Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo XXIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XXIII.
I. Dopo le cose antedette si ordì contro il persiano monarca una congiura il cui tenore prendo qui ad esporre. Cosroe figliuol di Cavado nato con animo gagliardissimo ed inquieto agognava le novità, ponendo ogni studio nel comunicare altrui l’agitazione ed il perturbamento che travagliavangli senza posa il cuore. Quindi è che gli ottimati e savj della nazione venuti a noia del suo governo, deliberarono eleggersi altro re della stirpe di Cavado, accordando in preferenza il favor loro a Bazes1 privo d’un occhio, e per ciò in forza degli statuti nazionali disadatto al regno. Il perchè dopo molto consigliarsi a vicenda fu risoluto innalzare al trono il costui figliuolo, Cavado nomato dall’avo, dichiarandone il padre tutore, e reggente della monarchia. Eglino poscia, informatone Bazes e sollecitatolo a prestarvi il suo consentimento, indagavano assidui la opportunità di giugnere al divisato scopo. Ma Cosroe, risapute le insidie, fe subito uccidere il reggente, la prole maschile di lui, gli altri fratelli, e tutti i grandi avvolti nella congiura, essendovi tra questi Aspebedo suo zio materno.
II. Di tutti i figliuoli di Bazes rimaneva non pertanto ancora il solo Cavado, pargoletto a que’ dì, ed allevato da un canarange per nome Adergudunibade, al quale non volendo il re fare oltraggio, siccome colui che per l’età andava esente da ogni suspicione, contentossi ordinare la morte del fanciullo. Il canarange disvelò tal comando, gravissimo al cuor suo, alla moglie ed alla nutrice, e quella, udendolo, sciogliesi in pianto, ed abbracciandone le ginocchia il prega e supplica di risparmiare l’innocente. Fu risoluto adunque crescerlo con tutta la possibile segretezza, e dire a Cosroe che avesse per adempiuto ogni suo volere; e tanta cura si pose nel celare la bisogna, che nessuno, all’infuori del figlio loro Varame e di un servo, arrivò mai a penetrare dov’e’ si fosse. Trascorsi molti anni il canarange per tema non addivenisse palese la costui esistenza, aiutatolo di danaro e d’ogni corredo necessario alla vita, il fece riparare alla meglio sotto nuovo cielo.
III. Sin qui i complici tennero per modo l’arcano che nè il re, nè altri ebbene il menomo sospetto. Levatosi però Cosroe in appresso con forte esercito a guerreggiare la Colchide e seco menando Varame figlio di Adergudunibade, questi appalesogli la frode, e condusse alla sua presenza in testimonio il servo stesso partecipe del fatto; al che il monarca grandemente adiratosi contro l’infedele canarange, nè potendolo di leggieri avere in sua mano, pensò abbindolarlo con tale artifizio: sendo egli in procinto di abbandonare la Colchide e rivenire in Persia, manifestogli con lettera un suo finto piano di sorprendere per due luoghi differenti le romane terre; volendosi pertanto dimezzare l’esercito a fine di corseggiare ad un tratto al di qua e al di là dell’Eufrate, l’una delle parti condurrebbe di per sè, e conferirebbe a lui, in premio di sua virtù, la capitananza dell’altra; venisse dunque speditamente per concertare seco le misure necessarie al buon evento della impresa; mandogli inoltre delle scorte acciò il seguissero per via. Quegli contentissimo di tanto onore, e ben lunge col pensiero dalla mala ventura che lo attendeva, partì all’istante. Ma cavalcando perduta la forza, in causa dell’età sua non più idonea alle fatiche del viaggio, di tenere in briglia il destriero, cadde, e riportando grave offesa in una gamba fu costretto a sospendere il cammino, e ad occuparsi della propria salute. Cosroe allora, fattoglisi incontro, il consigliò, dacchè la sofferta disgrazia rendevalo inetto al comando dell’esercito, di lasciarsi trasportare in un castello per esservi a suo bell’agio curato; e di tal guisa mandavalo a morte, avendo prescritto che lo accompagnassero gli esecutori stessi della sentenza. Da lì a non molto Cavado figlio di Bazes, o altri che simigliantissime avevane le forme, arrivò in Bizanzio, ed in considerazione dell’avo fu magnificamente accolto ed onorato da Giustiniano.
IV. Mebode eziandio non guari dopo ebbe morte dal re, il quale volendogli parlare di cosa necessaria e di molta conseguenza mandò il zabergan a rintracciarne. Questi, nemico suo di vecchia data, trovatolo ad esercitare le truppe dissegli il comando: e l’altro rispose che v’andrebbe terminata appena l’instruzione. Ma il messo accecato dall’odio esageronne le parole, riferendo in vece ch’e’ non pensava di moversi sotto pretesto di accudire ad altre faccende. Cosroe, uditele, preso da eccessivo sdegno fecegli per uno de’ suoi uffiziali intimare di portarsi al tripode, e che ciò sia vo a darne la spiegazione. Havvi all’entrata della reggia persiana un tripode di ferro su cui vanno a sedere tutti coloro che caddero in disgrazia somma del monarca, per attendervi nel generale abbandono la propria condanna, vietando le leggi di cercare asilo nei tempj. Mebode vi sedè molti giorni in triste e pietosa condizione, e quindi fu spento per opera di mano inviatagli dal re, riportando questa mercede i tanti ed illustri servigi suoi2.