Il tesoro del presidente del Paraguay/24. Il campo argentino

24. Il campo argentino

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XXIV.

Il campo Argentino.


A
l comando dato dal capo, i Patagoni, che erano impazienti di menar le mani, si alzarono come un sol uomo, tenendo in pugno la bola perdida, terribile arma nelle loro mani, che può lottare con vantaggio, se la distanza è breve, colle palle di fucile.

Formate due colonne, si misero silenziosamente in cammino, tenendo per la briglia i cavalli, non osando combattere a piedi, aprendo con precauzione i cespugli che impedivano il passo e tenendosi più che era possibile sotto la fosca ombra degli alberi per non venire scoperti dalle sentinelle dell’accampamento.

Giunti sul limitare del piccolo bosco, si arrestarono, spingendo i loro sguardi nella prateria. A trecento passi quattro grandi carri, coperti da ampie tele bianche, stavano disposti su di una doppia fila coi fianchi rivolti al sud e al nord, onde proteggersi contro un possibile attacco dei Pampas e dei Patagoni.

Nel centro parecchi cavalli dormivano in piedi, da veri animali di buona razza, e si vedevano pure sdraiati diversi buoi e non pochi montoni di quella specie che dà una lana assai pregiata sui mercati Argentini.

Un solo uomo vegliava, appoggiato ad un fucile e a pochi [p. 207 modifica]passi da un gran fuoco, che doveva preservarlo dagli improvvisi attacchi dei giaguari e dai denti degli aguaras, animali vili se sono pochi, ma audaci se numerosi.

Un silenzio assoluto regnava nell’accampamento, segno evidente che gli uomini dormivano profondamente sotto le tende dei carri.

Hauka collocò Diego, Cardozo e il signor Calderon, che possedevano armi da fuoco, di fronte alla sentinella, facendoli nascondere in mezzo ad una fitta macchia di cactus, poi comandò ai suoi uomini di montare a cavallo e di estendersi a destra e a sinistra, in modo da tagliare la ritirata al sud, all’est e all’ovest.

Quando vide i guerrieri a posto, con alcuni dei suoi più coraggiosi e più abili si avanzò verso il campo, tenendo nella sinistra la lancia e nella destra la terribile bola perdida.

La sentinella, che sonnecchiava, appoggiata al suo fucile, udendo i cavalli avvicinarsi, si svegliò di soprassalto e gridò, puntando il fucile:

— Chi vive?

— Amici, — rispose Hauka.

— Chi siete?

— Poveri indiani che vanno al nord.

— Che nessuno si avanzi!

Hauka era abbastanza avanti per servirsi della bola perdida. Tenendo stretta la correggia fra le dita, fece fischiare la palla in aria due o tre volte e la lanciò con impeto irresistibile.

Si udì un colpo sordo, e la sentinella, colpita nel capo, stramazzò pesantemente a terra, mandando un urlo straziante, terribile.

— Avanti, Tehuels! — tuonò il capo, spronando il proprio cavallo.

Tutti i Patagoni, che non aspettavano che questo segnale, allentarono le briglie e si lanciarono contro i forgoni colle lance in resta, pronti a trafiggere i nemici qualora questi tentassero la fuga. [p. 208 modifica]

Il grido della moribonda sentinella era stato però udito dagli accampati. In un baleno gli Argentini furono in piedi colle armi in pugno, e una violentissima scarica partì dall’alto dei forgoni, gettando a terra tre o quattro cavalli e altrettanti cavalieri.

I Patagoni, che credevano di piombare su degli uomini ancora addormentati e che non si aspettavano una vigorosa difesa, volsero le briglie e si dispersero per la prateria, gettando urla di furore e di dolore, salutati da una scarica di tromboni, che fece stramazzare altri due o tre cavalli. Lo stesso Hauka volse le spalle, cercando un rifugio in mezzo ai cespugli.

— Buono! — esclamò Cardozo, che si compiaceva di quel primo scacco.

— Pare che quegli Argentini abbiano del buon sangue nelle vene, — disse il mastro. — Là, là, miei cari, accarezzate per bene le spalle di questi pagani.

— Devo far fuoco?

— Io farei fuoco sui Patagoni, Cardozo.

— Ma se vincono?

— E vinceranno, pur troppo.

— Lo credi?

— Sono molti per dieci o dodici uomini.

— E dunque, cosa facciamo?

— Gettati a terra, onde non ricevere qualche palla, e tira a casaccio, per aria, se puoi farlo senza che quel dannato Hauka se ne accorga. To’, senti! Calderon brucia la sua polvere.

— Tirerà contro gli Argentini quell’uomo.

— Bah! Polvere sprecata, poichè le palle non giungeranno. Orsù, facciamo un po’ di baccano anche noi prima che giunga Hauka.

