In morte di Lorenzo Mascheroni (1831)/Canto II

Canto Secondo

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Canto I Canto III
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Canto Secondo


Pace, austero intelletto. Un’altra volta
Salva è la patria: un nume entro le chiome
3La man le pose e lei dal fango ha tolta.

Bonaparte... Rizzossi a tanto nome
L’accigliato Parini, e la severa
6Fronte spianando balenò, siccome

Raggio di sole che, rotta la nera
Nube, nel fior che già parea morisse
9Desta il riso e l’amor di primavera.

Il suo labbro tacea; ma con le fisse
Luci, e con gli atti dell’intento volto,
12Tutto, tacendo, quello spirto disse.

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Sorrise l’altro; e poscia in sè raccolto:
Bonaparte, seguía, della sua figlia
15Giurò la vita, e il suo gran giuro ha sciolto.

Sai che col senno e col valor la briglia1
Messo alla gente avea che si rinserra
18Tra la libica sponda e la vermiglia.

Sai che il truce Ottomano e d’Inghilterra
L’avaro traditor, che secco il fonte
21Già dell’auro temea ch’India disserra,

Congiurati in suo danno alzâr la fronte;
E denso di ladroni un nembo venne
24Dall’Eufrate ululando e dall’Oronte.

Egli mosse a rincontro; e nol rattenne
Il mar della bollente araba sabbia;
27I vortici sfidonne e li sostenne.

Domò del folle assalitor la rabbia:
Jaffa e Gaza crollarno, e in Ascalona
30Il britanno fellon morse le labbia.

Ciò che il prode fe’ poi sallo Esdrelona,
Sallo il Taborre e l’onda che sul dorso
33Sofferse asciutto il piè di Barïona.2

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Sallo il fiume che corse un dì retrorso,
E il suol dove Maria, siccome è grido,
36Dell’uomo partorì l’alto soccorso.

Doma del Siro la baldanza, al lido
Folgorando tornò che al doloroso
39Di Cesare rival fu sì mal fido.3

E di lunate antenne irto e selvoso
Del funesto Abukir rivide il flutto
42E tant’oste che il piano avea nascoso.

Ivi il franco Alessandro il fresco lutto
Vendicò della patria, e l’onde infece
45Di barbarico sangue, sì che tutto

Coprì la strage il lido, e lido fece.
Quei che il ferro non giunse il mar sommerse,
48E d’ogni mille non campâr li diece.

Ahi gioie umane d’amarezza asperse!
Suonò fra la vittoria orrendo avviso,
51Che in doglia il gaudio al vincitor converse.

Narrò l’infamia di Scherer conquiso4
E dal Turco dall’Unno e dallo scita
54Desolato d’Italia il paradiso.

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Narrò da pravi cittadin tradita
Francia, e senza consiglio e senza polo
57Del governo la nave andar smarrita.

Prima assalse l’eroe stupore e duolo,
Poi dispetto e magnanimo disdegno,
60E ne scoppiò da cento affetti un solo;

La vendetta scoppiò, quella che segno
Fu di Camillo all’ire generose,
63E di lui che crollò de’ trenta il regno.5

Così partissi; e al suo partir si pose
Un vel la sorte d’Oriente, e l’urna
66Che d’Asia i fati racchiudea nascose.

Partissi: e di là dove alla diurna
Lampa il corpo perd’ombra6, la fortuna
69Con lui mosse fedele e taciturna;

E nocchiera s’assise in su la bruna
Poppa, che grave di cotanta spene
72Già di Libia fendea l’ampia laguna.

Innanzi vola la vittoria, e tiene
In man le palme ancor fumanti, e sparse
75Della polve di Memfi e di Sïene.

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La sentír da lontano approssimarse
Le galliche falangi, ed ogni petto
78Dell’antico valor tosto rïarse.

Ella giunse, e a Massena,7 al suo diletto
Figlio gridò: son teco. Elvezia e Francia
81Udir quel grido e serenar l’aspetto.

L’Istro udillo, e tremò. La franca lancia
Ruppe gli ungari petti, e si percosse
84Il vinto Scita per furor la guancia.

L’udìr le rive di Batavia, e rosse
D’ostil sangue fumâr; e nullo forse
87De’ nemici reddiva onde si mosse;

Ma vil patto il fiaccato anglo soccorse:
Frutto del suo valor non colse intero
90Gallia, ed obbliquo il guardo Olanda torse.

Carca frattanto del fatal guerriero
Il lido afferra la felice antenna:
93Ne stupisce ogni sguardo, ogni pensiero.

