Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Bossolano/VI

In casa del sindaco

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IN CASA DEL SINDACO.


Gli altri personaggi del paese il maestro finì di conoscerli alle serate del sindaco; alle quali, essendogli stato ripetuto l’invito, si credette in debito d’intervenire. Ci trovò la prima sera la maestrina Riccoli, seduta accanto alla padrona di casa, nell’atteggiamento timido d’una “damigella di compagnia„ entrata in ufficio da poche ore: la sindachessa invitava sempre le maestre per farsene una specie di guardia d’onore letteraria. C’erano altre signore, tutte mature, eccetto la moglie del geometra, ispettrice delle scuole: una brunetta tutta occhi, e senza mento; ma bellina, e piena di pepe; che passava per il bello spirito del comune. Le signore stavano in un angolo della sala grande; gli uomini, parte in questa, parte nel salottino accanto, dove si fumava. Due modesti lumi a petrolio appesi al soffitto rischiaravano modestamente le due stanze modestissime, lasciando nel buio i vari diplomi onorifici del sindaco, attaccati in alto alle pareti; e due volte ogni sera una serva portava in giro in un vassoio dei bicchieri d’una piccolezza lamentevole, con due dita di Marsala, che sapeva di spezieria. Qualche volta il sindaco in persona andava attorno con uno di quei portasigari in forma di tempietti esagonali, di cui s’aprono insieme tutti gli usciolini, girando un bottone di metallo, e offriva dei Cavour agli amici; ma apriva e chiudeva con tale rapidità, che se l’amico non era più che pronto a servirsi, o non ci arrivava in tempo o si facea serrar dentro le dita.


C’erano la prima sera il delegato scolastico, il geometra, l’esattore, ed altri che il Ratti non conosceva; entraron più tardi il parroco ed il medico condotto: un giovanotto d’alta statura, con una bella barba d’oro, che pareva un tedesco. Quando ci furon tutti, s’impegnò una conversazione interminabile sopra una recente votazione del Consiglio, con la quale si deliberava di far eseguire una fognatura lungo “l’asse longitudinale„ [p. 187 modifica]del cimitero per impedire le abbondanti infiltrazioni d’acqua che vi si facevano da un terreno soprastante; votazione che era stata preceduta da controversie lunghe e animate. E in quella conversazione, in cui gli argomenti addotti in consiglio furon ripetuti dalle due parti, essendo il delegato risolutamente contrario alla perizia medica su cui la maggioranza dei consiglieri s’era fondata, il maestro ebbe campo di notare un metodo di discussione nuovo affatto per lui. Sì, il sindaco e la sindachessa gli avevan detto giusto, presso a poco: i signori di Bossolano mantenevan fra loro, nonostante i dissensi amministrativi, delle buone relazioni d’amicizia; ed era vero che sarebbe stato difficile il trovare un altro comune in cui si trattasse con pacatezza una questione simile fra un ex sindaco, com’era il delegato, e il sindaco in carica, dopo un battibecco già avvenuto in consiglio. Ma nel contraddirsi con gentilezza, tanto i due contendenti principali quanto i secondari, adoperavano certe frasi di proprio conio, che in tutt’altra riunione avrebbero provocato dei guai. Si dicevano dolcemente, per esempio: — Lei sa di dire una cosa men che esatta.... — In quella circostanza, mi scusi, lei ha tenuto una condotta meno corretta.... — Loro non hanno agito in questo con tutta quella delicatezza che saremmo stati in diritto d’attendere.... — Ammesse queste formole come di buona creanza, sì, si poteva dire che nè l’una parte nè l’altra uscissero dai termini del rispetto reciproco. Ma al maestro la cosa parve un po’ strana. Del resto, quando una discussione fra due signori accennava a inacerbirsi, la padrona di casa entrava a raccomandare la pace o a interrompere scherzando, col fare amorevole e grave d’una ministressa o d’un’ambasciatrice, che dall’urto di due dei suoi ospiti tema di veder schizzare la prima scintilla d’una “conflagrazione„ europea.


