Iliade (Romagnoli)/Canto XX

Canto XX

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Omero - Iliade (Antichità)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1923)
Canto XX
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     L’armi vestian cosí vicino alle navi ricurve
d’intorno a te, Pelíde, gli Achèi non mai sazi di pugne:
dall’altra parte, sul clivo, si armavano anch’essi i Troiani.
Ed ordine a Temiste die’ Giove, dai picchi d’Olimpo,
5ch’ella a convegno i Celesti chiamasse. Correndo per tutto,
ella ordinò che di Giove venissero tutti alla reggia.
Né vi mancò dei Fiumi nessuno, l’Ocèano tranne,
né delle Ninfe, ch’ànno soggiorno tra i floridi boschi,
nelle sorgive linfe dei fiumi, nei pascoli erbosi.
10Dunque, venuti alla reggia di Giove che i pascoli aduna,
nei portici lucenti sedeano, che al figlio di Crono
costrutti aveva Efesto, l’artefice insigne ambidestro.
     Stavan cosí nella reggia di Giove. Né sordo all’invito
stato era il Dio che scuote la terra. Balzato dal mare
15era con gli altri; e chiese per primo il volere di Giove:
«Perché chiami a convegno, signore del folgore, i Numi?
Forse alcunché disegni che tocchi i Troiani e gli Achivi?
Perché proprio ora avvampa fra loro la zuffa e la pugna».
     E il Nume a lui rispose cosí, che le nuvole aduna:

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20«Bene, o Posídone, in cuore m’hai letto perché v’ho raccolti:
presso alla fine sono, sebbene a me cari, i Troiani.
Ma ora voglio io qui rimanere nei gioghi d’Olimpo,
seduto, ch’io li vegga, che in cuore m’allegri; e voi tutti
movete pure, al piano scendete, fra Teucri ed Achivi,
25e questi o quelli, ognuno di voi, come vuole, soccorra.
Poiché, se Achille solo combatter dovrà coi Troiani,
neppur per un istante resister potranno al Pelíde.
Già per l’innanzi, al solo vederlo, tremavano tutti:
ora che tanto cruccio gli morde per Pàtroclo il cuore,
30temo che, pur contro il Fato, non debba espugnare la rocca».
     Disse il Croníde; e implacata la zuffa avvampò pei suoi detti.
Mossero a pugna i Numi che avevano brame diverse.
Era alle navi mosse d’Acaia, con Pàllade Atena,
seco Posídone mosse, che scuote la terra, ed Ermète,
35nume benigno, insigne per grande scaltrezza di mente.
Ed anche c’era Efèsto con essi, che forza spirava,
che zoppicava, e, via via, strascicava le gracili gambe.
Marte ai Troiani mosse, scotendo il grande elmo, e con lui
Febo dal crine intonso, Artèmide amica dei dardi,
40e Leto e Xanto; e v’era l’amica del riso Afrodite.
     Finché, dunque, in disparte rimaser dagli uomini i Numi,
rise la gloria agli Achivi, ché era fra loro comparso
il figlio di Pelèo, che da tanto mancava alla zuffa;
e gran tremore invase le membra a ciascun dei Troiani,
45per il terrore, come scopriron, lucente nell’armi,
Achille pie’ veloce, che Marte sembrava a vederlo.
Ma poi che fra le schiere mortali comparvero i Numi,
surse Contesa possente, che incíta le turbe; ed Atena
grida levava, or fuori del muro, lunghessa la fossa,