Si coricarono in mezzo ai cactus, nascondendosi dietro ad una piega del terreno, e aprirono il fuoco, mandando le loro palle sopra i carri degli accampati, ma tanto alte, che non v’era alcun pericolo che colpissero.

Una violentissima scarica partì dalla parte degli argentini, tempestando i cactus per un largo giro. [p. 209 modifica]

— Ohè! Grandina terribilmente! — esclamò Cardozo, ridendo.

— Niente paura, figlio mio, — rispose Diego.

— Bum! bum!... Sono tromboni questi.

— E di quei grossi: sento i chiodi fischiarmi sopra la testa.

— Si caricano con chiodi quelle bocche da fuoco?

— E anche con sassi.

Un urlo feroce soffocò le parole del mastro. I Patagoni, dopo di essersi radunati in mezzo ai cespugli, tornavano alla carica, gettandosi furiosamente contro i forgoni. Cardozo ed il mastro, scaricate le carabine, balzarono in piedi per non perdere nulla di quello strano combattimento, che per loro era di un interesse grandissimo, trattandosi forse della loro liberazione.

Gli Argentini, che si tenevano trincerati dentro i forgoni, avevano subito risposto all’urlo di guerra dei Tehuels con una scarica generale dei loro tromboni e delle loro carabine; ma, quantunque parecchi cavalieri vuotassero sconciamente l’arcione, gli altri avevano continuato la corsa, incoraggiandosi con urla feroci. Giunti a cinquanta passi dal nemico, piegarono bruscamente a destra e si misero a galoppare furiosamente attorno ai forgoni in maniera da accerchiarli quasi completamente, e a lanciare con una precisione terribile le bolas. Quella nuova tattica parve sconcertare gli assaliti, poichè si videro abbandonare precipitosamente le loro posizioni e radunarsi in mezzo dei carri, onde non venire colpiti da quelle palle che piovevano fitte fitte, sfondando con un fracasso indiavolato le tavole e perfino le ruote.

Hauka, che galoppava in testa alla colonna, incoraggiando i suoi guerrieri colla voce e con l’esempio, tentò di caricare gli Argentini entrando in mezzo ai forgoni colla lancia in resta; ma una scarica di tromboni bastò per ributtare gli uomini che lo seguivano, i quali ripresero la sfrenata corsa circolare, raccogliendo con una agilità singolare le bolas gettate, per rimandarle ai nemici.

— La va male per quei poveri Argentini, — disse Diego, [p. 210 modifica]che seguiva attento le fasi del combattimento, scaricando di quando in quando la carabina, ma senza far male ad alcuno.

— Lo credi, marinajo? — chiese Cardozo.

— Fra dieci minuti Hauka li caricherà in mezzo ai forgoni, e nessuno di loro potrà sfuggire alle lance dei cavalieri.

— Se fossi sicuro del contrario, aprirei il fuoco contro questi briganti di prateria.

— Guardati bene dal farlo, se ti è cara la vita, figliuol mio.

— Eppure è duro lasciar macellare degli uomini bianchi da questi miserabili pagani.

— Il nostro aiuto non sarebbe di nessuna utilità, Cardozo. Se avesse potuto giovare, avrei mandato giù una palla all’amico Hauka.

— Toh! I Patagoni cambiano tattica.

— Si dividono per forzare da due parti la posizione degli Argentini. Se non si decidono a fuggire, nessuno di loro rimarrà vivo.

— E li lasceranno fuggire?

— Ai Patagoni preme il contenuto dei forgoni e non la pelle degli argentini. Ah!...

— Cosa vedi?

— Gli Argentini si decidono a battersela. Orsù, un po’ di baccano ancora, e poi andremo a cenare con un bel pezzo di carne fresca.

Il marinaio aveva detto il vero. Gli Argentini, che già si vedevano a mal partito per le perdite subìte e forse anche per la scarsità delle munizioni, approfittando del momento in cui i Tehuels si riorganizzavano su due colonne per rinnovare l’attacco a colpi di lancia, avevano improvvisamente abbandonato i forgoni, slanciandosi nella prateria. Erano sette, montati su eccellenti cavalli, e tenevano in pugno i loro tromboni.

I Patagoni, vedendosi sfuggire la loro preda, che del resto per loro, che miravano più che altro al saccheggio, era la meno importante, si slanciarono contro i fuggiaschi; ma questi, fatta una scarica generale, spronarono vivamente le loro cavalcature, che partirono ventre a terra verso l’ovest. [p. 211 modifica]

Hauka, alla testa di una ventina di cavalieri, si gettò sulle loro tracce, lanciando le ultime bolas, che non ebbero effetto; ma, fatti cinque o seicento passi, dovette rinunciare all’inseguimento a causa della stanchezza dei cavalli, che da oltre un’ora galoppavano, senza contare la lunga marcia eseguita nella giornata.

