Ione (Euripide)/Terzo episodio
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Entra in scena Creusa, sorreggendo il vecchio pedagogo, tardo e quasi cieco.
creusa
Il passo affretta, o precettore antico
di mio padre Erettèo, mentre era vivo,
verso il tempio del Dio, sí che tu possa
meco allegrarti, se l’obliquo Iddio
responso die’ sopra il desio di pargoli.
Partecipare la fortuna è dolce
coi propri amici; e se, deh, non avvenga,
càpiti un male, dolce è pur nel viso
d’un uom che ci ama volgere lo sguardo.
Ed io te, come tu mio padre un tempo,
sebben regina, come un padre venero.
pedagogo
Degni dei degni avoli tuoi, regina,
serbi i costumi; ed agli antichi tuoi
progenitori, che dal suolo nacquero,
tu non fai torto. Affretta il passo, affretta,
al santuario, e guida me: ché ripido
quivi è l’accesso; il piede mio reggendo,
della vecchiaia mia tu trova il farmaco.
creusa
Seguimi; e l’orma bada ove tu stampi.
pedagogo
Ecco:
il piede è tardo, ma la mente è rapida.
creusa
Col bordon, tutto intorno il suolo tenta.
pedagogo
Se poco io vedo, anche il bordone è cieco.
creusa
Sí; ma pur se sei stanco, non t’abbattere.
pedagogo
Nol vorrei; ma non ho ciò che mi manca.
creusa
Donne, dei miei telai, delle mie spole
ministre fide, quale intorno ai figli
responso ebbe lo sposo, e si partí?
A ciò venimmo: a me significatelo;
e non avrai, qualora siano fauste,
gioia recata a una signora ingrata.
corifea
Oh Dèmone!
creusa
Lieto non è dei tuoi detti il preludio.
corifea
Oh misera!
creusa
Forse i responsi ch’ebbe il re, mi nuocciono?
corifea
Ahi, che farò? Su me la morte incombe.
creusa
Che canzone è mai questa? E di che temi?
corifea
Favelliamo? Tacciamo? O che facciamo?
creusa
Parla: annunziarmi una sventura devi.
corifea
Favellerò, dovessi anche due volte
morir. Dato non t’è, regina, in braccio
prendere, al seno avvicinare un pargolo.
creusa
Deh, potessi morire!
pedagogo
Figlia!
creusa
Me misera, quale disgrazia!
Amiche, un tale cruccio mi strazia,
che intollerabile mi fa la vita.
pedagogo
Per noi, figlia, è finita!
creusa
Ahimè, ahimè!
Questo cordoglio
da parte a parte penetra il seno.
pedagogo
Ai gemiti pon freno!
creusa
Mi sfuggon gli ululi!
pedagogo
Pria che si apprenda...
creusa
Quale messaggio?
pedagogo
Se della stessa tua sorte partecipe
teco è il Sire infelice, o sei tu sola.
corifea
Un figlio, o vecchio, a lui diede l’Ambiguo:
senza costei, felice egli è per sé.
creusa
Un male, un male detto hai supremo,
che all’altro aggiungesi! Io gemo io gemo!
pedagogo
Da qualche donna profetò che il pargolo
nascer dovrebbe? O nato egli è di già?
corifea
Nato di già, compiuto giovinetto:
al mio cospetto, a lui lo die’ l’Ambiguo.
creusa
Che dici? Crederti non so, non è
possibil quello che narri a me!
pedagogo
Sembra anche a me; ma del responso l’esito
e il fanciullo chi sia piú chiaro esponi.
corifea
Il primo che trovò, dal tempio uscendo,
lo sposo tuo, gli die’ per figlio il Nume.
creusa
Ahimè, ahimè!
Di figli priva, di figli priva
sarà ch’io viva!
Nella magione deserta, i giorni
in solitudine trascorrerò.
pedagogo
Or chi disse il responso? E verso chi
le vestigia del pie’ volse lo sposo
di questa sventurata? Ove lo vide?
corifea
Padrona cara, non ricordi il giovine
che spazzava il recinto? È quello il figlio.
creusa
Deh, lungi lungi dal suol de l’Ellade,
per l’aere trepido spiccarmi a volo
potessi, verso gli astri del vespero:
sí acerbo, amiche dolci, è il mio duolo.
pedagogo
Conosci il nome onde l’appella il padre?
O tacque, e tu non puoi darne novella?
corifea
Ione: ché primo egli iva al padre incontro.
La madre quale sia, dir non ti posso.