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50or su la spiaggia stando sonora: grandi urli levava
Ares dall’altra parte: gridava; e sembrava procella
fosca, lanciava acuti comandi ai Troiani, dal sommo
or della rocca, poi da Belpoggio, lunghesso il Simèta.
     Cosí gli Iddii beati spingevano entrambe le parti,
55fiera avvampare fra loro, crudele facevan la zuffa.
Ed un terribile tuono degli uomini il padre e dei Numi
scagliò dal cielo; e tutta la terra infinita, di sotto
scosse del mare il Nume: le vette sublimi dei monti,
tutte dell’Ida irriguo di fonti si scosser le balze,
60tutte le cime, e la rocca dei Teucri, e le navi d’Acaia.
Teme’ sino Edonèo sotterra, il signor degli estinti;
e sovra il trono urlando balzò, pel terror che sul capo
frangere a lui dovesse la terra il Signore del ponto,
e la sua casa ai mortali dovesse apparire e agli Olimpî,
65orrida, squallida tutta, che n’hanno ribrezzo anche i Numi:
tanto il frastuono fu, quando i Numi s’urtarono a zuffa.
Contro a Posídone, dunque, al Nume che scuote la terra,
Apollo Febo stette, stringendo le frecce piumate:
contro ad Euríalo Atena la Diva occhiglauca stette,
70e contro ad Era stette la Diva dall’aurëe frecce,
vaga di grida e di strali, Artèmide, suora d’Apollo.
Ermète stette contro Latona, il benefico Iddio,
e stette contro Efèsto il fiume dai gorghi profondi,
che Xanto fra i celesti, fra gli uomini ha nome Scamandro.
     75Stavan cosí Numi a Numi di fronte. Ed Achille Pelíde
Ettore piú che ogni altro voleva incontrar nella zuffa:
ché gli diceva il cuore che prima col sangue di quello
Are saziar dovesse, che mai non è sazio di strage.
Ma Febo che le turbe sospinge alla zuffa, per primo

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80Enea contro il Pelíde mandò, ché coraggio gl’infuse.
Di Licaóne assunse, del figlio di Príamo la voce:
simile a questo, Apollo, figliuolo di Giove, gli disse:
«Enea, tu che i Troiani consigli, ove son le minacce
che tu, fra i Teucri re, nei conviti, bevendo, lanciavi,
85che a fronte a fronte avresti saputo pugnar con Achille?».
     Enea queste parole gli volse, cosí gli rispose:
«Figlio di Priamo, perché tu, contro mia voglia, mi spingi
che il figlio di Pelèo terribile affronti in battaglia?
Non è la prima volta che contro ad Achille veloce
90mi trovo! Un’altra volta fuggire ei mi fe’ con la lancia,
dall’Ida, il giorno ch’egli piombò su le nostre giovenche,
e Pèdaso espugnò, Lirnesso. Ma Giove mi fece
salvo: ché forza allora m’infuse e prontezza di gambe:
se no, morto sarei sotto i colpi d’Achille e d’Atena,
95che, innanzi a lui movendo, gli dava la luce di gloria,
ch’ei con la lancia sterminio di Lelegi e Teucri facesse.
Perciò niun uomo v’è che possa affrontare il Pelíde,
ché sempre un Nume presso gli sta, gli fa schermo da morte;
e poi, sempre il suo colpo va dritto, che mai non s’arresta,
100se pria l’umana carne non pènetra. Pure, se un Dio
vuol bilanciare la sorte di guerra, un’agevol vittoria
ei non avrà, se pure si vanta ch’è tutto di bronzo».
     E Apollo disse a lui, di Giove il figliuolo possente:
«Eroe, tu pure volgi ai Numi che vivono eterni,
105la tua preghiera. Figlio te dicon che sei d’Afrodite,
figlia di Giove: Achille figlio è d’una Diva da meno:
figlia di Giove è quella, quest’altra del Vecchio del mare.
Su via, spingi diritta la lancia infrangibile, e punto
non sbigottire, perché ti lanci minacce ed imprechi».

