Sorgi, mia Musa, a più sublime impresa;
Chè il volgo petulante non ti spregi.
La sovrumana origine palesa 68De’ si gentili mascheronei fregi.
Fa chiaro or tu, come da Giove appresa
Abbian l’usanza gran signori e regi
D’ornar di tai beltà quadri ed arazzi, 72Fontane, torrïon, ville e palazzi. Il palazzo di Giove anticamente,
Prima che diroccasse, era sì vasto,
Che insiem coi Dei della più alta gente, 76Che vi voleano star con tutto il fasto.
Anco potea capir comodamente
La canaglia minor senza contrasto.
Era Dorico-Jonico, ed un piano 80Vi si vedeva d’ordine Toscano. Interiormente, ne’ saloni immensi,
Tutto dal Tintoretto era dipinto.
Vedeansi i fier Giganti orridi e densi 84Un monte aver di monti al ciel sospinto.
E poi da Giove fulminati e accensi,
Chi star sotto il Vesuvio arso ed avvinto,
E chi tanto cader sotto l’inferno, 88Quant’è alto da terra il ciel superno. Ne’ gabinetti suoi l’altera Giuno
Avea dipinta la Trojana guerra.
Vulcan, Marte ed Apollo, avea ciascuno. 92Poste in quadri lor gesta in cielo e in terra
Avea piene le stanze il gran Nettuno
Di paesetti che il mar cinge e serra:
E ad olio a ciascun nume avea pur fatto 96Quel divino pennello il suo ritratto. Tralascio di Scoltura altri prodigi.
De’ quai forse a nessuno importerà:
E dico che in la stanza, ove i vestigi 100Dovea arrestar la bassa umanità,
C’eran d’ultima moda di Parigi,
Sparse maschere mille qua e là.
Sui comò, sui tremò, sui canapè. 104Da potersele porre su’ due piè. Giove di queste maschere prendeva
Or l’una or l’altra nel sortir di casa:
Ed ora il gobbo Anfitrïon pareva, 108O qualch’altra anticaglia a testa rasa:
Ora d’un cigno il becco si poneva:
Or una cuffia di monton rimasa;
Or cangiando in un toro i panni sui, 112Prendea le corna per donarle altrui. Io dico, perchè alcun mal non m’intenda,