In lontananza si udirono ancora alcuni colpi di trombone e qualche colpo di carabina, poi il silenzio tornò a farsi sull’immensa prateria.

— È finita, — disse Diego. — Ora non si prendono più.

— Meglio così, — disse Cardozo. — Quantunque nostri nemici, mi rincresceva la morte di quei bravi Argentini.

— Ora stiamo in guardia, e, se si presenta l’occasione, scappiamo anche noi.

— Su che cosa speri?

— Lo so io, ragazzo mio.

I Patagoni, ritornati all’accampamento argentino, si erano gettati come un sol uomo contro i quattro forgoni, avidi di saccheggio, senza occuparsi dei cadaveri dei compagni che giacevano in mezzo all’erba in numero non piccolo, nè di quelli dei nemici, che presentavano uno spettacolo orribile, essendo stati uccisi a colpi di bola.

Casse, cassette e barili, contenenti vesti e viveri, furono aperti da quei predatori, che frugavano dapertutto con accanimento senza pari, disputandosi tutti gli oggetti a colpi di pugno e anche di lancia. Un gran grido echeggiò ad un tratto fra di loro e si videro due uomini balzare da un carro, portando fra le robustissime braccia due barilotti della capacità di una cinquantina di litri ciascuno.

Tutti gli altri li seguirono confusamente, compreso Hauka, tendendo le mani e urlando a squarciagola.

— Che abbiano trovato qualche tesoro? — chiese Cardozo, che si era avvicinato, seguìto da Diego e dall’agente del Governo.

— Sì, ma sotto forma di câna, — rispose il mastro, che era diventato raggiante. — Ora assisteremo ad una bella orgia, figliuol mio, e noi ci guarderemo bene dal non approfittarne. [p. 212 modifica]

— Perchè, marinaio? Se conti di prendere parte alla bevuta, dubito assai che quei golosi ti lascino una sorsata di liquore.

— Rinuncio volentieri alla bevuta, — rispose il marinaio, che sorrideva con fare misterioso. — Orsù, bevitori, sfondate i barili!

Non c’era bisogno di quell’incoraggiamento. I Patagoni, che sono formidabili bevitori e che amano alla frenesia le bevande spiritose, come del resto si è notato in tutte le popolazioni selvagge, avevano sfondato i due barili e si erano messi a bere, servendosi delle mani riunite in forma di conca.

Pareva che fossero diventati tutti frenetici: si urtavano, si spingevano, si rovesciavano l’un l’altro, si calpestavano furiosamente per essere i primi ad immergere le mani nella forte bevanda, le cui esalazioni alcooliche si spandevano all’intorno, eccitando quelli che si trovavano ultimi e che temevano di giungere troppo tardi, Hauka, che non pareva meno esaltato degli altri, nè meno goloso, si era aggrappato ad un barile e resisteva energicamente agli sforzi di coloro che cercavano di trarlo di là per prendere il suo posto.

Cardozo e il mastro, seduti per terra a breve distanza, colle carabine in mezzo alle ginocchia, onde tenersi pronti a tutto, ben sapendo che da selvaggi ubriachi tutto si può aspettare, seguivano con viva attenzione la lotta di quei bevitori. Dietro di loro stava il signor Calderon, il quale, secondo il solito, pareva che fosse affatto estraneo a tutto ciò che succedeva a lui d’intorno.

I bevitori parevano che avessero uno stomaco senza fondo e che possedessero una resistenza incalcolabile, poichè, malgrado le lunghe e frequenti sorsate, non accennavano a perdere la testa e si rimettevano a bere con novella lena. A poco a poco però quella sete inestinguibile cominciò a calmarsi.

Alcuni uomini, i meno forti, già traballavano e «rollavano come una nave in piena tempesta», secondo l’energica espressione del mastro, e gli altri cominciavano ad esaltarsi. Hauka, che aveva resistito vittoriosamente a tutti gli sforzi [p. 213 modifica]dei compagni, era caduto e pareva che non fosse più capace di muovere nè le gambe, nè le braccia, tanto era ubriaco.

— E uno, — disse il mastro; — quello lì non si muoverà per ventiquattr’ore.

— E due, — disse Cardozo. — Ecco là un altro che stramazzato come uno colpito da sincope.

— Segno che quella cána è di qualità eccellente.

— C’è pericolo che dopo diventino furiosi?

— Tanto peggio per loro, se vogliono prendersela con noi. Ho trovato i pacchi delle cartucce che Hauka ci aveva presi quando ci fece prigionieri: possiamo quindi mandare al diavolo tutti questi ubriaconi... E quattro!...