Ed il suo sposo andò — per dirti, o vecchio,
tutto quello ch’io so — segretamente,
lungi, alle tende sacre; ed offre qui
sacrifizi ospitali e genetlíaci,
e col figlio novello a mensa siede.
pedagogo
Siamo traditi: dico siam: ché il tuo
danno, o regina, è danno mio: d’intrigo
siamo offesi, e d’ingiuria, e d’Erettèo
siam dalle case discacciati. Io parlo
non per odio al signor tuo, ma perché
amo te piú che lui: ch’egli, foresto
venne alla tua città, t’ebbe consorte,
ebbe la casa tua, l’eredità
tua tutta quanta, e adesso è manifesto
che di nascosto figli procreò
da un’altra donna. E che fu di nascosto
te lo dimostrerò. Com’ei ti seppe
sterile, a te non volle essere simile,
partecipar la tua iattura; e, scelto
un talamo servile, e celebratevi
nozze furtive, un figlio generò,
dalla patria portar lungi lo fece,
e l’affidò, ché lo nutrisse, a qualche
cittadino di Delfi. E il pargoletto,
perché celato rimanesse, libero
nella casa del Dio cresciuto fu.
E quando poi lo seppe adolescente,
a venir qui t’indusse, per la vostra
sterilità. Né fece inganno il Nume:
inganno, ei fece, che di furto il pargolo
a lungo crebbe, e questo laccio tese.
Se scoperto, imputato il Nume avrebbe;
e, restando nascosto, e a suo vantaggio
traendo il tempo, a lui trasmessa avrebbe
la tua sovranità. Di Ione il nome
come l’evento volle, indi foggiò,
perché mentre iva in lui s’era imbattuto.
coro
Quanto aborrisco i tristi che commettono
il male, e con inganni indi l'adornano!
Vo’ per amico un probo, e sia pur semplice,
meglio che un tristo, e sia d’acuto ingegno.
pedagogo
E il male patirai fra tutti estremo,
che in casa tua come padrone accogliere
un uom dovrai di nessun conto, il figlio
d’una schiava, un bastardo: assai men grave
sarebbe il mal, se il tuo sposo, adducendo
la tua sterilità, col tuo consenso,
d’una libera il figlio avesse eletto,
e se questo gradito a te non fosse,
tornar doveva alla magione d’Eolo.
Quindi conviene che qualche atto degno
d’una donna tu compia: o il ferro impugna,
o con inganno o con veleno uccidi
il tuo consorte e il suo figliuolo, prima
ch’essi uccidano te. Ché, se trascuri
di farlo, al fine la tua vita è giunta:
quando un sol tetto due nemici alberga,
la mala sorte o l’uno o l’altro aspetta.
Ed io con te vo’ sobbarcarmi all’opera,
e nella casa entrato ove il tuo sposo
ammannisce il convito, insiem con te
uccidere il fanciullo, e ai miei signori
conquistati i trofei, morire, oppure
vivere, e luce ancor veder. Ché ai servi
solo una cosa fa vergogna: il nome;
ma in tutto il resto, inferiore ai liberi
uno schiavo non è, quando sia probo.
coro
Anch’io, regina, vo’, la tua ventura
partecipando, o morte, o degna vita.
creusa
O anima, come tacere?
Or come svelar le segrete
mie nozze, e il pudore obliare?
Quale ostacolo piú mi rattiene?
Gareggiar d’onestà, con chi debbo?
il mio sposo non è traditore?
Sono priva di casa, di figli,
è lontana la speme, che addurre
a bell’esito invano sperai,
tacendo le nozze,
tacendo il mio flebile parto.
Ma no, per la sede
di Giove cosparsa di stelle,
per la Dea che dimora sovresse
le mie rupi, pei lidi beati
dell’umido stagno Tritònide,
piú nasconder non vo’ quel mio talamo;
e, sgombro che n’abbia il mio cuore,
vivrò piú leggèra.
I miei cigli di lagrime stillano,
tutta è l’anima un cruccio, ché insidie
mi tesero gli uomini, mi tesero i Súperi;
e questi io denuncio
traditori del talamo e ingrati.
O tu, che sovressa la cetera
settemplice intoni la voce,
che l’eco nel corneo silvestre
esanime guscio
ridesti degl’inni canori
delle Muse, a te biasimo infliggo,
in questo raggiare
del giorno, o figliuol di Latona.
Strofe
Tu giungesti, dai crini tuoi d’oro
scintillando, mentre io nel mio peplo
falciavo, a fiorirne il mio seno,
i petali d’oro e di croco.
