Ione (Euripide)/Terzo episodio

Terzo episodio

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Euripide - Ione (413 a.C. / 410 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1928)
Terzo episodio
Secondo stasimo Terzo stasimo
Questo testo fa parte della raccolta I poeti greci tradotti da Ettore Romagnoli


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Entra in scena Creusa, sorreggendo il vecchio pedagogo, tardo e quasi cieco.

creusa

Il passo affretta, o precettore antico
di mio padre Erettèo, mentre era vivo,
verso il tempio del Dio, sí che tu possa
meco allegrarti, se l’obliquo Iddio
responso die’ sopra il desio di pargoli.
Partecipare la fortuna è dolce
coi propri amici; e se, deh, non avvenga,
càpiti un male, dolce è pur nel viso
d’un uom che ci ama volgere lo sguardo.
Ed io te, come tu mio padre un tempo,
sebben regina, come un padre venero.

pedagogo

Degni dei degni avoli tuoi, regina,
serbi i costumi; ed agli antichi tuoi
progenitori, che dal suolo nacquero,
tu non fai torto. Affretta il passo, affretta,
al santuario, e guida me: ché ripido

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quivi è l’accesso; il piede mio reggendo,
della vecchiaia mia tu trova il farmaco.

creusa

Seguimi; e l’orma bada ove tu stampi.

pedagogo

Ecco:
il piede è tardo, ma la mente è rapida.

creusa

Col bordon, tutto intorno il suolo tenta.

pedagogo

Se poco io vedo, anche il bordone è cieco.

creusa

Sí; ma pur se sei stanco, non t’abbattere.

pedagogo

Nol vorrei; ma non ho ciò che mi manca.

creusa

Donne, dei miei telai, delle mie spole
ministre fide, quale intorno ai figli

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responso ebbe lo sposo, e si partí?
A ciò venimmo: a me significatelo;
e non avrai, qualora siano fauste,
gioia recata a una signora ingrata.

corifea

Oh Dèmone!

creusa

Lieto non è dei tuoi detti il preludio.

corifea

Oh misera!

creusa

Forse i responsi ch’ebbe il re, mi nuocciono?

corifea

Ahi, che farò? Su me la morte incombe.

creusa

Che canzone è mai questa? E di che temi?

corifea

Favelliamo? Tacciamo? O che facciamo?

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creusa

Parla: annunziarmi una sventura devi.

corifea

Favellerò, dovessi anche due volte
morir. Dato non t’è, regina, in braccio
prendere, al seno avvicinare un pargolo.

creusa

Deh, potessi morire!

pedagogo

Figlia!

creusa

               Me misera, quale disgrazia!
Amiche, un tale cruccio mi strazia,
che intollerabile mi fa la vita.

pedagogo

Per noi, figlia, è finita!

creusa

Ahimè, ahimè!
Questo cordoglio
da parte a parte penetra il seno.

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pedagogo

Ai gemiti pon freno!

creusa

Mi sfuggon gli ululi!

pedagogo

Pria che si apprenda...

creusa

                                             Quale messaggio?

pedagogo

Se della stessa tua sorte partecipe
teco è il Sire infelice, o sei tu sola.

corifea

Un figlio, o vecchio, a lui diede l’Ambiguo:
senza costei, felice egli è per sé.

creusa

Un male, un male detto hai supremo,
che all’altro aggiungesi! Io gemo io gemo!

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pedagogo

Da qualche donna profetò che il pargolo
nascer dovrebbe? O nato egli è di già?

corifea

Nato di già, compiuto giovinetto:
al mio cospetto, a lui lo die’ l’Ambiguo.

creusa

Che dici? Crederti non so, non è
possibil quello che narri a me!

pedagogo

Sembra anche a me; ma del responso l’esito
e il fanciullo chi sia piú chiaro esponi.

corifea

Il primo che trovò, dal tempio uscendo,
lo sposo tuo, gli die’ per figlio il Nume.

creusa

Ahimè, ahimè!
Di figli priva, di figli priva
sarà ch’io viva!
Nella magione deserta, i giorni
in solitudine trascorrerò.

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pedagogo

Or chi disse il responso? E verso chi
le vestigia del pie’ volse lo sposo
di questa sventurata? Ove lo vide?

corifea

Padrona cara, non ricordi il giovine
che spazzava il recinto? È quello il figlio.

creusa

Deh, lungi lungi dal suol de l’Ellade,
per l’aere trepido spiccarmi a volo
potessi, verso gli astri del vespero:
sí acerbo, amiche dolci, è il mio duolo.

pedagogo

Conosci il nome onde l’appella il padre?
O tacque, e tu non puoi darne novella?

corifea

Ione: ché primo egli iva al padre incontro.
La madre quale sia, dir non ti posso.
Ed il suo sposo andò — per dirti, o vecchio,
tutto quello ch’io so — segretamente,
lungi, alle tende sacre; ed offre qui
sacrifizi ospitali e genetlíaci,
e col figlio novello a mensa siede.