Levossi per vederlo alto la Senna,
E mostrò le sue piaghe. Egli sanolle,
96Nè il come lo diría lingua nè penna.

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Ei la salute della patria volle,
E potè ciò che volle, e al suo volere
99Fu norma la virtù che in cor gli bolle.

Fu di pietoso cittadin dovere,
Fu carità di patria, a cui già morte
102Cinque tiranni8 avean le forze intere.

Fine agli odj promise: e di ritorte9
Fu catenata la discordia, e tutte
105Della rabbia civil chiuse le porte.

Fin promise al rigore: e, ricondutte
Le mansuete idee, giustizia rise
108Su le sentenze del furor distrutte.

Verace e saggia libertà promise:
E i delirj fur queti, e senza velo
111Secura in trono la ragion s’assise.

Gridò guerra: e per tutto il franco cielo
Un fremere, un tuonar d’armi s’intese
114Che al nemico portò per l’ossa il gelo.

Invocò la vittoria: ed ella scese
Procellosa su l’Istro, e l’arrogante
117Tedesco al piè d’un nuovo Fabio stese.10

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Finalmente, d’un dio preso il sembiante,
Apriti, o alpe,11 ei disse: e l’Alpe aprissi;
120E tremò dell’eroe sotto le piante.

E per le rupi stupefatte udissi
Tal d’armi, di nitriti e di timballi
123Fragor, che tutti ne muggían gli abissi.

Liete da lungi le lombarde valli
Risposero a quel mugghio, e fiumi intanto
126Scendean d’aste, di bronzi e di cavalli.

Levò la fronte Italia; e, in mezzo al pianto
Che amaro e largo le scorrea dal ciglio,
129Carca di ferri e lacerata il manto,

Pur venisti, gridava, amato figlio;
Venisti, e la pietà delle mie pene
132Del tuo duro cammin vinse il periglio.

Questi ceppi rimira e queste vene
Tutte quante solcate. — E sì parlando,
135Scosse i polsi, e suonar fe’ le catene.

Non rispose l’eroe, ma trasse il brando,
E alla vendetta del materno affanno
138In Marengo discese fulminando.

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Mancò alle stragi il campo; l’alemanno
Sangue ondeggiava, e d’un sol dì la sorte
141Valse di sette e sette lune il danno.

Dodici rocche aprìr le ferree porte12
In un sol punto tutte, e ghirlandorno
144Dodici lauri in un sol lauro il forte.

Così a noi fece libertà ritorno. —
Libertade? interruppe aspro il cantore
147Delle tre parti in che si parte il giorno:

Libertà? di che guisa? ancor l’orrore
Mi dura della prima, e a cotal patto
150Chi vuol franca la patria è traditore.

A che mani è commesso il suo riscatto?
Libera certo il vincitor lei vuole,
153Ma chi conduce il buon volere all’atto?

Altra volta pur volle, e fur parole;
Chè con ugna rapace arpíe digiune
156Fèro a noi ciò che Progne alla sua prole.

Dal calzato allo scalzo le fortune
Migrar fur viste, e libertà divenne
159Merce di ladri e furia di tribune.

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V’eran leggi; il gran patto era solenne;13
Ma fu calpesto. Si trattò; ma franse
162L’asta il trattato, e servi ne ritenne.

Pietà gridammo; ma pietà non transe
Al cor de’ cinque; di più ria catena
165Ne gravarno i crudeli, e invan si pianse.

Vuota il popol per fame avea la vena;
E il viver suo vedea fuso e distrutto
168Da’ suoi pieni tiranni in una cena.

Squallido macro il buon soldato e brutto
Di polve di sudor di cicatrici,
171Chiedea plorando del suo sangue il frutto;

Ma l’inghiottono l’arche voratrici
Di onnipossenti duci e gl’ingordi alvi
174Di questori prefetti e meretrici.

Or di’: conte all’eroe che ancor n’ha salvi
Son queste colpe? e rifaran gl’Insubri
177Le tolte chiome o andran più mozzi e calvi?

Verran giorni più lieti, o più lugubri?
Ed egli il gran campione è come pria
180Circuito da vermi e da colubri?

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Sai come si arrabatta esta genía,
Che ambizïosa obbliqua entra e penétra
183E fora e s’apre ai primi onor la via.

Di Nemi il galeotto e di Libétra14
Certo rettile sconcio, che supplizio
186Di dotti orecchi cangiò l’ago in cetra,

E quel sottile ravegnan patrizio15
Sì di frodi perito che Brunello
189Saria tenuto un Mummio ed un Fabrizio,

Come in alto levârsi e fur flagello
Della patria! Oh Licurghi! oh Cisalpina,
192Non matrona, ma putta nel bordello!

