava la consuetudine delle romane truppe.
III. Ma la soldatesca di Pietro sprezzando la salutare ammonizione ed oppressa dal meridiano calore, intensissimo sotto quel cielo, depose le armi, e non guardinga affatto dal nemico, iva mangiando, sparta nelle campagne, i fichi. Nabade accortosi della faccenda corre di fretta a sorprenderli; se non che i Romani favoriti dall’elevazione del campo loro, al vederli uscir delle mura tosto mandarono pregando Belisario di aiuto, ed intrattanto, dato di piglio tumultuariamente alle armi, procedettero di per sè ad incontrarli; il soccorso inoltre di Belisario prima che giugnesse l’avviso, congetturando l’avvenuto dal polverio, erasi posto in marcia per quella volta. Ma non arrivò a tempo da impedire che le truppe di Pietro cedendo all’impeto degli assalitori volgessero le spalle al nemico, il quale ostinato nel combatterle s’impadronì dello stendardo imperiale ed uccise cinquanta Romani2, e tutti costoro senza dubbio avrebbero incontrato l’egual sorte se Belisario coll’esercito presto non compariva a sostenerli. Conciossiachè i Persiani meno valorosi dei Goti, che primi, ben serrati e muniti di lunghe picche aveanli affrontati, diedersi alla fuga, e colla perdita di cencinquanta individui nella breve ritirata, corsero entro le mura; dopo di che tutti gl’imperiali tornarono al campo del condottiero 3. I barbari la dimane, posto qual trofeo su di certa torre il conquistato vessillo, cominciarono bensì a schernire ed insidiare i nemici, ma non ebbero più l’animo di comparir fuori delle porte.
Note
- ↑ Situata tra il monte Masio ed il fiume Tigri. Questa città, della quale abbiamo parlato altrove, fu dai principi macedoni detta Antiochia di Migdonia (Strab., lib. xvi; Tol., lib. v), traendone il nome o dal fiume Migdonio che mette foce nell’Eufrate, o, secondo altri, da una contrada macedonica, e della stessa guisa vien chiamata da Polibio (lib. v). Fu poi celebre per la sua fortezza derivatale in ispecie da un grosso e doppio muro all’intorno. Il romano duce Lucullo impertanto, portate le armi contro Tigrane, dopo lungo e molesto assedio conquistolla, avendone fatto scalare le mura in una notte senza luna e tempestosa (Dione Cassio, lib. xxxv). Essa fu ceduta nell’anno dell’era volgare 363 a Sapore re di Persia per una condizione del trattato che seguì la disfatta dell’esercito romano nella spedizione di Giuliano. Nesbin, Nassibin, o Naisbin vien ora chiamata dai geografi orientali, e non è più che un villaggio aperto da ogni banda.
- ↑ Cinquecento scrive il Cousin.
- ↑ Procopio nel cap. 4 della Storia Segreta dà a questa piccola avvisaglia il nome di sconfìtta. Ivi il duce persiano è chiamato Nabida.