410e stoltamente allora, mostrando la sua valentia,
egli correva fra i primi, sinché qui perdette la vita.
A mezzo lo colpí con la lancia il veloce Pelíde,
mentr’ei cosí correva, nel dorso, dov’eran congiunte
le fibbie d’oro, e doppio riparo faceva l’usbergo. 415Vicino all’umbelico passò parte a parte la punta:
sulle ginocchia piombò gemendo, una nuvola negra
l’avvolse, e fra le mani, piegandosi, strinse l’entragne.
Ettore, come vide giacer Polidoro, il fratello,
che al suol giacea prostrato, stringea nelle mani l’entragne, 420su le pupille una nebbia gli corse, né il cuore sostenne
piú d’aggirarsi lontano, ma venne diritto ad Achille
vibrando l’asta aguzza, che un fuoco pareva. Ed Achille,
come lo vide, cosí die’ un balzo, levò questo vanto:
«Vedi colui che piú a fondo d’ogni altro m’ha il cuore trafitto, 425che uccise il mio compagno diletto; ma or non dovremo
sugli argini di guerra piú a lungo l’un l’altro schivarci».
Ad Ettore divino poi volto, cosí gli diceva:
«Fatti piú presso, ed avrai piú presto raggiunta la morte!».
Ettore, senza temere, rispose con queste parole: 430«Non lo sperare, Pelíde, di farmi sgomento a parole,
come se un pargolo io fossi. Anch’io, senza dubbio, saprei
dire parole d’oltraggio, parole che mordano il cuore.
Lo so che tu sei prode, ch’io valgo di te molto meno:
però, su le ginocchia dei Numi riposa l’evento, 435se io, pur meno forte di te, dovrò darti la morte
con la mia lancia: ché aguzza la cuspide ha pur la mia lancia».
Cosí detto, librò, vibrò la zagaglia. Ed Atena
via con un soffio, lungi la fece volar dal Pelíde,
sol con un soffio leggero. Indietro tornò la zagaglia,