Cambiando crocchio due o tre volte, il Ratti si trovò in un angolo della sala grande, accanto all’ispettrice, la quale mostrò di divertirsi assai a sentirgli tratteggiare alcuni dei personaggi comici di Altarana e di Camina. Poi, facendo fare due o tre svoltate alla conversazione, la tirò sulla maestrina Riccoli, e domandò al maestro che cosa gli paresse della sua piccola [p. 188 modifica]collega. Una ragazza simpatica, non è vero? benchè fosse un po’ troppo minutina. Ed era anche un’ottima maestra: aveva una pazienza e un amore per le sue bambine, che non si poteva dire di più. — Solamente — soggiunse — bisognerebbe che qualche persona di sua confidenza l’avvertisse di correggersi d’un difetto.... Non è un difetto, se si vuole; starei anzi per dire che è una virtù; ma di quelle virtù che quando sono spinte all’eccesso, lei m’intende, possono dar materia.... allo scherzo. E ne sarei tanto dispiacente! — La cosa era questa. La ragazza, timida per natura, e stata educata da due zie nubili, tutte di chiesa e ignoranti del mondo, a furia di legger nei giornali e di sentir dire in famiglia dei tanti casi deplorevoli che seguono alle maestrine sole nei villaggi, s’era fatta un’idea talmente fantastica dei pericoli, ch’era venuta a Bossolano, sua prima stazione rurale, con lo stesso animo con cui una monachella sarebbe entrata in un accampamento di soldati del Gran Turco. Si barricava in casa, non usciva mai sola dopo il tramonto, vedeva in ogni uomo che le si avvicinasse un don Giovanni di professione, non s’arrischiava a fare una passeggiata in campagna, come se dietro a ogni gruppo d’alberi fosse appostato un rapitore, col bavaglio pronto, e una carrozza dietro. Basti dire che la sera stessa del suo arrivo aveva chiuso l’uscio in faccia al fabbro ferraio mandatogli dal sindaco per fare una riparazione nel suo quartierino, dicendogli per il buco della serratura che tornasse il domani di pieno giorno, quando c’era la sua persona di servizio. E Dio ne guardi che un uomo le facesse un complimento a quattr’occhi, anche con tutto il rispetto! S’inquietava come a una minaccia di violenza. Non aveva perfin domandato consiglio a lei se dovesse denunziare al pretore d’aver visto una sera tre giovani fermi a guardar la sua casa, come se pigliassero delle misure per dare una scalata notturna? Il maestro rise, come d’una celia. Ma la signora gli accertò ch’era vero. Non gli disse, peraltro, che invece di levare alla ragazza quelle paure ridicole, gliele fomentava essa medesima, per pigliarsi gioco di lei, senza che se n’avvedesse, consigliandola a guardarsi dall’uno e dall’altro, a cui attribuiva delle tristi intenzioni, e dipingendole persino come un libertino focoso [p. 189 modifica]e capace di tutto qualche vecchio consigliere pien di reumi, che aveva l’aspetto di non aver mai tradito la moglie nemmeno con l’immaginazione. Questo ella non disse, ma lo dimostrò con la più tranquilla disinvoltura quella sera stessa. Quando stavano per uscire, disse piano alla maestrina, in aria di protezione, che l’avrebbe accompagnata a casa, e uscendo sulla piazza oscura la mise tra sè e suo marito, pigliandola a braccetto. Il maestro s’accompagnò a loro, per vedere. Quando furono davanti all’uscio la signora strinse la mano alla ragazza, e le disse: — Ora vada su in fretta e mi faccia il solito segno. — Quella salì la scala di corsa, e dopo un minuto comparve dietro ai vetri della finestra illuminata, facendo un cenno di rassicurazione, come per dire: — Non c’è nessuno. — Poi le imposte si chiusero e la signora soffocò una risatina nel manicotto.