Tacque; e l’altro riprese: la divina
Virtù che informa le create cose,
195Ed infiora la valle e la collina,

D’acute spine circondò le rose,
Ed accanto al frumento e al cinnamomo
198L’ispido cardo e la cicuta pose.

Vedi il rio vermicel che guasta il pomo,
Vedi misti i sereni alle procelle
201Alternar l’allegrezza e il pianto all’uomo.

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(40)

Penuria non fu mai d’anime felle;
Ma dritto guarda, amico, ed abbondante
204Pur la patria vedrai d’anime belle.

Ve’ quante Olona ne fan lieta, e quante
Val-di-Pado, Panaro e il picciol Reno;
207Picciolo d’onde e di valor gigante.

Reggio ancor non obblia che dal suo seno
La favilla scoppiò, d’onde primiero
210Di nostra libertà corse il baleno.

Mostrò Bergamo mia che puote il vero
Amor di patria, e lo mostrò l’ardita
213Brescia, sdegnosa d’ogni vil pensiero.

Nè d’onorati spirti inaridita
In Emilia pur anco è la semenza;
216Sterpane i bronchi, e la vedrai fiorita.

Molti iniqui fur posti in eminenza,
E il saran altri ancor: ma chi gli estolle
219Forse è quei che vede oltre all’apparenza?

Mira l’astro del dì. Siccome volle
Il suo Fattore, ei brilla, e solve il germe
222Or salubre or maligno entro le zolle.

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Su le sane sostanze e su le inferme
Benefico del par gli sguardi abbassa:
225E s’uno al fior dà vita e l’altro al verme,

Ciò vien dal seme che la terrea massa
Diverso gli appresenta: egli sublime
228E discolpato lo feconda e passa.

Or procede alle tue dimande prime
La mia risposta. Di saper ti giova
231Se fia scevra d’affanno e senza crime

La nuova libertade, o se per prova
Sotto il sacro suo manto un’altra volta
234Rapina, insulto e tirannia si cova;

Dirò verace. — E dir volea: ma tolta
Da portentosa visïon gli fue
237La voce che dal labbro uscía già sciolta.

Il trono apparve dell’Eterno, e due
Gli erano al fianco cherubin sospesi
240Su le penne, già pronti a calar giue.

L’uno in sembianti di pietade accesi,
Sì terribile l’altro alla figura,
243Che n’eran gli astri di spavento offesi.

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Verde qual pruna non ancor matura
Cinge il primo la stola, e qual di cigno
246Apre la piuma biancheggiante e pura.

Ondeggiavano all’altro di sanguigno
Color le vestimenta, e tinto avea
249Il remeggio dell’ali in ferrugigno.

Quegli d’olivo un ramoscel tenea,
Questi un brando rovente; e fisso i lumi
252In Dio ciascun palpebra non battea.

Dal basso mondo alla città de’ numi
Voci intanto salían gridando, Pace,
255Col sonito che fan cadendo i fiumi.

Pace la Senna, pace l’Elba, pace
Iterava l’Ibero; ed alla terra
258Rispondean pace i cieli, pace, pace.

Ma guerra i lidi d’Albione, e guerra
D’inferno i mostri replicar s’udiro,
261E l’inferno era tutto in Inghilterra.

Sedea tranquillo l’increato Spiro
Su l’immobile trono, e tremebondo
264Dal suo cenno pendea l’immenso empiro.

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La gran bilancia, su la qual profondo
E giusto libra l’uman fato, intanto
267Iddio solleva; e ne vacilla il mondo.

Quinci i sospiri le catene il pianto
De’ mortali ponea; quindi versava
270De’ mortali i delitti; e a nessun canto

La tremenda bilancia ancor piegava.
Quando due donne di contrario affetto
273Levârsi, e ognuna di parlar pregava.

Chi si fur elle, e che per lor fu detto,
Se mortal labbro di ridirlo è degno,
276L’udrà chi al mio cantar prende diletto

Nel terzo volo dell’acceso ingegno.


