Il sigillo d'amore/La prima confessione

La prima confessione

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Lo spirito dentro la capanna Il leone
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LA PRIMA CONFESSIONE.


Di dover un giorno o l’altro rivelare i suoi peccati a un uomo di Dio, non importava gran che alla Gina di Ginon il pescatore d’acqua dolce: i suoi peccati erano noti da una riva all’altra del grande fiume paterno, e lei non si curava di nasconderli; ma che dovesse confessarli proprio a don Apollinari, il nuovo parroco del paese, questo Gina non poteva concepirlo.

Don Apollinari era l’unico essere al mondo capace di destare in lei quel senso fra di paura, di soggezione e di ammirazione, che la spingeva a nascondersi come una lucertola fra i cespugli quando egli, col suo libro in mano, passava lungo l’alto argine del fiume. La persona di lui, che senza l’abito nero sarebbe parsa trasparente, tanto era sottile e bianca, sembrava a Gina quella di San Luigi disceso e uscito dalla sua cappella campestre: a volte non gli [p. 252 modifica]mancava neppure un fiore in mano: e i capelli rossi, se don Apollinari camminava a testa nuda, fiammeggiavano confusi con le nuvole infocate del tramonto.

Tutti, in paese, dicevano che egli era un santo, venuto a convertire la popolazione che negli ultimi anni, dedita solo a far quattrini e a mangiare e bere, si era dimenticata di Dio e della chiesa.

E Gina lo credeva benissimo: ma a lei i santi piacevano dipinti come quelli dei tabernacoli solitari aperti a tutti nei crocicchi delle strade campestri; i santi vivi le facevano paura, e il pensiero d’incontrarne uno le dava le ali ai piedi quando era costretta ad avvicinarsi alla chiesa arcipretale del paese.


*


Ed ecco un giorno don Apollinari apparve come un fantasma nero in mezzo ai pioppi del bosco lungo il fiume. E cercava di lei, proprio di lei, Gina di Ginon il pescatore d’acqua dolce.

Il pescatore s’era edificato in riva al fiume un’abitazione quasi stabile, fatta di tronchi, di assi, di rami e di stuoie di giunco: oltre ad una camera coi suoi bravi lettucci c’era un’ampia tettoia con tavole e panche dove alla festa i [p. 253 modifica]buontemponi del paese venivano a banchettare; e dietro l’accampamento non mancava una specie di cortile dove il bravo Ginon allevava le anatre selvatiche e alcune oche grosse e tranquille come pecore.

La Gina, orfana di madre, faceva da massaia. In principio veniva solo di giorno a portare da mangiare al padre e badare alle oche quando egli era alla pesca: poi col sopraggiungere della bella stagione aveva abbandonato del tutto la casa della nonna, per fermarsi nello stabilimento paterno. E avrebbe seguito Ginon anche nella pesca, se fosse stato in lei; ma essendole questo proibito, trovava da pescare per conto suo, con una piccola rete da gioco.

Protesa su una barca legata alla riva, era riuscita, dopo lunga e paziente attesa, a prendere uno di quei pesciolini che si chiamano gatti ed hanno proprio i baffi, quando il parroco apparve. Le anatre e le oche lo circondavano, ed egli si volgeva di qua e di là come per benedirle e conversare con loro. Vederlo e buttarsi in fondo alla barca a pancia in giù, poichè in altro modo non poteva nascondersi, fu tutt’uno per la Gina.

— Egli se ne andrà bene, — ella pensava, chiudendo forte gli occhi e rattenendo il respiro. — Sarà venuto a spasso e se ne andrà. Non poteva trovare un altro posto? Non poteva proprio? [p. 254 modifica]

Passarono alcuni secondi. Ella sentiva la barca dondolare come una culla, e nel silenzio le anatre gracchiare sommesse, sempre più sommesse, e infine tacere. Anche le anatre sapeva ammaliare, il prete, con le sue parole magiche.

— Forse se n’è già andato, — ella pensava; ma sentiva ch’egli era lì ancora; poichè la presenza di lui spandeva un profumo misterioso attorno, come i pioppi che odorano di rosa.


*


D’improvviso la barca dondolò forte, a lungo, avvertendo Gina che qualche cosa di straordinario accadeva.

— Bambina — disse una voce che pareva venire di sott’acqua, — alzati.