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pedagogo

Siamo traditi: dico siam: ché il tuo
danno, o regina, è danno mio: d’intrigo
siamo offesi, e d’ingiuria, e d’Erettèo
siam dalle case discacciati. Io parlo
non per odio al signor tuo, ma perché
amo te piú che lui: ch’egli, foresto
venne alla tua città, t’ebbe consorte,
ebbe la casa tua, l’eredità
tua tutta quanta, e adesso è manifesto
che di nascosto figli procreò
da un’altra donna. E che fu di nascosto
te lo dimostrerò. Com’ei ti seppe
sterile, a te non volle essere simile,
partecipar la tua iattura; e, scelto
un talamo servile, e celebratevi
nozze furtive, un figlio generò,
dalla patria portar lungi lo fece,
e l’affidò, ché lo nutrisse, a qualche
cittadino di Delfi. E il pargoletto,
perché celato rimanesse, libero
nella casa del Dio cresciuto fu.
E quando poi lo seppe adolescente,
a venir qui t’indusse, per la vostra
sterilità. Né fece inganno il Nume:
inganno, ei fece, che di furto il pargolo
a lungo crebbe, e questo laccio tese.
Se scoperto, imputato il Nume avrebbe;
e, restando nascosto, e a suo vantaggio
traendo il tempo, a lui trasmessa avrebbe
la tua sovranità. Di Ione il nome

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come l’evento volle, indi foggiò,
perché mentre iva in lui s’era imbattuto.

coro

Quanto aborrisco i tristi che commettono
il male, e con inganni indi l'adornano!
Vo’ per amico un probo, e sia pur semplice,
meglio che un tristo, e sia d’acuto ingegno.

pedagogo

E il male patirai fra tutti estremo,
che in casa tua come padrone accogliere
un uom dovrai di nessun conto, il figlio
d’una schiava, un bastardo: assai men grave
sarebbe il mal, se il tuo sposo, adducendo
la tua sterilità, col tuo consenso,
d’una libera il figlio avesse eletto,
e se questo gradito a te non fosse,
tornar doveva alla magione d’Eolo.
Quindi conviene che qualche atto degno
d’una donna tu compia: o il ferro impugna,
o con inganno o con veleno uccidi
il tuo consorte e il suo figliuolo, prima
ch’essi uccidano te. Ché, se trascuri
di farlo, al fine la tua vita è giunta:
quando un sol tetto due nemici alberga,
la mala sorte o l’uno o l’altro aspetta.
Ed io con te vo’ sobbarcarmi all’opera,
e nella casa entrato ove il tuo sposo
ammannisce il convito, insiem con te

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uccidere il fanciullo, e ai miei signori
conquistati i trofei, morire, oppure
vivere, e luce ancor veder. Ché ai servi
solo una cosa fa vergogna: il nome;
ma in tutto il resto, inferiore ai liberi
uno schiavo non è, quando sia probo.

coro

Anch’io, regina, vo’, la tua ventura
partecipando, o morte, o degna vita.

creusa

O anima, come tacere?
Or come svelar le segrete
mie nozze, e il pudore obliare?
Quale ostacolo piú mi rattiene?
Gareggiar d’onestà, con chi debbo?
il mio sposo non è traditore?
Sono priva di casa, di figli,
è lontana la speme, che addurre
a bell’esito invano sperai,
tacendo le nozze,
tacendo il mio flebile parto.
Ma no, per la sede
di Giove cosparsa di stelle,
per la Dea che dimora sovresse
le mie rupi, pei lidi beati
dell’umido stagno Tritònide,
piú nasconder non vo’ quel mio talamo;
e, sgombro che n’abbia il mio cuore,

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vivrò piú leggèra.
I miei cigli di lagrime stillano,
tutta è l’anima un cruccio, ché insidie
mi tesero gli uomini, mi tesero i Súperi;
e questi io denuncio
traditori del talamo e ingrati.
O tu, che sovressa la cetera
settemplice intoni la voce,
che l’eco nel corneo silvestre
esanime guscio
ridesti degl’inni canori
delle Muse, a te biasimo infliggo,
in questo raggiare
del giorno, o figliuol di Latona.

