Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo XXVI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XXVI.
I. Belisario avuto il comando nuovamente delle orientali truppe, ritornò l’Africa, al suo comparirvi, sotto il dominio romano; argomento che riprenderò a trattare con maggior accuratezza nel progresso della mia istoria.
II. La nuova di sì felice riuscita increbbe assai a Cosroe ed a’ Persiani, e indusseli a pentimento della pace accordata all’imperio, dandogli con essa il mezzo di allargare i proprj confini. Nondimeno il re mandò ambasciadori a Giustiniano per congratularsi dei riportati vantaggi, e gli chiedeva, scherzando, parte del bottino, atteso che i Romani andavanne debitori a lui in grazia de’ fatti accordi. L’imperatore accomiatò l’ambasceria prestamente, valendosene per inviare al signor loro copiosissimi doni.
III. Dara intanto fu bersaglio di nuove sciagure per l’arroganza d’un tal fantaccino, detto Giovanni, il quale conspirando con altri pochi soldati alla tirannide occupò la città, e fortificatone il palazzo a guisa di rocca vi si difese quattro giorni contro le truppe; ed avrebbe al certo recato grave danno ai Romani, se questi fossero stati in guerra con la Persia, ma avendovi pace tra loro mancò il suo colpo. Nel quarto giorno della rivolta adunque le truppe animate dalle esortazioni del vescovo Manante1 e di Anastasio, ragguardevolissimo cittadino, deliberarono andare di meriggio e co’ pugnali sotto le vesti al palazzo, ed arrivatevi uccisero le sentinelle a guardia dell’uscio, dopo di che inoltratesi debellarono il tiranno. Altri però vogliono che la gloria di quest’azione debbano i guerrieri dividere con un cuoco loro seguace, il quale, vedutili nel vestibolo a mancar di coraggio, saltò dentro col suo coltello in mano, e trafisse all’improvvista Giovanni. Aggiungono di più che questi non gravemente ferito, e datosi, ridendo, alla fuga incappasse nella truppa, la quale, agguantatolo, incendiò tosto il palazzo acciò altri non avesse più a valersene per cosiffatti maneggi. Il reo fu poscia condotto in carcere, dove per tema non qualche suo complice, sapendolo ancor vivo, tornasse a sconvolgere la pubblica tranquillità, si fece morire; e di tal modo ebbe immediatamente fine tutta la sommossa.
Note
- ↑ Mammea, Mamma, Mamante, secondo altri autori.