Il fior dalle mani mie candide
ghermisti, e dell’antro nel talamo
mentre io «Madre mia!»
gridavo, tu Dio,
bandito il pudor, mi rapisti,
compiacendo alle brame di Cipride.
Antistrofe
E un figlio mi nacque, o me misera,
che io, per timor di mia madre,
deposi in quell’antro medesimo
dove in talami tristi me triste
possedesti, o sciagura di me!
Me misera! Ed ecco, perduto,
rapito fu a volo,
fu pasto d’aligeri
mio figlio; e tu, intanto, fai gemere
la tua cétera, e intoni i peani.
Epodo
Ehi là, di Latona figliuolo,
dico a te che i responsi partisci
sopra i seggi dorati, e le sedi
della terra centrali: alle orecchie
la mia voce farò che ti suoni.
Ehi là, seduttore malvagio,
che sino alla casa
del mio sposo, che grazia veruna
non ha presso te,
conduci un figliuolo.
E il mio figlio, il tuo figlio è perduto,
degli alati fu preda, e le fasce
che la madre gli cinse, perde’.
Te Delo aborrisce, te i rami
del lauro, vicino alla palma
dalla morbida chioma, ove Lato
die’ a luce la sacra sua prole
concetta da Giove.
coro
Ahimè, di mali qual profluvio s’apre,
per cui tutti versar dovranno lagrime!
pedagogo
Figlia, mirando il viso tuo, di pianto
sazïar non mi posso, e fuor di me
sono. Allorché di mali una sentina
nel seno accolta avevo già, da poppa
m’investe un altro cavallone, udendo
le tue parole, onde tu ti distogli
dal mal presente, verso vie novelle
di cordogli. Che dici? E quale mai
è quest’accusa che all’Ambiguo volgi?
Qual figlio, dici, hai partorito? Ov’ebbe
tomba alle fiere grata? A me ripetilo.
creusa
Onta n’ho, padre; eppure parlerò.
pedagogo
So cogli amici onestamente piangere.
creusa
E dimmi al lor: sai le Cecropie rupi?
pedagogo
Sí, presso all’antro ed all’altar di Pane.
creusa
Quivi affrontai terribile un cimento.
pedagogo
Quale? T’ascolto, e il pianto al ciglio irrompe.
creusa
Fui sposa a Febo, a mal mio grado, o misera!
pedagogo
O figlia! È quello ond’ebbi pur sospetto...
creusa
Non so, parlami chiaro, ed io rispondo.
pedagogo
Quando gemevi, ascosa, arcano morbo.
creusa
Fu allor: chiaro quel morbo ora ti dico.
pedagogo
Quelle nozze celar come potesti?
creusa
Partorii... paziente, o padre, ascoltami.
pedagogo
Dove? Chi t’assiste’? Sola soffristi?
creusa
Sola, nell’antro appunto ove fui sposa.
pedagogo
Hai dunque un figlio, orba non sei? Dov’è?
creusa
Padre, alle fiere esposto fu: non vive.
pedagogo
È morto? E Apollo nulla fece? O tristo!
creusa
Nulla: allevato nell’Averno fu.
pedagogo
E chi l’espose mai? Tu no, di certo!
creusa
Io sí: col peplo l’infasciai, nel buio.
pedagogo
E nell’esporlo, niuno fu tuo complice?
creusa
Del segreto la brama, e la sventura.
pedagogo
Lasciar nell’antro il bimbo avesti cuore?
creusa
In quanti non proruppi acerbi lai!
pedagogo
Ahimè!
Spietata fosti, e il Nume piú di te.
creusa
L’avessi visto! Mi tendea le mani...
pedagogo
Cercava il seno? o per venirti in braccio?
creusa
Appunto, e non lo accolsi, io, lo respinsi.
pedagogo
E qual pensiero t’indusse ad esporlo?
creusa
Che la sua prole il Dio salvato avrebbe.
pedagogo
Come il ben di tre case abbatte un turbine!
creusa
Perché nascondi il capo e versi lagrime?
pedagogo
Perché tuo padre e te vedo sí miseri.
creusa
È la sorte mortal: tutto tramuta.
pedagogo
Ma non s’indugi piú, figlia, nei gemiti.
creusa
Che devo far? Che mezzi ha la sventura?
pedagogo
Punisci il Nume che primo t’offese.
creusa
Potrò, mortale, vincere i piú forti?
pedagogo
Brucia d’Apollo il venerando oracolo.
