XXIII. Melai

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XXII XXIV

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XXIII.


MELAI.


Vediamo madama Caramella che va incontro verso il cancello; e dice forte: “Ma si figuri!„ E poi chiama Oretta: “Oretta, vien giù„.

I sassolini del viale scricchiolarono sotto le scarpe ferrate: ma la presenza del guerriero non corrispose al rumore delle sue scarpe.

Era un ragazzo un po’ smilzo, un po’ biondino, che quando ci vide si mise in posizione d’attenti, con una bocchina che sorrideva. Noi ordinammo: “riposo!„

Madama Caramella spiegò che era uno “dei suoi feriti,„ e che era venuto a prendere delle calze che gli avevano promesso.

— Ma — dice lui — io non volevo venire; ma siccome domani ci si veste e si va, così ho detto fra me: già che te le hanno promesse quelle calze, tant’è che tu le prenda, che ti faranno bene lassù. Ma io proprio non volevo venire. Volevo venire l’altra sera, ma poi mi han fatto sbagliar strada. Sarei venuto domani, ma è che domani si parte.

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L’avvocato fa entrare in casa, e vuol presentare, ma non sa il nome.

— Melai, signor sì. Sono Melai, — Pare che si desideri sapere un po’ di più, e allora vien fuori tutto un getto come da un botticino a cui è tolto lo spillo: — Marco Melai da Firenze, tanto per dire, perchè allora mio babbo era di guarnigione a Firenze. Quando scoppiò la guerra, io mi trovavo a Torino, studente per mo’ di dire. Si faceva baldoria. E allora ho detto: “Melai che stai a fare?„ Capirà, ero solo. Papà al fronte, che è colonnello; signor sì.

— E la mamma? — domanda l’avvocato.

— Mammina è tanto che non c’è più. Signor no. E mi sono arrolato prima del tempo in cavalleria. “Se ti va bene, se ti va, puoi far carriera„, dico fra me. Ambizioni da ragazzi, si sa! Credevo allora che sarei entrato, sciabolando, a Trieste, e urlando: “Savoia, Savoia„. Si seguitò poi per sei mesi a far baldoria a Torino, tanto che mi fecero persino la canzonetta futurista.

L’avvocato vuol sentir la canzonetta.

Signor no, signor sì, Melai finisce col cantare.

O Melai, se tu tornassi,
si farebbe a Torino baldoria;
già si sa che la tua gloria
finirà tra quattro sassi.

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— E poi? — domanda l’avvocato.

— Poi la cavalleria l’hanno appiedata e sono passato negli alpini. Oh, ma dopo che ho passato l’inverno lassù, ho messo giudizio. Signor sì, sopra Cortina. Ora ci si ritorna. Dove? Non so. Ma domani si parte definitivamente.

Ride.

L’avvocato fa portare da bere. Melai fa il complimentoso e beve come una damina.

— Vero — dice madama Caramella — che pare una signorina? Biondino come è!

— Me l’hanno detto anche altri — dice Melai.

— E pensare che ha già fatto la guerra! — dice l’avvocato.

Oretta vien giù col pacchetto delle calze, legato con un filo tricolore. Melai prende per il filo, e grandi ringraziamenti. Madama Caramella spiega che son calze di vera lana, fatte coi ferri e con il sentimento; non per divertimento come fanno le signore.

*

Accompagnamento generale al cancello. Auguri e saluti.

— Ma tu non dici niente? — domanda l’avvocato a Oretta.

Oretta non dice niente.

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— È così timida questa ragazza.

Ritorno in silenzio.

Il silenzio è rotto dall’avvocato. Dice:

— Chi fa la guerra? Contadini comandati da questi ragazzi.

— Sì, capisco — mi permetto di dire io — ma per scorticare quei signori là, ci vogliono tipi come me e come lei. Questi ragazzi si fanno ammazzare cavallerescamente, sì; ma come fringuelli.

Io ho detto così nel modo più innocente: ma non avessi mai pronunciato queste parole!

Oretta sgrana due occhi che fanno scomparire tutta la serenità ai laghi alpini. Dice come in un singhiozzo: — Ma se si porta via la fede a chi non ha che la fede, che cosa resta? Ah, è vile tutto questo, signore!

— Oretta! — esclamò mamà.

— Ma Oretta! — esclamò il papà. — Chiedo io scusa per lei, cavaliere.

— Non c’è di che — dico io, — anzi mi piace constatare che la signorina non è timida. Io non ho avuto l’onore di farmi intendere: io volevo dir questo: in guerra, il primo dovere è di ammazzare, ma non di farsi ammazzare.

— E allora, perchè lei non ci va?

— Ma Oretta! — dice ancora mamà.

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— Oretta! — esclama il papà.

— Signorina, — dico io —, noi lavoriamo già per lo Stato.

— La perdoni — mi dice il papà. — È il gran patriottismo.

(Mi pare patriottismo un po’ sospetto).