Note

  1. [p. 108 modifica]Qui l’autore accenna la spedizione in Egitto fatta da Napoleone affine di avere, colonizzando quel ricco paese, il vero punto d’appoggio onde rovesciare il dominio politico e mercantile degl’inglesi nell’India. Ad intelligenza di questo squarcio ritrarremo in breve i fatti istorici a cui si allude. Non appena Bonaparte aveva posto piede nell’Egitto che gl’inglesi strinsero lega colla Porta ottomana, la quale adunò bentosto due poderosi eserciti, di cui l’uno comandato da Gezzar, pascià della Siria, doveva da questa provincia entrare nell’Egitto, e l’altro sotto gli ordini di Mustafà pascià doveva sbarcare ad Abukir spalleggiato dall’armala inglese capitanata da Sidney Smith. Napoleone avvertitone, con quella celerità di concepimento che fu in lui prodigiosa, uscì dal Cairo con dieci mila uomini, giunse in pochi giorni ad El-Arisce’, piccola fortezza all’ingresso dell’Egitto dalla parte della Siria, la quale era caduta in potere dell’antiguardo di Gezzar pascià, e la costrinse ad arrendersi. Di qui, attraversando un deserto di 150 miglia, dove egli e i suoi soldati furono soggetti ad ogni sorte di patimenti, penetrò nelle fertili e ricche pianure di Gaza, memorabili nella storia delle crociate, e dove dopo tanti secoli non si era mai veduta orma di esercito europeo. Gaza capitolò al primo presentarsi dell’esercito vincitore: pochi giorni dopo [p. 109 modifica]marciò contro Jaffa, che fu presa d’assalto, e la guarnigione turca passata a fil di spada. Intraprese in seguito il celebre assedio di Ascalona o S. Giovanni d’Acri, dove Gezzar pascià aveva raccolto il meglio delle sue forze ed era soccorso dagl’inglesi. I francesi con una costanza ed una audacia incredibili erano montati più d’una volta all’assalto, una parte della città era già presa, e lo stesso Gezzar s’era imbarcato per salvarsi, quando improvvisi rinforzi giunsero a rinfrescare l’abbattuto coraggio dei turchi. Napoleone continuando l’assedio per qualche settimana avrebbe potuto egualmente pigliare la città; ma avvisato che l’altro esercito stava già per isbarcare ad Abukir, credette più vantaggioso di andarlo ad incontrare prima che si potesse congiungere coi mammalucchi. Durante l’assedio di S. Giovanni, Kleber, il quale con una divisione di quattro mila uomini era stato spedito contro ad un esercito di turchi, avvenne che trovassesi investito presso al monte Tabor da venti mila di costoro comandati da Damas pascià. Napoleone volò in suo soccorso, e lungo la via battè numerosi corpi di ottomani a Nazaret, a Saffet, a Canaan e nei contorni del Giordano, e finalmente nei piani di Esdrelona alle falde del Taborre sconfisse l’esercito di Damas pascià, il quale oltre a cinque mila uomini, perdette tutto il suo ricco bagaglio militare. Malgrado la ritirata dei francesi da S. Giovanni d’Acri, le perdite del pascià della Siria erano sì gravi, che non ebbe il coraggio d’inseguirli. Intanto Mustafà pascià e Sidney Smith erano sbarcati ad Abukir, in quella stessa rada dove un anno prima la squadra navale francese comandata dall’ammiraglio Brueys era stata annichilata da Nelson. Napoleone giunse in tempo onde cancellare quella macchia. L’esercito di Mustafà fu tagliato a pezzi, egli stesso ferito dovette arrendersi con tutto il suo stato maggiore, Sidney Smith potè appena salvarsi sopra una scialuppa, e più di quindici mila turchi si annegarono in mare, volendo [p. 110 modifica]nella confusione salvarsi sopra le navi. Qualche settimana dopo, avvertito Napoleone dei disordini che regnavano in Francia, abbandonò segretamente l’Egitto, apparve inaspettato a Parigi, dove rovesciò il ridicolo governo degli avvocati e si fece proclare primo console. Napoleone era acquistata in Egitto una così fatta stima, che gli arabi gli davano il titolo fastoso di Sultan Kèbir, ch’egli poi per bizzarria interpretava padre del fuoco. Gli arabi sogliono dare ai loro principi il titolo di sultan (signore, padrone) e l’addiettivo kèbir significa grande, ond’essi lo chiamavano superlativamente il sultano grande.
  2. [p. 110 modifica]Il lago di Genezaret nella Galilea, sul quale Pietro detto Simone Barjona volle camminare onde andare incontro a Gesù Cristo.
  3. [p. 110 modifica]Pompeo, il quale sbarcando in Egitto vi fu fatto assassinare da Tolommeo.