Infatti, altri due Patagoni erano ruzzolati per terra, come se fossero morti. Gli altri continuavano a immergere le loro manacce nei barili; ma non ne potevano più e mantenevansi ancora in piedi per un prodigio di equilibrio.

Alcuni, diventati furibondi per le soverchie libazioni, altercavano già e si scambiavano formidabili pugni, mentre altri cantavano a squarciagola e saltavano disordinatamente coi capelli sciolti, i manti laceri, gli occhi strambuzzati, e due o tre si dimenavano per terra in preda a violente convulsioni, mentre nelle mani raggrinzate stringevano delle strane pipe, nelle quali avevano fumato chissà mai quale strana miscela.

— Che si siano avvelenati? — chiese Cardozo, che si era alzato per meglio osservare quegli strani fumatori.

— No: si divertono, — rispose il mastro.

— Ma non vedi che si contorcono come se soffrissero?

— Ti ripeto che si divertono.

— Mi spiegherai un po’ in qual modo.

— Osserva quel fumatore e non perderlo di vista.

Un Patagone, che si manteneva in equilibrio per un vero miracolo, si era in quel momento allontanato dai compagni, che continuavano a disputarsi accanitamente gli ultimi sorsi di cána, tenendo in mano la sua pipa di pietra.

Sdraiatosi, o, meglio, lasciatosi cadere fra le erbe, la caricò con un pizzico di tabacco, mescolandovi una certa sostanza che pareva avesse raccolto da terra. [p. 214 modifica]

— È sterco, disse il mastro, prevenendo la domanda di Cardozo: – sterco di cavallo, che il fumatore ha mescolato al golk (tabacco).

Acceso il miscuglio, l’ubriaco si rovesciò sul ventre ed aspirò sette od otto volte il fumo, inghiottendolo e rigettandolo solamente qualche minuto dopo dalle narici e tutto in una sola volta. Un fenomeno strano si verificò allora in quell’uomo: la pipa gli sfuggì dalle mani, stralunò gli occhi, mostrando solamente il bianco, le forze improvvisamente lo abbandonarono e ricadde lungo e disteso agitando convulsivamente le membra, soffiando fortemente ed emettendo dalle labbra semiaperte larghi getti di saliva.

— È ubriaco? — chiese Cardozo.

— Lo hai detto, — rispose il mastro sorridendo.

— E tu mi assicuri che quell’uomo si diverte?

— Così dev'essere, poichè i Patagoni fumano quasi sempre in questo modo: essi dicono che anche il loro Dio ha partecipato a questo bizzarro godimento; anzi prima di fumare offrono a lui qualche boccata e una preghiera.

— E durano molto quelle convulsioni?

— Pochi minuti, poichè ordinariamente i compagni dei fumatori le fanno cessare con una lunga sorsata d’acqua.

In quel mentre altri sette od otto bevitori, briachi fradici, stramazzarono a terra. Il mastro, che non perdeva di vista i Patagoni, si alzò bruscamente.

— Cardozo, — disse, — l’ora della liberazione è suonata. Fra pochi minuti nessuno di questi uomini sarà in grado di tenersi in piedi, e prima di dodici ore Hauka non si accorgerà della nostra scomparsa: fuggiamo!

— Sono pronto a seguirti, marinajo, — rispose Cardozo, saltando in piedi colla carabina in mano.

— Va’ a preparare tre cavalli e conducili dietro ai forgoni.

— Viene con noi anche l’agente del Governo?

— Se vuole rimanere qui, si accomodi pure: mi farebbe quasi un piacere.

— E dove fuggiremo?

— Verso la frontiera del Chilì. [p. 215 modifica]

— E Ramon?...

— Mille fulmini!...

— Non possiamo abbandonarlo.

— Lo cercheremo.

— Ma: dove?

— Non dev’essere molto lontano: è quindi probabile che lo incontriamo.

— Corro a preparare i cavalli.

Mentre Cardozo si allontanava, cacciandosi fra i cactus per non farsi scoprire dai bevitori, il mastro si avvicinò all’agente del Governo, che si era disteso indolentemente fra le erbe.

— Signor Calderon, — disse.

— Cosa volete? — chiese l’agente, alzandosi lentamente.

— I Patagoni sono tutti ubriachi.

— Tanto peggio per loro.

— E noi fuggiamo.

— Voi fuggite? — chiese l’agente con sorpresa.

— Sì, o signore.

— Volete farvi uccidere?

— Meglio uccisi in mezzo alla prateria che schiavi di questi briganti. Venite voi?

L’agente incrociò le braccia e lo guardò fisso senza rispondere.

— Mi avete compreso? — chiese con voce quasi minacciosa il marinaio.

— Perfettamente.

— Ebbene?

— Voi portate i milioni del Presidente: vi seguo!