Alla seconda serata, il Ratti seppe dalla signora stessa la storia della maestra Bargazzi. Il sindaco e il delegato erano in pensieri appunto per una lettera di lei, scritta da Torino, nella quale essa preannunziava il suo arrivo, minacciando tuoni e saette se non le fosse stato restituito il suo posto. Questa Bargazzi, figliuola d’un falegname, una figura d’ostessa muscolosa, era stata maestra dieci anni a Bossolano non mostrando altro difetto che un carattere un po’ irascibile e una gelosia acre di tutte le sue colleghe giovani: senza mai far scandali, però. Ma quand’era arrivata all’età critica, pareva che le fosse entrato il diavolo in corpo: aveva cominciato a lacerar reputazioni, ad attaccar brighe, a far nascere pettegolezzi e imbrogli tali tra autorità, insegnanti, parenti di alunni e quanti conosceva, che una sera, provocati da un’ultima villania usata da lei alla madre d’una bimba, che per poco non era svenuta nella scuola, s’eran raccolti trecento bossolanesi con chiavi, scatole da petrolio e padelle, e le avevan fatta sotto le finestre una così formidabile serenata, da forzarla a scappar dal paese. Riammetterla alla scuola sarebbe stata una pazzia; ma siccome, pel suo contratto col municipio, aveva ancora diritto a due anni, forte di questo, essa era andata a Torino per far valere le sue ragioni. Il provveditore, prese notizie [p. 190 modifica]dei fatti, e visto che al suo posto non poteva esser rimessa, aveva dato incarico al delegato scolastico di indurla con le buone a un componimento. Ma lei, venuta a Bossolano di nascosto, non appena udite le prime esortazioni, aveva dato in ismanie e coperto d’ogni sorta d’improperi il delegato, la sua famiglia, la persona di servizio, i vicini di casa, persino i carabinieri che erano accorsi alle grida. Allora il Consiglio scolastico l’aveva sospesa per sei mesi, ed era stata destinata la maestra Riccoli a sostituirla. Ma non s’era rassegnata ancora la Bargazzi, che, tornata a Torino, aveva perseguitato per un mese il provveditore e il prefetto con lettere, domande d’udienza, fermate per la strada, piagnistei e minacce per le anticamere e per le scale. Ora, finalmente, saputo che la nuova maestra era stabilita nel paese, invasata da nuovo furore, minacciava di venir a riprendere il suo posto di viva forza, a fare le sue vendette; e le due autorità, che conoscevano la lingua e l’audacia dell’amica, stavano in aspettazione d’un pessimo quarto d’ora. In ogni modo, diceva la signora, il paese se n’era liberato, ed ora si poteva dire d’avere un personale insegnante veramente esemplare. E fece della maestra Marticani un elogio a lancettate, che era una maraviglia di ferocia benigna. — È un’eccellente maestra, — disse — a cui ci sarebbe da fare un solo rimprovero, che le fa onore, insomma: ed è di tener fin troppo la disciplina, di far star le ragazze fin troppo.... a bacchetta. Del resto, è una signora educatissima, e di buona famiglia: credo che abbia un fratello scrivano da un avvocato di Novara, e uno zio capo usciere al Senato. Lei avrà già visto com’è affezionata al suo ragazzetto. Peccato che non possa far venir qui un giorno quel benedetto marito, per farla finita una volta con le dicerìe. Si sa che nei piccoli paesi s’è molto inclinati a pensar male. Essa dice che l’impiego del marito non gli permette di assentarsi da Torino. È nelle Poste, mi pare. Ma dovrebbe fare un sacrifizio. Capisco, però, che gl’impiegati della Posta di Torino hanno ben altro da fare che quelli di Bossolano: specialmente i portalettere.

E chi sa fin dove avrebbe spinto l’elogio se la parola repubblicani, detta dal delegato nel salottino accanto, non avesse richiamata la sua attenzione. Essa tacque [p. 191 modifica]subito e fece cenno al maestro di star a sentire, e benchè il delegato parlasse a bassa voce, il Ratti, stando seduto vicino all’uscio, potè intendere quasi ogni parola. — Son quasi tutti repubblicani, — diceva quegli con la sua voce agra di malcontento eterno. — Lo spirito rivoluzionario è nella natura stessa della professione. E il governo se la piglia con quelli che alzano le bandiere rosse nei comizi! Che sciocchezze! I nemici più seri delle istituzioni non sono quelli che vanno a blaterar nei teatri: son quelli che i comuni pagano di propria tasca, perchè avvelenino la gioventù. Vi dico che tirano su una generazione d’anarchici, che vi faranno saltare per aria. Intanto son loro che hanno messo il fuoco alle Romagne: è un fatto incontestato. Son tutti affigliati a qualche cosa. Non sono che i gonzi che si lasciano dar la polvere negli occhi dalle loro Società di mutuo soccorso, dalle Leghe per la diffusione dell’istruzione, e via discorrendo. Bisognerebbe vedere gli statuti segreti. E poi, son tutti in corrispondenza fra loro: non c’è classe della società che scribacchi più lettere e che abbia più giornali; tutti sono abbonati a uno almeno; tutti scrivono articoli. Lo sa lei che cosa scrivono?... Nemmeno io. I loro giornali non si vendono per le strade e non si trovano nei caffè; ma son più pericolosi per questo, perchè fanno il loro lavoro di sotto mano, senza far rumore. No?... Ma voialtri negate la luce del sole. Sono una gran setta formata di tante sette, discordi qualche volta su certe quistioni d’abbiccì, ma sempre concordi sulla gran quistione. Son tutti legati, vi dico. Provate a toccarne uno: urlano mille. Tutti propagandisti clandestini furibondi. Mi fate ridere. Vorrei che poteste sentire di dietro agli usci delle scuole, che razza di “variazioni„ fanno sulle materie d’insegnamento!