Strofe
Tu giungesti, dai crini tuoi d’oro
scintillando, mentre io nel mio peplo
falciavo, a fiorirne il mio seno,
i petali d’oro e di croco.
Il fior dalle mani mie candide
ghermisti, e dell’antro nel talamo
mentre io «Madre mia!»
gridavo, tu Dio,
bandito il pudor, mi rapisti,
compiacendo alle brame di Cipride.

Antistrofe
E un figlio mi nacque, o me misera,
che io, per timor di mia madre,
deposi in quell’antro medesimo
dove in talami tristi me triste

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possedesti, o sciagura di me!
Me misera! Ed ecco, perduto,
rapito fu a volo,
fu pasto d’aligeri
mio figlio; e tu, intanto, fai gemere
la tua cétera, e intoni i peani.

Epodo
Ehi là, di Latona figliuolo,
dico a te che i responsi partisci
sopra i seggi dorati, e le sedi
della terra centrali: alle orecchie
la mia voce farò che ti suoni.
Ehi là, seduttore malvagio,
che sino alla casa
del mio sposo, che grazia veruna
non ha presso te,
conduci un figliuolo.
E il mio figlio, il tuo figlio è perduto,
degli alati fu preda, e le fasce
che la madre gli cinse, perde’.
Te Delo aborrisce, te i rami
del lauro, vicino alla palma
dalla morbida chioma, ove Lato
die’ a luce la sacra sua prole
concetta da Giove.

coro

Ahimè, di mali qual profluvio s’apre,
per cui tutti versar dovranno lagrime!

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pedagogo

Figlia, mirando il viso tuo, di pianto
sazïar non mi posso, e fuor di me
sono. Allorché di mali una sentina
nel seno accolta avevo già, da poppa
m’investe un altro cavallone, udendo
le tue parole, onde tu ti distogli
dal mal presente, verso vie novelle
di cordogli. Che dici? E quale mai
è quest’accusa che all’Ambiguo volgi?
Qual figlio, dici, hai partorito? Ov’ebbe
tomba alle fiere grata? A me ripetilo.

creusa

Onta n’ho, padre; eppure parlerò.

pedagogo

So cogli amici onestamente piangere.

creusa

E dimmi al lor: sai le Cecropie rupi?

pedagogo

Sí, presso all’antro ed all’altar di Pane.

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creusa

Quivi affrontai terribile un cimento.

pedagogo

Quale? T’ascolto, e il pianto al ciglio irrompe.

creusa

Fui sposa a Febo, a mal mio grado, o misera!

pedagogo

O figlia! È quello ond’ebbi pur sospetto...

creusa

Non so, parlami chiaro, ed io rispondo.

pedagogo

Quando gemevi, ascosa, arcano morbo.

creusa

Fu allor: chiaro quel morbo ora ti dico.

pedagogo

Quelle nozze celar come potesti?

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creusa

Partorii... paziente, o padre, ascoltami.

pedagogo

Dove? Chi t’assiste’? Sola soffristi?

creusa

Sola, nell’antro appunto ove fui sposa.

pedagogo

Hai dunque un figlio, orba non sei? Dov’è?

creusa

Padre, alle fiere esposto fu: non vive.

pedagogo

È morto? E Apollo nulla fece? O tristo!

creusa

Nulla: allevato nell’Averno fu.

pedagogo

E chi l’espose mai? Tu no, di certo!

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creusa

Io sí: col peplo l’infasciai, nel buio.

pedagogo

E nell’esporlo, niuno fu tuo complice?

creusa

Del segreto la brama, e la sventura.

pedagogo

Lasciar nell’antro il bimbo avesti cuore?

creusa

In quanti non proruppi acerbi lai!

pedagogo

Ahimè!
Spietata fosti, e il Nume piú di te.

creusa

L’avessi visto! Mi tendea le mani...

pedagogo

Cercava il seno? o per venirti in braccio?

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creusa

Appunto, e non lo accolsi, io, lo respinsi.

pedagogo

E qual pensiero t’indusse ad esporlo?

creusa

Che la sua prole il Dio salvato avrebbe.

pedagogo

Come il ben di tre case abbatte un turbine!

creusa

Perché nascondi il capo e versi lagrime?

pedagogo

Perché tuo padre e te vedo sí miseri.

creusa

È la sorte mortal: tutto tramuta.

pedagogo

Ma non s’indugi piú, figlia, nei gemiti.