  4. [p. 110 modifica]Scherer, generale in capo dei francesi in Italia, intanto che Bonaparte era in Egitto, fu confitto dagli austro-russi presso Verona, onde ritiratosi cogli avanzi del suo esercito sopra l’Adda, cedette, per ordine del Direttorio il comando a Moreau. ― V. Botta
  5. [p. 111 modifica]Camillo quando vendicò Roma dai Galli, e Trasibulo che cacciò i trenta tiranni da Atene.
  6. [p. 111 modifica]L’Egitto, paese situato sotto il tropico del Cancro, dove i corpi nei giorni solstiziali presentano poca o niuna ombra. Era celebre a Siene un pozzo, dove il sole, precisamente perpendicolare ad esso nel suo passaggio del Cancro rifletteva per entro le acque la sua immagine.
  7. [p. 111 modifica]Dopo la rottura del trattato di Campo-Formio, cioè mentre Napoleone era in Egitto, i confederati avevano convenuto a questo modo; che gl’inglesi sbarcherebbono un esercito in Olanda, gl’imperiali ed i russi discenderebbono in Italia ed attaccherebbono la Svizzera, alleata colla Francia. Gl’inglesi infatti, sotto gli ordini del duca di Yorck e secondati dai partigiani del principe di Orange, essendo sbarcati in Olanda, riuscirono ad impadronirsi della flotta batava che ancorava nel Texel: ma battuti in seguito a Bergen dall’esercito del generale Brune, e avviluppati nelle paludi del Zyp, il duca di Yorck per salvarsi fu costretto ad una capitolazione non troppo onorevole per le armi britanniche, e che lo obbligava a sgomberare con tutte le sue truppe l’Olanda. Gli austro-russi [p. 112 modifica]furono ben più fortunati in Italia, dove gli errori del Direttorio e dei generali francesi fecero perdere in pochi mesi i frutti delle vittorie di Bonaparte. Nondimeno Massena, che occupava la Svizzera, riuscì con piccolo esercito a battere gli austriaci nei Grigioni: e in seguito i generali russi Korsakoff e Suaroff, essendosi presa a loro carico tutta la guerra elvetica, furono sì fattamente rotti da Massena presso a Zurigo, che furono costretti a cercare una fuga per la via dei monti, e a trovare coi pochi avanzi del distrutto esercito il gelato loro clima.
  8. [p. 112 modifica]I membri del Direttorio esecutivo erano cinque: e sedevano allora Barras, l’abate Sieyes, Moulins; Royer-Ducos e Gohier; l’uno più dell’altro incapaci di governare una nazione com’era allora la Francia.
  9. [p. 112 modifica]La prima bisogna di Napoleone appena salito al consolato fu quella di conciliare o d’ingannare i partiti, ch’erano al sommo della discordia; d’indurre colla dolcezza i capi della Vandea a deporre le armi; di riformare l’amministrazione interna ch’era nel peggiore disordine, e infine di riordinare gli eserciti, i quali erano ridotti a tanto, che più non ne meritavano il nome; e se Napoleone fu grande in molte cose, in questa, parte ha superato sè stesso, dacchè la Francia, la quale a que’ tempi era stimata preda sicura degli alleati, in pochi mesi si trovò in grado di far tremare l’Europa.
  10. [p. 113 modifica]Moreau, preposto, da Bonaparte al comando dell’esercito del Reno, entrò nella Germania, battè in più riprese il maresciallo Kray e costrinse a Parusdorf gl’imperiali, ad un armistizio.
  11. [p. 113 modifica]La memorabile discesa del S. Bernardo.
  12. [p. 113 modifica]In conseguenza di un armistizio conchiuso subito dopo la battaglia di Marengo, gli austriaci dovettero consegnare a Napoleone tutte le fortezze dell’alta Italia in numero di dodici. — V. Botta
  13. [p. 113 modifica]La costituzione della repubblica Cisalpina fa malmenata e contorta per ogni verso dal Direttorio francese, il quale trattava l’Italia più da paese di conquista che da confederata repubblica.
  14. [p. 113 modifica]Fontana dedicata alle Muse, dette perciò Libetridi. È una staffilata al Gianni ed al Lattanzio.
  15. [p. 114 modifica]Il conte Guiccioli di Ravenna, membro del corpo legislativo, il quale aveva accusato, il Monti e l’Oliva intorno alla loro amministrazione in qualità di commissarj ordinatori dell’Emilia. Il Monti per ricambio rivelò al Direttorio cisalpino i mali acquisti del Guiccioli; la qual cosa non fece altro che inasprire viemmaggiormente la rabbia de’ suoi nemici, ond’ebbe a perdere la carica ed a soffrire non pochi disgusti. Brunello di Maganza, uomo pieno di frodi e d’inganni il quale figura molto nel poema dell’Ariosto.