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altre poesie | 97 |
Che volendo gl’Iddii cortesemente
Dalla del ciel stellata azzurra tenda
116Scendere a visitar l’umana gente,
Per ricoprir lor maestà tremenda,
Atti e sembiante uman finser sovente:
E se bestie talor si voller fare.
120Fecero un fallo ch’io non so lodare.
Or qui do fine al nobile argomento,
Pria che rompa la nave a qualche scoglio.
Dissi dei mascheron quello che sento,
124Per pura verità, non per orgoglio.
Era giunto a un mal passo, e son contento
Che lo schivai senza sporcare il foglio.
Or appendo la tromba a quell’anello.
128Che tien là in bocca quell’amico bello.
Io volea pur correggere i difetti,
Prence, com’è tuo venerato bando.
Di chi nel carnoval muta gli aspetti,
132Ed impor leggi ai mascheron cantando.1
Ma se un perdon benigno mi prometti,
Mio tristo caso ti verrò narrando.
Tu pur, tu quello, che a me tanto spiace,
136Cortese come sei, sopporta in pace.
Vogliono far le maschere a lor modo,
Scritto han sul naso: olà, nessun mi tocche.
Hanno il viso di carta, e ad un uom sodo
140Ridon in faccia con quell’ampie bocche,
Io che il sapea; con esse in alcun modo
Non volli pormi a far parole sciocche:
Pur feci alcuni tentativi primi,
144Sol per furti veder quant’io ti stimi.
Una maschera in piazza io presi in mano,
Come la volpe, che da Fedro sai.
Sotto la fronte il gabinetto arcano,
148Dove nasce il pensier tosto cercai;
Ma sotto quella scorza, altro, che vano,
E stanze d’affittare io non trovai.
E dissi in fine a quel color si bello:
152Quanta bellezza, che non ha cervello!
- ↑ Era l’argomento dato da Bertola principe degli Affidati.