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     110Cosí disse, e coraggio spirò nel pastore di genti,
che via mosse tra i primi, coperto del lucido bronzo.
E ad Era non sfuggí, la Diva dall’omero bianco,
Enea, mentre fra l’urlo di guerra movea contro Achille;
e gli altri Dei raccolse, cosí prese a dire la Diva:
115«Volgete ora a noi due la mente, Posídone e Atena,
a quello ch’ora avviene. Quale esito avran questi eventi?
Vedete Enea, che muove coperto del lucido bronzo,
contro ad Achille Pelíde, ché Apolline Febo lo spinge.
Su via, dunque, noialtri pensiamo a respingerlo indietro;
120oppure alcun di voi si faccia vicino ad Achille,
e infonda in lui vigore possente, né nulla gli manchi
di ciò ch’ei brama, e veda che sono i piú forti fra i Numi
quelli che l’amano, e invece che valgono un fiato di vento
quelli che in pugne ed in zuffe difeso han finora i Troiani.
125Oggi, d’Olimpo siamo discesi, partecipi tutti
della battaglia, perché non incolga sciagura al Pelíde:
un’altra volta, poi, patirà quella sorte che a lui
filò la Parca quando sua madre lo diede alla luce.
Ma se il Pelíde ciò non udrà dalla voce d’un Nume,
130sgomenterà, quando un Nume, vedrà che gli muove di contro
nella battaglia: tremendi, se appaion palesi, i Celesti!».
     E a lei rispose il Nume che cinge che scuote la terra:
«Era, non sia che senza ragione ti sdegni: ch’è male.
Davvero, io non vorrei sospingere i Numi alla zuffa.
135Su via, noialtri andiamo, sediamo lontan dalla calca,
sopra un’altura; e la pugna si lasci ai guerrieri mortali.
Ché se la zuffa attacca poi Marte, od Apolline Febo,
o se trattengono Achille, né lascian ch’ei possa pugnare,
súbito impegneremo noi pure il contrasto di guerra

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140contro di loro; e ben presto, mi credo, lontano da noi
ritorneranno in Olimpo, fra i Numi che lí sono accolti,
quando le nostre mani domati li avranno per forza».
     Com’ebbe detto ciò, l’Iddio dalle cerule chiome
d’Ercole al muro eccelso guidò gl’Immortali. Costrutto
145avevano i Troiani quell’argine, e Pàllade Atena,
perché fosse ad Alcide riparo, se l’orrido mostro
su lui dal lido al piano piombasse, e dovesse fuggire.
Dunque, sedettero qui Posídone a gli altri Celesti,
d’impenetrabile nube velando le loro sembianze.
150E d’altra parte, gli altri sul ciglio sedean di Belpoggio
a te d’intorno, arciere di Delo, ed a Marte omicida
     Cosí, dunque, in disparte, assorti nei loro pensieri
sedeano i Numi; e dare principio alla guerra funesta,
pure indugiavano: Giove, dall’alto eccitava alla pugna.
155Ed ecco, la pianura fu piena, e fulgeva di bronzo,
d’uomini e di cavalli. Rombava ai lor passi la terra,
mentre moveano a schiera. Due uomini primi fra tutti
fra le due schiere incontro si venner, bramosi di pugna:
Enea, figlio d’Anchise, Achille progenie di Numi.
160Enea s’avventò primo, lanciando minacce, crollando
l’alto cimiero dell’elmo: lo scudo gagliardo teneva
dinanzi al petto, e andava scotendo la lancia di bronzo.
E gli si fece Achille di contro; e pareva un leone
sterminatore, quando le genti di tutto un paese
165gli dàn la caccia, e morto lo vogliono: ei prima procede
senza contarli; ma come qualcuno dei giovani prodi
l’ebbe colpito, in sé si raccoglie, le fauci spalanca,
schiuma fra i denti, il cuore gli freme nel valido petto,
e con la coda di qua di là fianchi e lombi si sferza,

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170sé stesso alla battaglia spronando, fiammeggiano gli occhi,
e di furore ardente si lancia diritto, se alcuno
dei cacciatori uccida, se cada al primo urto egli stesso.
Cosí spingeano Achille la furia, l’intrepido spirto,
ad incontrare Enèa, magnanimo figlio d’Anchise.
175E quando, l’un su l’altro movendo, già erano presso,
Achille pie’ veloce divino, parlava per primo:
«Enea, perché ti sei tanto spinto dinanzi a la folla,
verso di me? Con me t’esorta a pugnare il tuo cuore,
con la speranza forse d’aver dei Troiani l’impero,
180che Priamo a te lo ceda? Ma no, se pur tu m’uccidessi,
Priamo non per questo vorrebbe a te cedere il regno,
perché gli restan figli, né invalido è ancora, né stolto.
O t’han promesso un podere, di tutti il piú bello, i Troiani,
ricco di viti, ricco di messi, ché tu lo coltivi,
185se tu m’uccidi? Per te difficile, credo è l’impresa.
Un’altra volta già fugar ti potei con la lancia:
non ti ricordi quando soletto ti colsi, e fuggire
ti feci a tutte gambe sui gioghi dell’Ida, a gran furia,
lungi dai bovi? Allora, neppure pensasti a voltarti!
190Sfuggitomi di lí, giungesti a Lirnesso; ma io
presi d’assalto la rocca, mercè del Croníde e d’Atena,
privai di libertà le donne, mie schiave le addussi.
Te volle salvo allora, con gli altri Celesti, il Croníde;
ma non vorranno adesso, mi credo, salvarti, sebbene
195lo speri tu. Per questo t’esorto che tu ti ritragga,
che fra la turba torni, né a fronte mi stia, ché non debba
seguire il peggio! A fatto compiuto, lo stolto è saputo».
     E a lui rispose il figlio d’Anchise con queste parole:
«Non figurarti, Achille, che tu sgomentare mi possa