Ella si alzò, con gli occhi chiusi nascosti sul dorso della mano.

— Giù quella mano, — disse la voce, adesso vicina ed intensa.

Gina lasciò cadere la mano; e di fra le palpebre che si aprivano e si chiudevano spaurite vide don Apollinari seduto sull’asse, come Gesù nella barca di San Pietro. Le mani e il viso di lui avevano il colore madreperlaceo dell’acqua corrente; degli occhi Gina non distingueva il colore perchè non poteva fissarli coi suoi. [p. 255 modifica]

— Bambina, — egli disse, immobile come dipinto sullo sfondo arboreo della riva, — io sono venuto qui per cercarti. Tutte le altre pecorelle sono tornate all’ovile; anche tuo padre viene alla messa e s’è accostato alla santa comunione. Tu sola fuggi via ancora, tu sola vivi ancora con le bestioline del bosco e della riva. È tempo che anche tu ti ricordi di essere cristiana.

Ella prese coraggio, ella che contrastava a tu per tu coi peggiori ragazzacci del paese.

— È ben quello che volevo dire, sior prevosto; non sono una pecorella, io.

— Brava, brava, — egli disse contento; — allora mettiti lì a sedere e discorriamo.


*


Ella si mise a sedere in faccia a lui; voleva dirgli: — discorriamo pure, ma io a confessarmi non ci vengo, no; — la sua sfacciataggine però non arrivava a tanto; l’idea che egli in persona era venuto a cercare di lei la riempiva di orgoglio, e già anzi il pensiero di offrirgli qualche cosa, fosse pure un uovo d’anatra, come si usa coi buoni ospiti, germogliava in lei.

— Gina, — egli disse, con le bianche mani giunte e bassa la testa, quasi fosse lei la santa e [p. 256 modifica]lui il peccatore, — da molto tempo io ti conosco e ti seguo. Tu hai già dieci anni compiuti e ancora non sai nè leggere nè scrivere nè, credo, dire il paternostro. Tu hai per compagni i peggiori ragazzi del paese, che ti insegnano le brutte cose, e imprechi e maledici anche tuo padre e quella poveraccia della tua vecchia nonna che non bada a te perchè ha da combattere con troppe altre miserie. Per questo io sono venuto da te. Se tu vorrai, sarò io il tuo vero padre; vieni in chiesa, ascolta le parole che io rivolgo agli altri bambini: ti sentirai un’altra. Verrai? Me lo prometti?

— Sì, sì, — rispose lei, riavutasi completamente. — E lei mi darà le immagini e le medagliette.

— Ti darò le immagini e le medagliette; ma tu, in cambio, alla notte ritornerai a dormire presso la tua nonna e non andrai più coi ragazzi: e so loro ti vengono appresso scansali. Del resto anche loro adesso vengono in chiesa, e spero diventeranno migliori.

— Diventeranno migliori, — ammise Gina: — uno no, però, perchè è figlio del diavolo.

— Quale sarebbe?

— Che, non lo conosce? — disse lei sorpresa. — È Nigron, quello che porta il carbone. Egli viene di là, — ella aggiunse, additando la riva opposta del fiume dove il bosco si eleva come una muraglia nera. — Là c’è il [p. 257 modifica]diavolo che fa il carbone con le pietre, e Nigron viene a venderlo con la sua barca nera.

Il prete non conosceva questo Nigron, che apparteneva ad un’altra parrocchia, e che del resto si tratteneva poco sulla riva dopo aver venduto la sua merce al rivenditore di carbone del paese: le parole di Gina quindi lo interessarono.

— Perchè questo Nigron non può diventare buono? E in che consiste la sua cattiveria?

— Egli ci ruba le anatre, e l’altro giorno mi ha bastonato; e dice che se io parlo dà fuoco alla nostra casa. A lei, sior prevosto, lo dico, però, — ella mormorò in tono di confessione; poichè sapeva che il confessore non può riferire i segreti del penitente.

— Dimmi la verità, Gina: e tu hai fatto qualche dispetto al Nigron?

Ella chinò la testa: poi disse, piano:

— Lui aveva legato la barca ed era andato a cercare il rivenditore che ancora non veniva. Io allora sono scesa nella barca ed ho buttato l’acqua sul carbone.

