230da Troe nacquero poscia tre figli non tocchi da menda,
Ilio ed Assàraco, e, pari d’Olimpo agli Dei, Ganimede,
ch’era il piú bello fra quanti sono uomini sopra la terra.
Questo rapirono i Numi, che fosse coppiere di Giove,
per la bellezza sua, che avesse dimora fra i Numi. 235Ilio ad un figlio poscia die’ vita, non tocco da menda,
Laomedonte; e questi die’ vita a Priamo, a Titone,
a Clizio, a Ischetaóne, rampollo di Marte, a Lampone,
ad Assàraco, a Capi, che diede la vita ad Anchise:
e Anchise fu mio padre, fu Priamo d’Ettore padre. 240È questo il sangue mio, di questa progenie m’onoro.
Ma Giove, ora il valore degli uomini esalta, or lo strema,
cosí come gli piace: ché egli è fra tutti possente.
Ma via, come bambini qui piú non badiamo a cianciare,
senza far nulla, mentre d’intorno infierisce la zuffa: 245ché l’uno contro l’altro potremmo lanciar tante ingiurie
da sprofondare una nave che remi ne avesse duecento,
perché pronta è la lingua degli uomini, e c’è di parole,
qui, varia e grande abbondanza, piú là ce n’è pascolo aperto,
e quale è la parola che dici, tal quella che ascolti. 250Ma che bisogno c’è di risse fra noi, di contese,
di starci a ingiurïare l’un l’altro, di femmine al pari,
che furïose, quando la smania di rissa le morde,
scendono in mezzo alla strada, lanciandosi ingiurie a vicenda,
vere talune, ed altre non vere, ché l’ira le spinge? 255Tanto, non placherai la brama, che m’arde, di pugna,
se prima contro te non provo il mio bronzo. Su, dunque,
l’un contro l’altro, al piú presto, proviamoci dunque con l’asta».
Disse; e la salda lancia vibrò contro l’orrido scudo,
tremendo: alto clangore lo scudo mandò tutto intorno,