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200con le parole, come se fossi un bambino: so bene
anch’io dire parole d’oltraggio, che mordano il cuore.
Sappiam l’uno dell’altro la stirpe, sappiamo i parenti:
da ciò che va narrando la gente l’abbiamo saputo;
poiché con gli occhi nostri, né tu l’hai veduto, né io.
205Dicon che tu di Pelèo, l’eroe senza macchia, sei figlio,
ed è tua madre Tèti marina dai riccioli belli;
ed io figliuolo sono d’Anchise magnanimo cuore:
tale mi vanto; ed è mia madre la bella Afrodite.
O questi, o quelli, pianto dovranno levare pel figlio,
210oggi; perché non credo che noi separarci dobbiamo
con queste vane ciance, lasciare incompiuta la pugna.
Ma pur, se questo vuoi sapere, conoscere bene
qual’è la stirpe mia, molti uomini possono dirla.
Dàrdano primo fu, generato da Giove Croníde,
215e Dardanìa fondò, ché ancora nel piano costrutta
Ilio la sacra non era, città di facondi mortali,
ma su le balze irrigue dell’Ida abitavano ancora.
Dàrdano un figlio poi generava, Erittonio sovrano,
ch’ebbe dovizie quante niun altri ebbe mai fra i mortali:
220pasceano a lui tremila cavalle su l’umido piano,
femmine tutte, tutte superbe di molti puledri.
Borea ne invaghí, mentre esse pasceano; e con loro
s’uní, che forma assunse d’azzurricrinito corsiere,
e sei puledre e sei concepirono e diedero a vita.
225Quando scherzavano queste sui campi feraci di spelta,
sopra le cime e le spighe correvano, senza spezzarle:
quando scherzavano poi sul dorso infinito del mare,
a corsa ivano sopra la candida cresta dei flutti.
Diede Erittonio a Troe la vita, dei Teucri al signore:

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230da Troe nacquero poscia tre figli non tocchi da menda,
Ilio ed Assàraco, e, pari d’Olimpo agli Dei, Ganimede,
ch’era il piú bello fra quanti sono uomini sopra la terra.
Questo rapirono i Numi, che fosse coppiere di Giove,
per la bellezza sua, che avesse dimora fra i Numi.
235Ilio ad un figlio poscia die’ vita, non tocco da menda,
Laomedonte; e questi die’ vita a Priamo, a Titone,
a Clizio, a Ischetaóne, rampollo di Marte, a Lampone,
ad Assàraco, a Capi, che diede la vita ad Anchise:
e Anchise fu mio padre, fu Priamo d’Ettore padre.
240È questo il sangue mio, di questa progenie m’onoro.
Ma Giove, ora il valore degli uomini esalta, or lo strema,
cosí come gli piace: ché egli è fra tutti possente.
Ma via, come bambini qui piú non badiamo a cianciare,
senza far nulla, mentre d’intorno infierisce la zuffa:
245ché l’uno contro l’altro potremmo lanciar tante ingiurie
da sprofondare una nave che remi ne avesse duecento,
perché pronta è la lingua degli uomini, e c’è di parole,
qui, varia e grande abbondanza, piú là ce n’è pascolo aperto,
e quale è la parola che dici, tal quella che ascolti.
250Ma che bisogno c’è di risse fra noi, di contese,
di starci a ingiurïare l’un l’altro, di femmine al pari,
che furïose, quando la smania di rissa le morde,
scendono in mezzo alla strada, lanciandosi ingiurie a vicenda,
vere talune, ed altre non vere, ché l’ira le spinge?
255Tanto, non placherai la brama, che m’arde, di pugna,
se prima contro te non provo il mio bronzo. Su, dunque,
l’un contro l’altro, al piú presto, proviamoci dunque con l’asta».
     Disse; e la salda lancia vibrò contro l’orrido scudo,
tremendo: alto clangore lo scudo mandò tutto intorno,