creusa
Temo. Su me già troppi mali pesano.
pedagogo
Osa allor ciò che puoi: lo sposo uccidi.
creusa
Un tempo egli m’amò: quindi mi pèrito.
pedagogo
Il figlio uccidi almeno or ora apparso.
creusa
Come? Ben lo vorrei. Fosse possibile!
pedagogo
Arma di spada ai tuoi ministri il pugno.
creusa
Vado. Ma dove s’ha da compier l’opera?
pedagogo
Entro le sacre tende, ove banchettano.
creusa
Troppo aperto lo scempio, e i servi imbelli.
pedagogo
Ahi, ti scoraggi! Un mezzo allor tu cerca.
creusa
Posseggo un mezzo, di frode e di forza.
pedagogo
In questa e in quella io son pronto a servirti.
creusa
Odi. Sai tu la pugna dei Giganti?
pedagogo
Sí che in Flegra i Giganti agli Dei mossero.
creusa
Qui Gea partorí Gòrgo, orrido mostro.
pedagogo
Alleato ai suoi figli, ai Numi cruccio.
creusa
Appunto. E poi l’uccise la Dea Pàllade.
pedagogo
Istoria è questa che da tempo io so.
creusa
La sua pelle sul seno Atena reca.
pedagogo
Ch’ègida ha nome, ed è veste di Pàllade?
creusa
Quando pugnò pei Numi ebbe tal nome.
pedagogo
Qual selvaggia figura avea d’insegna?
creusa
Irto uno scudo di spire di serpe.
pedagogo
E qual può recar danno ai tuoi nemici?
creusa
Sai d’Erittonio — e come non sapresti...
pedagogo
Che dal suol nacque, primo avolo vostro?
creusa
Diede a costui, com’egli nacque, Pàllade...
pedagogo
Che cosa? Troppo il tuo discorso indugia.
creusa
Due gocciole del sangue della Gòrgone.
pedagogo
E qual potere sopra l’uomo aveano?
creusa
L’una mortale, e l’altra salutifero.
pedagogo
Come le appese al corpo del fanciullo?
creusa
Con lacci aurei: le diede esso a mio padre.
pedagogo
E tu, quand’ei morí, l’ereditasti?
creusa
Giusto. E le porto strette al polso, qui.
pedagogo
Qual tempra hanno le due stille divine?
creusa
Quella sprizzata dalla vena cava...
pedagogo
Qual’è la sua virtú? Per che s’adopera?
creusa
I morbi fuga, e la vita corrobora.
pedagogo
E che potere ha la seconda stilla?
creusa
Uccide: è tosco dei serpi di Gòrgone.
pedagogo
E congiunte le rechi, oppur divise?
creusa
Divise: al mal non va commisto il bene.
pedagogo
Quanto occorre tutto hai, figlia carissima!
creusa
Ne morrà Ione; e tu l’ucciderai.
pedagogo
Tu parla, a me l’osar. Che farò? Dove?
creusa
Quand’egli in casa mia giunga ad Atene.
pedagogo
Come non m’approvasti, or non t’approvo.
creusa
Come? In te nacque il mio stesso sospetto?
pedagogo
Tu la rea sembreresti, anche non fossi.
creusa
Già: la matrigna odia i figliastri, dicono.
pedagogo
Qui, dove puoi negar la strage, uccidilo.
creusa
Già di questo piacere io l’ora anticipo.
pedagogo
E a Xuto celerai ciò ch’ei ti cela.
creusa
Sai tu che devi far? Dalla mia mano
questo gioiello d’oro, opera antica
d’Atena prendi, e va dove lo sposo
celebra sacrifici, e a me si cela;
e quando poi, giunta la cena al termine,
libagioni ai Numi a offrir s’apprestino,
dal peplo, ove l’avrai nascosto, prendilo,
e nel bicchiere al giovinetto versalo —
non a tutti, a lui sol, sappi distinguere —
ch’esser padrone in casa mia dovrebbe:
che mai, se pur gli scenderà nell’ugola,
verrà in Atene, e qui resterà morto.
pedagogo
Nella casa ospitale or tu ritorna,
ed io quanto ordinasti compierò.
Creusa si allontana.
Vecchio mio piede, all’opra or torna giovine,
anche se gli anni piú non tel consentono.
Con la signora sul nemico piomba,
uccidilo con lei, di casa scaccialo.
Coltivar pietà, bene è, se ridono
prosperi eventi; ma convien, se nuocere
devi al nemico, frangere ogni legge.
Si allontana.