— Si saprebbe dai ragazzi, — disse una voce.

— Ma i ragazzi, — rispose il delegato, — o tacciono per paura o sono d’intesa con loro, che diavolo! I ragazzi sono anarchici per istinto. È più che naturale che vadan più d’accordo con loro che coi parenti. A questi lumi di luna! Dai vent’anni in giù tutto il paese cospira.

Alcuni risero.

— Sarò ridicolo, — continuò il delegato. — Continuate a andar avanti con la testa nel sacco. Io credo [p. 192 modifica]che sia proprio in faccia ai crocifissi e ai ritratti di Sua Maestà che si prepara quel certo gran crac di quel malvivente dell’organista. Giusto, un’altra serpe che vi scaldate in seno. Come no?... Una prova di quello che vi dico è che tutti i nuovi venuti hanno subito stretto amicizia con lui. Si debbon riconoscere a un segno, come i massoni.... Cosa volete dire?

Qualcuno gli dovè aver fatto segno che il maestro poteva esser vicino, perchè il delegato tacque, e gli altri intavolarono un altro discorso. La signora domandò al Ratti, sorridendo, se aveva capito a chi il delegato volesse alludere. Era chiaro. — Non se n’abbia per male, — gli disse; — è una fissazione che ha quel brav’uomo contro i maestri: sono sempre stati le sue bestie nere. Ma sarebbe incapace di torcere un capello a chi che sia, e non ha mai avuto che dire con un insegnante. Che cosa vuole? S’è ammucchiato un piccolo patrimonio con cinquant’anni di visite e di salassi, e ha una tal paura di perderlo che vede nemici dello Stato fin sotto la tavola: i giorni che cala d’un punto la rendita, non si leva da letto. Però, se vuol accettare un mio consiglio, non si faccia vedere in troppa familiarità con l’organista, perchè ne potrebbe aver dei dispiaceri, come il suo predecessore. È una lingua da tanaglie. È capace di aver detto orrori anche di me (e fissò il giovane). Un maestro, lei capisce, è bene che usi certi riguardi.... — Ma qui le scappò da ridere, e soggiunse: — È però un gran capo ameno col suo gran crac, non si può negare; e suona che è una delizia. Che brutta faccia. Dio mio!

Nonostante quest’incidente, il Ratti continuò a frequentar con piacere le serate sindacali, non solo perchè gli solleticava l’amor proprio l’esser ricevuto familiarmente nella prima casa del paese, ma perchè da tutte quelle discussioni che vi sentiva, sopra argomenti d’amministrazione, di legge, di lavori pubblici e d’agronomia, benchè fatte da persone di cultura incompleta, molte cose s’accorgeva d’imparare, senza fatica, delle quali si poteva giovare anche nella scuola; e pensava spesso a quanto imparerebbero tutti i maestri se potessero viver così in domestichezza amichevole con la gente migliore dei villaggi, invece di esser lasciati in un canto come servitori. [p. 193 modifica]

Una sera anche ebbe la soddisfazione di sentir pigliare le difese della sua classe, in presenza del delegato, che tacque. Il sindaco raccontò un fatto singolare accaduto di fresco in un comune del circondario, un episodio scolastico amoroso della grande commedia del mondo rurale. C’era una maestrina bionda, alla quale avevano fatto la corte nello stesso tempo, senza frutto nè fiore, due consiglieri dalle braccia lunghe. Ma appena essi s’eran ritirati dal campo,

era venuto nel villaggio un maestro nuovo, il quale aveva rapito il cuore alla bella, e l’aveva sposata. I due consiglieri, ch’erano stati fino allora rivali acerrimi e s’eran fatta una guerra a morte, non potendo sopportare nè l’un nè l’altro lo spettacolo odioso di quella luna di miele magistrale, s’erano affratellati nel proposito della vendetta, e minacciando il sindaco di scavalcarlo alle prossime elezioni, l’avevano indotto a licenziare, con un pretesto qualunque, i due sposi. Senonchè i signori del Consiglio scolastico, non accecati dalla gelosia, avevano rimessa la coppia amorosa nel suo nido, in barba ai due amministratori frementi: il decreto del Consiglio era uscito nel giornale tre giorni avanti. E l’ispettrice diceva d’aver conosciuto il maestro a Torino, in un trattenimento di famiglia, dove aveva cantato un duetto del Crispino e la Comare, con una bella voce di basso.