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260per quel colpo. Il Pelíde lontan, con la mano possente,
tenne lo scudo, perché credea che traverso le piastre
agevolmente sarebbe passata la lancia d’Enea.
Stolto!, non ricordò, né al cuore gli corse il pensiero,
che facil cosa non è, per uomini nati a morire,
265frangere i doni eccelsi dei Numi, mandarli distrutti.
Né allor poté la lancia d’Enea valoroso, lo scudo
forar del Nume: l’oro foggiato dal Dio, la respinse:
ché ben forò due piastre; ma tre ne restavano ancora:
ché cinque piastre aveva battute l’insigne Pie’ torto,
270le prime due di rame, due altre, piú interne, di stagno,
ed una infine d’oro, che l’asta respinse d’Enea.
     Dopo di lui, scagliò la lunga sua lancia il Pelíde
contro il figliuolo d’Anchise. Lo scudo librato rotondo
colpí su l’orlo, dove sottile la piastra di rame,
275dove correa sottile la pelle di bove; e fuor fuori
passò la lancia Pelia, die’ rombo lo scudo a quell’urto.
Enea si rannicchiò, da sé tenne lungi lo scudo,
tutto sgomento; e l’asta, sul dorso volandogli, a terra
si conficcò, bramosa di sangue: ch’entrambe le piastre
280forò del grande scudo. Schivata l’immane zagaglia,
stette; ed orrore a lui sui cigli infinito s’effuse,
fiero ribrezzo; e l’asta vicino gli stava confitta.
E, pien di furia, Achille balzò, con un orrido grido,
stretta l’aguzza spada. Enea prese un grande macigno,
285con una mano, grande, che appena potrebbero in due
reggerlo gli uomini d’ora; ma ei lo scoteva da solo.
E qui, colpito avrebbe, mentr’ei s’avventava, il Pelíde,
nell’elmo, o nello scudo, che salva gli avrebbe la vita,
e lui da presso avrebbe trafitto col ferro il Pelíde,

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290se non avesse provvisto Posídone, il dio dei tremuoti,
che súbito fra i Numi cosí cominciava a parlare:
«Che cruccio, ahimè, m’affligge, d’Enea dal magnanimo cuore,
che presto scenderà, dal Pelíde trafitto, nell’Ade!
Credette alle parole d’Apollo che lungi saetta,
295stolto! Né quegli da lui tien lungi l’evento funesto.
Ma perché mai, senza colpa, deve esso travagli or soffrire,
a torto, per i crucci degli altri; e pur giunsero sempre
grati i suoi doni, ai Numi d’Olimpo signori immortali?
Ora, su, dunque, adesso, salviamolo noi dalla morte,
300perché non debba poi sdegnarsi il figliuolo di Crono,
se Achille ora l’uccide: ché salvo lo vuole il Destino,
perché senza progenie non resti, perché non sparisca
di Dàrdano la stirpe: ché Giove l’amò piú di quanti
figli mai furono a lui concetti da donne mortali,
305e in odio prese invece la stirpe di Priamo, il Croníde.
Ora la forza d’Enea dovrà comandare ai Troiani:
i figli suoi comanderanno nei tempi futuri».
     Ed Era a lui rispose, la Dea dalle fulgide luci:
«Nume che scuoti la terra, provvedi tu stesso ad Enea,
310o sia che tu salvare lo voglia, o che voglia lasciare
ch’ei sotto i colpi cada trafitto d’Achille Pelíde:
perché ci siamo entrambe legate con giuro solenne,
Pàllade Atena ed io, dinanzi al consesso dei Numi,
che dall’esizio mai non avremmo schermito i Troiani,
315neppur se tutta Troia dovesse soccombere al fuoco
sterminatore, e a sacco la mettano i figli d’Acaia».
     E quando il Dio che cinge, che scuote la terra, ebbe udito,
alla battaglia mosse, dov’era il tumulto dell’aste,
e giunse ov’era Enea, di fronte al famoso Pelíde.

