Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo IV

Capo IV

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CAPO IV.

Apparizione di una cometa. — Scorrerie degli Unni. Lettera di Giustiniano a Cosroe.

I. Apparve in questo mezzo una cometa, nella costellazione del sagittario, da principio grande siccome uomo, e poscia maggiore di esso; erane la testa volta all’oriente, la coda all’occaso, e teneva dietro al sole in capricorno. V’ebbe chi dissela eguale, di forma, alle xifias1, puntuta essendone la estremità, e ad altri sembrava pogonia2; la sua presenza, visibile al di là dei quaranta giorni, diede argomento a mille contrarj presagj, ma io lasciando a tutti libertà di parlarne a lor voglia rannodo il filo delle susseguenti vicende. [p. 158 modifica]

II. Dileguatasi la cometa un poderosissimo esercito di Unni, valicato l’Istro, inondò Europa tutta commettendovi guasti incomparabilmente maggiori a quelli di che eransi contaminati nei tempi addietro, e più che ogni altro luogo presero ad infestare da capo a piè la regione tra il golfo del mar Ionico e Bizanzio; nè paghi ancora espugnarono due munitissimi forti3 nell’Illirico, e sin l’antica Potidea, ora Cassandropoli4, quindi [p. 159 modifica]ricchi di schiavi, montatone il numero a cento venti mila5, e di danaro tornarono liberi nella terra natale. Coll’andare similmente degli anni fecero nuove scorrerie dannosissime ai Romani, ed in una di queste nel combattere il Chersoneso, gabbando i terrazzani, salironne le mura dalla banda del mare nomata Melana6, e fattavi strage degli abitatori condussero seco il resto prigioniero. Altri poi di essi navigando lo stretto che da Sesto mena ad Abido7 saccheggiarono molti [p. 160 modifica]luoghi dell’Asia, e quindi rivennero nel Chersoneso per aggiugnere i loro compagni e ripatriare. Usciti eziandio una terza volta de’ proprii confini misero a bottino l’Illiria e la Tessaglia, ma portatisi alle Termopili8 trovaronvi insuperabile difesa; nel rintracciare nondimeno la via di ascendervi più agevolmente scontransi fuor d’ogni speranza in tal sentiero che guidali alla sommità d’un sovrastante poggio, e di là scagliatisi contra dei Greci espugnaronli tutti, de’ Peloponnesiaci all’infuori. Non guari dopo queste cose i Persiani, rotti gli accordi, assalgono le frontiere orientali dell’imperio, ed in qual modo il facessero verra da me esposto quando avrò detto che Belisario sconfitto Vitige mandollo prigioniero a Bizanzio.

III. L’imperatore avvertito che il re persiano approntava la guerra inviògli una lettera, per indurlo a cambiar di pensiero, col mezzo di Anastasio, personaggio tenuto in grande estimazione di prudenza, e dimorante allora nella capitale, di ritorno dalla città di Dara per lui in addietro liberata dalla tirannia9. La scritta era in questi termini:

«Il saggio e pio non perde mezzo di troncar subito i motivi d’una germogliante guerra, ove in ispecie combatter debba contro gli amicissimi suoi; l’ [p. 161 modifica]prudente invece e l’empio va meditando pretesti di rompere la concordia. Nulla è più facile d’un bellico apprestamento, ed i pessimi de’ mortali sopravanzano gli altri in sì turpi maneggi; addiviene però scabrosissima impresa il ben condurre una guerra, ed il terminarla con vantaggiosa pace. Tu, o re, ti chiami offeso dalle mie lettere, che interpetri in guisa affatto contraria alla mia intenzione, a fine di potermi rimproverare con qualche ombra di giustizia, quando a me si compete il forte querelarmi delle ostilità commesse sì da Alamandaro in tempo di perfetta amicizia tra noi, delle costui rovine sopra il tener mio, delle città soggiogate, del rapito danaro, e de’ sudditi miei uccisi o condotti seco prigionieri. E di tali cose anzichè aggravarne il mio nome adopereresti assai meglio purgando te stesso, perocchè le opere e non i pensieri debbonci guidare nel far giudizio delle ingiustizie e delle soperchierie. Ora con tutto ch’io siami l’offeso non cesso di bramare la pace; tu all’opposto desideri la guerra, e per venirne a capo vai rimestando cavilli, de’ quali non havvene un solo che possa a buon diritto essermi incolpato. L’uomo pago delle cose presenti allontana ogni occasione di querimonie, ma chi anela scombigli è trovatore sagacissimo di falsi titoli per aprirsi la via delle armi: condotta più che ripugnante all’onesto procedere di un monarca, e sin detestabile negli abiettissimi del volgo. Pensa di grazia al sangue che verserassi nelle molte battaglie, e su cui ricadranne la colpa; considera il giuramento [p. 162 modifica]fatto ed il ricevuto danaro, contraendo per essi obbligazioni tali, che non giugne sofisma alcuno a render vane. Immensa è la saggezza del Nume ed infinitamente superiore ad ogni umano cavillo». Il re omise di rispondere a questa lettera, e fe rimanere in Persia Anastasio portatore di lei.