— Con questo hai forse fatto il suo interesse; — disse sorridendo il prete; — ad ogni buon fine lui dunque ti ha bastonato e in cambio dell’acqua ti ha promesso il fuoco. Ma dimmi un’altra cosa: è vero che anche tu non rispetti molto la roba altrui?

Qui era il punto difficile. Gina sentì un [p. 258 modifica]intenso calore al viso e le parve che i suoi capelli divenissero rossi come quelli del prete: ma poichè non si trattava di confessione in chiesa, finì con l’ammettere che pure lei non rispettava troppo la roba altrui.

— Quando vedo dell’uva la prendo: la me piass tant! — esclamò, e fissò in viso il prete come per chiedergli: — e a lei l’uva non piace? — poi ho veduto delle pere grosse come la mia testa e ne ho prese due.... Due sole, — confermò con l’indice e il medio tesi verso don Apollinari: e con un impeto di sincerità aggiunse: — e se mi capita piglio le altre.

— Tu le altre non le toccherai, — egli disse guardandola severo eppure sorridente: ma il sorriso gli morì sulle labbra, poichè Gina faceva una smorfia che significava: — e chi me lo impedisce?

— Ho rubato pure una gallina, — ella riprese quasi vantandosi delle sue prodezze; — ma l’ho lasciata andar via per paura che il babbo mi bastonasse: poi anche una scarpa, al mio cugino Renzo; ma questo l’ho fatto per dispetto. La scarpa l’ho buttata in acqua. Poi....

Qui veniva il grosso: lei stessa lo capiva e si fermò spaurita. Egli l’incoraggiò:

— Poi? Di’ su pure.

— Poi ho preso gli orecchini della nonna. Lei però crede li abbia presi Vica la gobba, [p. 259 modifica]quella che ruba dappertutto, e nessuno le dice niente perchè se no porta sfortuna.

— Che ne hai fatto, di questi orecchini? — domandò con sorprendente dolcezza il prete.

Ella taceva, piegandosi sulla sponda della barca come per cercare qualche cosa nell’acqua che vi si sbatteva lieve.

— Non li avrai buttati nel fiume, quelli: di’ su pure. Che ne hai fatto, Gina?

Era strana la voce del prete: rassomigliava a quella dei ragazzi quando con altri compagni s’incoraggiavano a fare assieme qualche birbonata. Ella sollevò la testa, senza sollevare la persona, e dopo una bestemmia disse:

— Mica li ho mangiati. Li ho nascosti.

— Dove li hai nascosti? In casa, o qui?

Ella si sollevò di scatto: pareva che tutta la sua personcina protestasse per la dabbenaggine del prete, che la riteneva così stupida da nascondere il furto in casa propria. E coi lunghi occhi di piccola tigre sorridenti di malizia crudele, confessò il più grosso dei suoi peccati.

— Li ho nascosti nella barca del Nigron.

Allora fu lui, il santo prete, ad arrossire di collera.

— Che hai fatto, Gina! — esclamò con un estremo sforzo di dolcezza. — E se vengono ritrovati nella barca il ragazzo passerà per essere un ladro.

— E non lo è? Lo è, sicuro. [p. 260 modifica]— Come sei cattiva, — diss’egli allora, passandosi disperato la mano sui capelli ardenti. E sentì che qui non c’era da procedere oltre con mezze misure. Si eresse anche lui sulla rigida persona e si rimise il cappello in testa. Anche la sua voce mutò: e tutto parve nero e minaccioso in lui.

— Sei tu, e non Nigron, la vera figlia del diavolo. E se continui così, egli, il diavolo, una sera verrà a prenderti e ti condurrà certamente alle foreste dell’inferno. Sicuro!

Questa bella promessa ebbe l’effetto desiderato. Gina impallidì e tornò a nascondersi gli occhi sul dorso della mano.

— Ti sai almeno fare ancora il segno della santa croce?

Ella si fece il segno della croce, ma con la mano sinistra: poi, atterrita dalla visione delle foreste dell’inferno, dove intorno ai cumuli di carboni ardenti migliaia di diavoletti simili al Nigron danzavano sogghignando, disse con una vocina di ranocchio:

— Verrò.... verrò....

Voleva dire: verrò a confessarmi: e non pensava che la prima confessione l’aveva già fatta.