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320Súbito quivi, allora, caligine effuse sugli occhi
del figlio di Pelèo: la lancia di frassino, quindi,
via dallo scudo trasse d’Enea dal magnanimo cuore,
e la depose ai piedi, dinanzi al figliuol di Pelèo.
Poi, sollevato Enea da terra, lontano lo spinse.
325Molte file d’eroi, molte file varcò di cavalli,
spinto cosí dalla mano del Nume, il figliuolo d’Anchise;
e giunse dove ardeva sui limiti estremi la pugna,
dove, indossando l’armi, si stavano i Càuconi prodi.
Presso al figliuol d’Anchise si fece Posídone allora,
330e, a lui parlando queste rivolse veloci parole:
«A tanta cecità, qual mai t’ha sospinto dei Numi,
che in zuffa tu volessi provare il figliuol di Pelèo,
che te vince di forza, che è piú diletto ai Celesti?
No, ritirarti devi, se mai nella pugna lo incontri,
335se tu prima del tempo discender non vuoi nell’Averno.
Solo quando abbia Achille compiuto il suo fato, e sia morto,
prendi coraggio, allora, fra i primi alla pugna ti lancia,
ché a te toglier la vita niun altri potrà degli Achivi».
     E quivi lo lasciò, poi che tutto cosí gli ebbe detto.
340Súbito poi, dagli occhi d’Achille la nebbia divina
disperse, e, come quegli pote’ l’occhio volgere attorno,
cosí parlava, pieno di cruccio, al gagliardo suo cuore:
«Misero me, che prodigio non debbon vedere questi occhi!
È la mia lancia questa che in terra qui vedo; ma l’uomo
345non vedo io, contro cui la scagliai, per levargli la vita.
Era di certo anche Enea diletto ai signori d’Olimpo,
ed io credea che vano, che futile fosse il suo vanto.
Vada in malora! Son certo che voglia di mettermi a prova
piú non avrà: si contenti che adesso schivata ha la morte.

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350Su, dunque, or voglio i Dànai guerrieri esortare alla pugna,
spinger mi voglio avanti, far prova degli altri Troiani».
     E, cosí detto, balzò fra le schiere, esortando uno ad uno:
«Lungi non state piú dai Troiani, o fortissimi Achivi,
movete uomo contr’uomo: desío di combattere v’empia.
355Arduo troppo è per me, per quanto possa essere prode,
a tante genti dietro tenere, combatter con tutti.
Neppur Marte, ch’è Nume, non reggere Atena potrebbe
tanto travaglio, la faccia di tante battaglie affrontare.
Per me, quanto posso io con le mani, coi pie’, con la forza,
360tutto io farò, di nulla, di nulla mi vo’ risparmiare.
Ora attraverso le file m’avvento; e nessun dei Troiani
s’allegrerà, dico io, che a tiro di lancia mi giunga».
     Dunque, cosí li eccitò. D’altra parte, comando ai Troiani
Ettore dava, e diceva che avrebbe affrontato il Pelíde:
365«O valorosi Troiani, timor non abbiate d’Achille!
Io mi saprei misurare perfino coi Numi, a parole;
ma con la lancia è il duro, perché sono troppo piú forti.
E Achille non potrà dare esito a tutto ch’ei dica;
parte lo compierà, parte a mezzo dovrà rimanere.
370Ora io contro gli andrò, se avesse le man’ come il fuoco,
le mani come il fuoco, l’ardir come il ferro fiammante».
     Cosí disse a eccitarli. Levaron le lancie i Troiani
contro il nemico, e la furia cozzò, surse l’urlo di guerra.
E presso Ettore, Febo si fece in quel punto, e gli disse:
375«Ettore, contro Achille non muovere solo alla pugna,
ma tra la folla attendilo qui, dove ondeggia la zuffa,
ch’egli colpir non ti debba, ferir con la spada dappresso».
     Ettore allora indietro, dov’era la calca, si trasse,
ché sbigottí, come udí suonare la voce del Nume.

