Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo XVI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XVI.
I. Di tal passo procedevano le romane faccende. Cavado però, sebbene vinto, non sapeva decidersi a ritirare le sue truppe; ma Rufino, andato ambascìadore in Persia, arringollo di questo tenore: «Tuo fratello, o re, col mezzo mio teco si querela giustissimamente come armati Persiani violassero senza motivo i nostri confini: quando meglio converrebbe a potentissimo, ed a più che potente assennato monarca il preferire di continuo alla guerra la pace, anzichè valersi di questa a suscitare nimicizie dannose ai proprj sudditi ed ai popoli confinanti. Il desiderio adunque e la speranza di togliere ogni discordia tra’ due regni, e di rendere ad essi la perduta tranquillità qui mi hanno condotto».
II. L’ambasciadore tacque, ed il Persiano rispose: «Lunge mai sempre, o Romani, fu dal mio animo l’accozzare pretesti di guerra, nè v’è chi ignori doversi rifondere sopra voi la cagione principalissima di tutte queste contese. Nostre sono le Porte Caspie, da me cacciatine i barbari a comune vantaggio di Persia e di Roma. Imperciocchè Anastasio imperatore, e tu pure il sai, venendogli offerte, disdegnò farne acquisto a danaro1, giudicando non profittevole al suo erario la spesa d’una guarnigione colà permanente. Da quel tempo io v’ho sempre alimentato numerose truppe, non paventando meno i vostri danni che i miei, le ho fornite di tutto, ed ho procurato a voi il mezzo di godervi in somma pace, scevri dalle molestie di quella temeraria gente, le vostre terre. Ma voi sconoscentissimi di tante cure mi compensaste col fortificare Dara2 in violazione degli accordi tra noi stabiliti coll’opera d’Anatolio. Da quell’epoca io mi vidi costretto a straordinarie spese e ad incredibili fatiche pel governo di due eserciti, l’uno a frenare i Massageti3 dal mettere a ferro e fuoco i nostri e gli imperiali dominj; l’altro a reprimere le stesse vostre scorrerie. Nè remoto è il tempo che mandammo da voi a richiamare contro siffatte ingiustizie, e a dinunziarvi essere mente nostra che o divideste con noi le spese occorrenti a vittovagliare il presidio delle Porte Caspie, o demoliste le munizioni erette in Dara. Ma voi, non accettando alcuna delle proposte, con nuovi insulti avete confermato vie più l’antica romana fellonia; nè vi crediate essere noi tampoco dimentichi delle fortificazioni di Mindo4. Sta dunque a voi, o Romani, lo scegliere fra la pace o la guerra, rendendoci giustizia, o ricusandovi a quanto ella v’impone. Vivete però nella certezza di non vederci spogliare le armi che quando o vi avremo a compagni nella difesa delle Porte Caspie, o le mura e le torri di Dara agguaglieranno il suolo».
III. Cavado sì dicea all’ambasciadore; nell’accomiatarlo però accennògli copertamente che i Romani potrebbero da lui comperare la pace; e Rufino, tornato in Bizanzio non guari prima di Ermogene, fece di tutto riferta a Giustiniano, il quale compieva il quarto anno del suo imperio col terminare del verno.