— Poveri maestri, — soggiunse ridendo, rivolta al Ratti. — Come hanno da fare, se non li vogliono nè celibi ne ammogliati?

Ma il geometra n’aveva una meno allegra e più strana da raccontare: intorno alla quale, anzi, chiedeva delle spiegazioni all’esattore presente. In una frazione del comune di Crodella, dove c’era un locale orribile per le scuole, un vecchio maestro che v’insegnava da molti anni, e che, a conti fatti, riceveva un centesimo al giorno per ciascun alunno, era riuscito a forza di sacrifizi a liberare da certe ipoteche una sua casipola, e in una stanza di questa aveva installata la sua scolaresca, con soddisfazione del comune, il quale gli pagava il fitto di diciannove lire e settantacinque [p. 194 modifica]centesimi all’anno. Come mai, diceva il geometra, l’agente delle imposte aveva avuto il coraggio d’imporre a quel maestro lire otto e quaranta di tassa di fabbricati, riducendogli così il guadagno a undici lire e trentacinque centesimi, che è quanto dire a diciotto soldi al mese, incluse le spese di restauro?

A lui pareva una mostruosità: eppure era vero.

Ma l’ispettrice interruppe la risposta dell’esattore, dicendo che non voleva che si parlasse di quelle miserie in presenza del maestro Ratti e della signorina Riccoli. Essa aveva qualchecosa di più consolante da citare, una festa bellissima celebrata la domenica scorsa nel comune di Piana; della quale una sua amica le aveva fatta per lettera una descrizione commovente. C’era là il maestro Vittorio Lauri, un vecchio vicino agli ottanta, che da quasi cinquant’anni insegnava nel paese, con lo stipendio di seicento lire; e con quello stipendio aveva tirati su sette figliuoli, quattro dei quali eran maestri. Il ministero dell’istruzione pubblica gli aveva decretata la gran medaglia d’argento, incaricando di portargliela l’ispettore del circondario. Era stata una solennità senza esempio per il comune. Tutti e sette i figliuoli erano presenti. Le signore del comune avevano dato a ciascun alunno un piccolo oggetto, una tabacchiera, una penna d’argento, un portafogli, matite, libri, da regalare al loro maestro. L’ispettore, presentando la medaglia al vecchio, che piangeva dalla commozione, l’aveva baciato, e tutti avevan dato in uno scoppio d’applausi. Il maestro era stato accompagnato a casa come in trionfo, preceduto dai suoi scolari schierati, circondato dai figliuoli, seguìto dalla folla.... — Ah! che peccato non aver visto! — esclamò la signora, e porgendo la lettera dell’amica al maestro: — Gliela regalo — gli disse, con la voce del cuore; — le farà bene il leggerla quando avrà dei dispiaceri nella sua carriera.


Quando poi non c’erano sul tappeto quistioni amministrative o fatti di cronaca rurale, i discorsi finivan con ricader sempre sul nuovo edificio scolastico, che veniva su lentamente. Quel benedetto edifizio, di cui s’erano fatti, rifatti e discussi tre disegni diversi, era pure un grande aiuto in quella scarsità di soggetti di [p. 195 modifica]conversazione che presentava il villaggio. Già erano comparsi nei giornali, a intervalli, degli articoletti di lode per il geometra, per l’impresario capo mastro, e per i singoli appaltatori delle varie parti dell’asta, corrispondenti alle varie arti fabbrili; si conoscevano oramai e si ripetevano persino le biografie dei pochi muratori venuti dalla città; la “scuola nuova„ aveva finito con assumere l’importanza d’un’opera monumentale, per cui Bossolano sarebbe diventato un comune benemerito della patria. E tanto poteva in tutti la passione italica per l’esteriorità delle cose, che ogni quistione di miglioramento didattico morale scompariva di fronte a quella dell’edifizio, come se tra quei muri tutto fosse dovuto migliorare da sè per un effetto miracoloso della calce fresca; il sindaco avrebbe venduto anche i cartelloni e le lavagne per aggiungere un ornamento alla facciata; e quando due persone in piazza non sapevano come ammazzare un quarto d’ora, dicevano: — Andiamo a veder la fabbrica, — e andavano a veder la fabbrica; vicino alla quale, a una cert’ora della sera, eran sempre certi di trovare il maestro Delli, che amoreggiava con le finestre della sua scuola futura.