XXIV. Cappelletti, champagne e tartufi

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XXIV. Cappelletti, champagne e tartufi
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XXIV.


CAPPELLETTI, CHAMPAGNE E TARTUFI.


La Lisetta viene su tutta sudata con la spesa.

Dice: — Oggi gran pranzo! Cappelletti, pasticcio con quelle cose che spuzzano ma che costano.

— Tartufi.

— Sì, bene. La signora ha spuntata la lesina. C’è sul fornello la pentola con dentro una gallina padovana che era la più brava di tutte: un giudizio come me e lei; ma da una settimana non fetava più e la padrona dice: “Non fa più uova, tirale il collo!„ Invece era piena, poverina!

— È la festa dell’avvocato?

— No, è la festa per la partenza, per il piacere, cioè, no: per il dispiacere della partenza di quel soldatino che è venuto l’altra sera. [p. 174 modifica]

— Ma non doveva esser partito?

— Parte stanotte. La padrona, parlando coll’avvocato, ha scoperto che il padre di quel Melai è amico d’un suo amico, o una combinazione del genere: fatto è che lui è andato al quartiere e l’ha invitato a pranzo. Così carino quel biondino....

— Ma senti? Questa ragazza è già in liquefazione.

— Ohi! Cosa crede che io sia di stoppa? Dica piuttosto che ce li portano via tutti, e noi povere ragazze dovremo stare lì a dire il rosario.

*

Devo partire anch’io. Una favorevole combinazione mi chiama d’urgenza a Genova.

E proprio verso le ore diciassette, incontro in città l’avvocato e Melai che vengono su a piedi. Melai è in tenuta di guerra: montura pelosa: parte questa sera.

— Parte definitivamente? — domando.

— Definitivamente.

— Allora partiamo insieme.

L’avvocato mi prega di differire la partenza e venire a pranzo con loro.

— Impossibile! Domattina devo essere a Genova. Mostro il telegramma: “Tempo utile [p. 175 modifica]martedì. Stop. Ultima parola centomila. Stop. Grossa Berta. Saluti„. Grossa Berta è una espressione convenzionale per dire “buon affare„. E domani è martedì, caro avvocato.

— Deve andare prima a Milano a trovare il denaro? — domanda l’avvocato.

— Una modesta somma di centomila lire si trova sempre, — rispondo io. — E poi la ho in portafoglio.

— Beato lei.

Occhi stupefatti del guerriero Melai.

— Io, a Torino — dice — facevo fatica a trovare cento lire. — Ride.

— Ma scusi — fa l’avvocato. — E allora lei ha a sua disposizione il direttissimo delle due, poi l’altro direttissimo delle cinque. Ha l’automobile.

— Ci pensavo, infatti, di partire con la mia auto.

Insiste, insistono tutti e due. — Così stiamo più allegri — dice l’avvocato.

— Ebbene, ma un momento, perchè noblesse oblige — dico io.

Li prego di aspettarmi dieci minuti lì al dazio.

— Vengo subito.

Mi precipito con la mia limousine alla pasticceria della Maddalena. Saccheggio quello che c’è di meglio in fondants e in cioccolatini, una [p. 176 modifica]scatola tutta a ricami, degna di un dono nuziale, e tre bottiglie di champagne extra dry.

Ritorno: carico l’avvocato e Melai.

L’avvocato mi spiega come è stata la storia dell’amico dell’amico: fatto è che diventiamo tutti amici.

— Parte proprio stasera anche lei, caro Melai?

— Improrogabile. Tocca a noi, adesso.

*

Arriviamo tutti e tre in automobile. La signora ci attendeva al cancello. È tutta complimentosa, e a me dice: — Farà penitenza con noi. — Presento scatola e champagne.

— Oh, ma perchè si è voluto incomodare? Ma guarda quanta roba!

E i suoi occhi brillarono sopra quella costellazione multicolore di aristocratica dolcezza.

Lisetta aggiunge una posata di più.

Pranzo sotto la pergola. Interessante. La signorina Oretta voleva che la Lisa girasse attorno col piatto come si usa nella buona società: ma la Lisa non sa girare. E madama Caramella disse: — Oh, scusate, io faccio alla mia maniera. — Prese il mestolo in mano e cominciò a far lei le porzioni della minestra. Delle terrine piene come fanno i paesani.

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Oretta voleva il vino nelle caraffe, ma l’avvocato sostenne il diritto nazionale del fiasco classico: e Melai appoggiò quest’opinione col ricordo di quando si faceva baldoria a Torino.

Pranzo, diremo così, non più di etichetta, ma altamente nazionale.

La gallina padovana non aveva serbato rancore, ma aveva ricamato di stelle lucenti il suo brodo; dove i cappelletti nuotavano in una corpulenza patriarcale.

La signora sostenne modestamente la superiorità della manifattura casalinga dei cappelletti su quelli dell’industria meccanica.

Ma io sostenni l’industria sua particolare, personale, delle sue gentili mani.

La mia futura suocera mi voleva soffocare di cappelletti.

Anche le manine di Oretta vi hanno contribuito, e speriamo non le manacce di Lisa.

Povera Oretta! Il suo modo di tenere coltello e forchetta lascia molto, ma molto a desiderare.

Madama Caramella, poi, è quasi indecente. Non stava a lei a dire sempre: “Una bontà!„ “Oh, cari voi, io faccio con le mani„. — Ecco, signora — dissi io — una cosa che è permessa. Sì, la questione è ancora in discussione se il pollo à la broche si possa o non si possa mangiare con [p. 178 modifica]le mani. La regina d’Inghilterra la prima cosa che fece quando salì al trono, fu di mangiare il pollo con le mani, e l’autorità dell’Inghilterra in questa materia è molto rispettabile.

Venne poi una charlotte di albicocche, fatica speciale di madama Caramella. Vennero i miei fondants e il mio champagne. Ci congratulammo reciprocamente; ma con tutto questo, il pranzo non fu allegro.

Ad un certo punto Melai ammutolì; guardò attorno con occhio strano; disse: — Eppure è così!

— Che cosa? — domandò l’avvocato.

E Melai allora parlò.