320Súbito quivi, allora, caligine effuse sugli occhi
del figlio di Pelèo: la lancia di frassino, quindi,
via dallo scudo trasse d’Enea dal magnanimo cuore,
e la depose ai piedi, dinanzi al figliuol di Pelèo.
Poi, sollevato Enea da terra, lontano lo spinse. 325Molte file d’eroi, molte file varcò di cavalli,
spinto cosí dalla mano del Nume, il figliuolo d’Anchise;
e giunse dove ardeva sui limiti estremi la pugna,
dove, indossando l’armi, si stavano i Càuconi prodi.
Presso al figliuol d’Anchise si fece Posídone allora, 330e, a lui parlando queste rivolse veloci parole:
«A tanta cecità, qual mai t’ha sospinto dei Numi,
che in zuffa tu volessi provare il figliuol di Pelèo,
che te vince di forza, che è piú diletto ai Celesti?
No, ritirarti devi, se mai nella pugna lo incontri, 335se tu prima del tempo discender non vuoi nell’Averno.
Solo quando abbia Achille compiuto il suo fato, e sia morto,
prendi coraggio, allora, fra i primi alla pugna ti lancia,
ché a te toglier la vita niun altri potrà degli Achivi».
E quivi lo lasciò, poi che tutto cosí gli ebbe detto. 340Súbito poi, dagli occhi d’Achille la nebbia divina
disperse, e, come quegli pote’ l’occhio volgere attorno,
cosí parlava, pieno di cruccio, al gagliardo suo cuore:
«Misero me, che prodigio non debbon vedere questi occhi!
È la mia lancia questa che in terra qui vedo; ma l’uomo 345non vedo io, contro cui la scagliai, per levargli la vita.
Era di certo anche Enea diletto ai signori d’Olimpo,
ed io credea che vano, che futile fosse il suo vanto.
Vada in malora! Son certo che voglia di mettermi a prova
piú non avrà: si contenti che adesso schivata ha la morte.