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380E fra i Troiani Achille balzò con un orrido grido,
tutto precinto d’ardire. E primo Ifitíone trafisse,
d’Otrunte il prode figlio, che a popoli molti era guida.
Lui generava ad Otrunte di rocche eversore, una Ninfa
sotto il nevoso Tmolo, nei pascoli fertili d’Ida.
385Achille lo colpi con la lancia, mentr’ei s’avventava,
a mezzo il capo; e tutto fu il capo diviso in due parti.
Diede un rimbombo cadendo, su lui menò vanto il Pelíde:
«Giaci, o figliuolo d’Otrunte, tremendo fra gli uomini tutti.
Quivi la tomba avrai, sebben la palude Gigèa
390ti die’ la vita, dove t’aspettano i beni paterni.
Dov’è l’Illo pescoso, dove, tutto vortici, l’Ermo?».
     Menò tal vanto Achille. La tènebra a quello sugli occhi
scese; e i cavalli Achei lo fransero sotto le ruote,
lí nelle prime file. D’Antènore quindi il figliuolo,
395Demoleonte uccise, valente campione di guerra.
Giusto alla tempia lo colse, traverso l’elmetto di bronzo;
ma non rattenne il colpo l’elmetto di bronzo; e la punta
tramezzo lo forò, franse l’osso, e il cervello di dentro
tutto si spappolò: lo prostrò che moveva all’assalto.
400Ippodamante poi, che era balzato dal cocchio
e innanzi a lui fuggiva, di lancia ferí nella schiena:
egli esalò, ruggendo, lo spirito; e toro sembrava
che va muggendo quando lo traggono al Nume eliconio
vittima i giovani; e il Dio che scuote la terra, n’è lieto.
405Tra questi mugghi, l’alma sua prode fuggiva dall’ossa.
E con la lancia allora, colpí Polidoro divino,
figlio di Priamo. Il padre mandarlo alla pugna negava,
perché dei suoi figliuoli quello era il piú giovine, e caro
a lui su tutti gli altri. Vincea tutti quanti nel corso;

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410e stoltamente allora, mostrando la sua valentia,
egli correva fra i primi, sinché qui perdette la vita.
A mezzo lo colpí con la lancia il veloce Pelíde,
mentr’ei cosí correva, nel dorso, dov’eran congiunte
le fibbie d’oro, e doppio riparo faceva l’usbergo.
415Vicino all’umbelico passò parte a parte la punta:
sulle ginocchia piombò gemendo, una nuvola negra
l’avvolse, e fra le mani, piegandosi, strinse l’entragne.
     Ettore, come vide giacer Polidoro, il fratello,
che al suol giacea prostrato, stringea nelle mani l’entragne,
420su le pupille una nebbia gli corse, né il cuore sostenne
piú d’aggirarsi lontano, ma venne diritto ad Achille
vibrando l’asta aguzza, che un fuoco pareva. Ed Achille,
come lo vide, cosí die’ un balzo, levò questo vanto:
«Vedi colui che piú a fondo d’ogni altro m’ha il cuore trafitto,
425che uccise il mio compagno diletto; ma or non dovremo
sugli argini di guerra piú a lungo l’un l’altro schivarci».
     Ad Ettore divino poi volto, cosí gli diceva:
«Fatti piú presso, ed avrai piú presto raggiunta la morte!».
     Ettore, senza temere, rispose con queste parole:
430«Non lo sperare, Pelíde, di farmi sgomento a parole,
come se un pargolo io fossi. Anch’io, senza dubbio, saprei
dire parole d’oltraggio, parole che mordano il cuore.
Lo so che tu sei prode, ch’io valgo di te molto meno:
però, su le ginocchia dei Numi riposa l’evento,
435se io, pur meno forte di te, dovrò darti la morte
con la mia lancia: ché aguzza la cuspide ha pur la mia lancia».
     Cosí detto, librò, vibrò la zagaglia. Ed Atena
via con un soffio, lungi la fece volar dal Pelíde,
sol con un soffio leggero. Indietro tornò la zagaglia,