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creusa

Che devo far? Che mezzi ha la sventura?

pedagogo

Punisci il Nume che primo t’offese.

creusa

Potrò, mortale, vincere i piú forti?

pedagogo

Brucia d’Apollo il venerando oracolo.

creusa

Temo. Su me già troppi mali pesano.

pedagogo

Osa allor ciò che puoi: lo sposo uccidi.

creusa

Un tempo egli m’amò: quindi mi pèrito.

pedagogo

Il figlio uccidi almeno or ora apparso.

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creusa

Come? Ben lo vorrei. Fosse possibile!

pedagogo

Arma di spada ai tuoi ministri il pugno.

creusa

Vado. Ma dove s’ha da compier l’opera?

pedagogo

Entro le sacre tende, ove banchettano.

creusa

Troppo aperto lo scempio, e i servi imbelli.

pedagogo

Ahi, ti scoraggi! Un mezzo allor tu cerca.

creusa

Posseggo un mezzo, di frode e di forza.

pedagogo

In questa e in quella io son pronto a servirti.

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creusa

Odi. Sai tu la pugna dei Giganti?

pedagogo

Sí che in Flegra i Giganti agli Dei mossero.

creusa

Qui Gea partorí Gòrgo, orrido mostro.

pedagogo

Alleato ai suoi figli, ai Numi cruccio.

creusa

Appunto. E poi l’uccise la Dea Pàllade.

pedagogo

Istoria è questa che da tempo io so.

creusa

La sua pelle sul seno Atena reca.

pedagogo

Ch’ègida ha nome, ed è veste di Pàllade?

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creusa

Quando pugnò pei Numi ebbe tal nome.

pedagogo

Qual selvaggia figura avea d’insegna?

creusa

Irto uno scudo di spire di serpe.

pedagogo

E qual può recar danno ai tuoi nemici?

creusa

Sai d’Erittonio — e come non sapresti...

pedagogo

Che dal suol nacque, primo avolo vostro?

creusa

Diede a costui, com’egli nacque, Pàllade...

pedagogo

Che cosa? Troppo il tuo discorso indugia.

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creusa

Due gocciole del sangue della Gòrgone.

pedagogo

E qual potere sopra l’uomo aveano?

creusa

L’una mortale, e l’altra salutifero.

pedagogo

Come le appese al corpo del fanciullo?

creusa

Con lacci aurei: le diede esso a mio padre.

pedagogo

E tu, quand’ei morí, l’ereditasti?

creusa

Giusto. E le porto strette al polso, qui.

pedagogo

Qual tempra hanno le due stille divine?

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creusa

Quella sprizzata dalla vena cava...

pedagogo

Qual’è la sua virtú? Per che s’adopera?

creusa

I morbi fuga, e la vita corrobora.

pedagogo

E che potere ha la seconda stilla?

creusa

Uccide: è tosco dei serpi di Gòrgone.

pedagogo

E congiunte le rechi, oppur divise?

creusa

Divise: al mal non va commisto il bene.

pedagogo

Quanto occorre tutto hai, figlia carissima!

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creusa

Ne morrà Ione; e tu l’ucciderai.

pedagogo

Tu parla, a me l’osar. Che farò? Dove?

creusa

Quand’egli in casa mia giunga ad Atene.

pedagogo

Come non m’approvasti, or non t’approvo.

creusa

Come? In te nacque il mio stesso sospetto?

pedagogo

Tu la rea sembreresti, anche non fossi.

creusa

Già: la matrigna odia i figliastri, dicono.

pedagogo

Qui, dove puoi negar la strage, uccidilo.

[p. 224 modifica]


creusa

Già di questo piacere io l’ora anticipo.

pedagogo

E a Xuto celerai ciò ch’ei ti cela.

creusa

Sai tu che devi far? Dalla mia mano
questo gioiello d’oro, opera antica
d’Atena prendi, e va dove lo sposo
celebra sacrifici, e a me si cela;
e quando poi, giunta la cena al termine,
libagioni ai Numi a offrir s’apprestino,
dal peplo, ove l’avrai nascosto, prendilo,
e nel bicchiere al giovinetto versalo —
non a tutti, a lui sol, sappi distinguere —
ch’esser padrone in casa mia dovrebbe:
che mai, se pur gli scenderà nell’ugola,
verrà in Atene, e qui resterà morto.

pedagogo

Nella casa ospitale or tu ritorna,
ed io quanto ordinasti compierò.
Creusa si allontana.

Vecchio mio piede, all’opra or torna giovine,
anche se gli anni piú non tel consentono.
Con la signora sul nemico piomba,

[p. 225 modifica]

uccidilo con lei, di casa scaccialo.
Coltivar pietà, bene è, se ridono
prosperi eventi; ma convien, se nuocere
devi al nemico, frangere ogni legge.
Si allontana.