Note

  1. Dal vocabolo greco ξίφος (spada); avente cioè la forma d’una spada. ξίφος è anche nome di pesce.
  2. Dal greco vocabolo πώγων (barba), quindi barbuta. Altri spiega capelluta.
  3. Così anche l’edizione latina di Basilea (A. mdxxxi). Il Cousin scrive: «Ils prirent trente-deux forts.»
  4. Di questa città Strabone scrivea: «La penisola Pallene (sul cui istmo è situata Cassandria, che prima chiamavasi Pondea) fu dapprincipio denominata Flegra. L’abitarono i favolosi giganti, schiatta empia ed exlege, i quali Ercole disperse» (l. vii). Il perchè venisse nomata Cassandria lo abbiarno da Diodoro siculo, e sono queste le sue parole: «Cassandro adunque successore di Filippo, e vigesimo sesto re della macedonica dinastia, secondo Eusebio andandogli sì bene ogni cosa, sperò di ottenere il regno di Macedonia. A questo fine prese in moglie Tessalonica figliuola di Filippo e sorella, per parte di padre, di Alessandro, con tale affinità introducendosi come parente nella famiglia reale. E’ sul luogo di Pallene fondò una città dal suo nome chiamata Cassandria, nella quale trasportò gli abitanti delle città della penisola, e tra gli altri quelli di Potidea; misevi anche gli Olintii che ancora rimanevano, e de’ quali non era piccolo il numero. Diede poi alla nuova città molto territorio ed assai buono, ed ogni cura prese per amplificarla e renderla fiorente, per lo che fra breve tempo essa giunse a splendore, e superò in potenza tutte le città della Macedonia» (lib. xix, c. 9). Intorno a Potidea leggiamo nello stesso Diodoro le seguenti cose: «Filippo di poi promise agli Olintii di unire al tener loro Potidea, il cui acquisto da molto tempo essi ardentemente desideravano. Lo stesso re nel tratto successivo espugnata avendo Potidea ne trasse fuori il presidio ateniese ed il rimandò ben trattato ad Atene; avendo un certo rispetto al popolo ateniese, come quello che per potenza e dignità andava innanzi a molti. Consegnò poi agli Olintii quella città (Potidea), i cui abitatori farono fatti schiavi, e ne donò ai medesimi le campagne e l’intero territorio» (lib. xvi, c. 3); Pausania in fine succintamente narra i destini di Potidea in questo modo: «I Potideati oppresseli il sovvertimento del proprio stato accaduto per Filippo di Aminta, ed anche prima per gli Ateniesi (nell’Olimp. lxxxvii). Tempo dopo li rimise in istato Cassandro, ma invece del nome antico fu dato alla città il nome di Cassandria da quello del restitutore» (l’Elide, cap. 23; id. cap. 11. V. parimente Tucidide, lib. i).
  5. Il Cousin riduce il numero dei prigionieri a soli ventimila.
  6. Ebbe forse un tal nome dal fiume Melana discorrente per quelle terre. V. Arriano, Spediz. di Aless., lib. i.
  7. Ora Aveo e Aidos, città in Asia nello stretto di Gallipoli, rimpetto a Sesto; celebre per la sventura di Leandro, e per la fabbrica di quel ponte prodigioso che Serse vi fece edificare per congiugnere l’Europa all’Asia. Presentemente Sesto ed Abido, l’uno dirimpetto all’altro nello stretto, sono due munitissimi forti cui vien dato il nome di Dardanelli.
  8. A dì nostri Bocca di lupo, stretta gola del monte Beennina, di soli venticinque piedi, tra la Tessaglia e l’Arabia, dove Leonida re degli Spartani con quattromila uomini fece resistenza per tre giorni a Serse condottiero di cinquecentomila e più soidati.
  9. V. lib. i, cap. 26, § 3.