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440d’Ettore innanzi ai piedi di nuovo ricadde. Ed Achille,
pieno di furia balzò, bramoso di dargli la morte,
con un orribile grido. Ma Febo lontano lo trasse,
facile impresa a un Nume, di nebbia lo avvolse in un velo.
Tre volte si scagliò coi piedi veloci il Pelíde,
445colpí tre volte l’aria profonda con l’asta di bronzo.
Ma quando si lanciò la quarta, che un dèmone parve,
queste parole disse, lanciando terribili grida:
«Anche una volta, o cane, tu sfuggi alla morte; ma pure,
ben presso t’è venuta. T’ha Febo salvato, a cui certo
450ti raccomandi, quando ti lanci al fragor delle zuffe.
Ma io ti spaccerò, se pure di nuovo io t’incontro,
se ho fra i Numi anch’io qualcuno che vegli a me presso.
Adesso sopra gli altri, su chi posso coglier, m’avvento».
     E, cosí detto, ferí per mezzo alla nuca Driòpe.
455Questo dinanzi ai suoi piedi piombò. Lo lasciò quivi Achille;
e di Filètore il figlio, Demúco gagliardo e valente,
colpí sotto il ginocchio con l’asta; cosí lo rattenne;
poi lo colpí con la spada sua grande, e gli tolse la vita.
Poscia i due figli di Bia, Laògore e Dàrdano spense,
460ché con un lancio entrambi li fece balzare dal carro,
l’uno di lancia, l’altro ferito dappresso di spada.
Tròo, d’Alestòride figlio, gli aveva abbracciati i ginocchi,
se mai lo risparmiasse, prigion lo facesse, e poi vivo
lo rimandasse, avendo pietà che sí giovine egli era.
465Stolto! Né pur sapeva che mai non l’avrebbe convinto,
perché dolce di cuore non era, quell’uomo, né mite,
bensí pieno di furia. Cosí, gli stringeva i ginocchi,
per supplicarlo. La spada nel fegato Achille gl’immerse:

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fuori il fegato uscí, di livido sangue fu piena
470súbito tutta la spada, la tènebra gli occhi gli ascose,
mentre la vita fuggiva. Poi, fattosi a Mulio vicino,
dentro un orecchio la lancia gl’immerse. La punta di bronzo
uscí dall’altro orecchio. Echèclo, d’Agènore figlio,
poscia per mezzo il capo colpí con la solida spada.
475Tutta si fece calda di sangue la spada: al ferito
tolser la luce la morte purpurea, la Parca possente.
Deucalïóne poi, nel punto ove i tendini uniti
sono del gomito, qui con la punta di bronzo trafisse,
traverso il braccio; e quegli col braccio restò penzolante,
480la morte innanzi agli occhi vedendosi. Un colpo sul collo
l’altro vibrò, gli fece volare con l’elmo la testa;
fuori il midollo schizzò dalle vertebre; e il corpo, disteso
a terra cadde. Poscia, su Rigmo piombò, di Pirèo
l’egregio figlio, qui dalla Tracia feconda venuto.
485Con l’asta lo colpí, nel ventre gl’infisse la punta:
piombò dal carro al suolo. E Achille, Aritòo, lo scudiere
colpí, che il carro aveva rivolto, alla schiena, con l’asta:
dal carro lo sbalzò, s’impennarono entrambi i cavalli.
     Come un immenso fuoco che invade le forre profonde
490d’un monte arido; e tutta divampa l’immensa foresta,
e dappertutto il vento mulina, e la fiamma flagella:
imperversava cosí, come un dèmone, Achille, con l’asta
morte infliggendo ai fuggiaschi: correa negro sangue la terra.
E come quando un uomo due bovi di lunga cervice
495aggioga, che su l’aia gli trebbiano il bianco frumento:
ben presto sotto il pie’ dei mugghianti si sgranano i chicchi:
spinti cosí dal Pelíde, pestavano insieme i cavalli

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scudi e cadaveri, sotto gli zoccoli saldi; e di sangue
tutto era intriso l’asse di sotto, e la sponda del carro:
500ché dagli zoccoli, schizzi volavano in alto, e sul cerchio
delle volanti ruote. Bramoso di gloria il Pelíde,
cosí le mani invitte lordava di polvere e sangue.