Il romanzo d'un maestro (De Amicis)/Altarana/VI
Questo testo è completo. |
◄ | Altarana - V | Altarana - VII | ► |
LE CONCORRENTI.
Così anche il giovine maestro stette aspettando la visita dell’ispettore che doveva risolvere la gran lite. I primi mesi dell’anno nuovo passarono senz’avvenimenti. Grandi nevicate, grandi silenzi, serate eterne. Ed egli si rimise agli studi, perchè aveva sempre in mente gli esami di concorso a Torino, dei quali s’immaginava enormi le difficoltà. La sera, dopo aver messo in ordine il registro mensuale, l’annuale, la decuria giornaliera e l’elenco dei mancanti, egli si metteva a leggere e a postillare i libri educativi del Tommaseo e del Lambruschini, seguendo il consiglio del direttore MegáriFonte/commento: normalizzo, di trascrivere e di studiare a mente ogni periodo in cui fosse espresso bene un pensiero che a lui paresse difficile d’esprimere in qualunque modo. E a quel lavoro, in quella quiete mortale dell’inverno di montagna, prendeva amore, e si rallegrava, come d’una prova d’aver pensato intensamente, quando all’uscire da una breve meditazione, gli pareva che il torrente ricominciasse in quel punto a brontolare, quasi come se avesse taciuto fino allora per non turbarlo. Così lo stato sempre eguale dell’animo in cui lo lasciava l’uniformità monacale di quella vita chiusa fra le nevi, gli rendeva assai più facile di tener fermo in scuola il metodo austero che aveva ripreso. Soltanto lo frastornava qualche volta l’inserviente, che abitava sopra la sua scuola, e che a certe ore del pomeriggio, quando covava una sborniaccia, russava con tal forza, alternando delle note di trombone e dei ragli strozzati, da costringerlo spesso a interrompersi; ma di questo contava di parlare al sindaco, alla prima occasione. Del resto, anche la scuola serale procedeva bene, e, col consenso del Municipio, egli v’aggiunse una scuola domenicale di disegno a mano libera, alla quale intervennero otto alunni, tra adulti e ragazzi, e che gli servì di utile ricreazione. Il soprintendente non gli si faceva mai vedere. Una volta sola in tutto l’inverno gli comparve in scuola (per rimettergli una circolare stampata dell’ispettore) il delegato scolastico, un vecchio medico del paese, tutto pelle e nervi, con una gran bazza irta di peli bianchi: il malumore personificato. E ci aveva le sue ragioni. Era da molti anni tormentato dalla gotta, e più dai grossi dispiaceri che gli davan vari figliuoli grandi, sparsi pel mondo; uno dei quali, macchinista a bordo d’un piroscafo, gli domandava denari per lettera e per telegrafo da tutti i porti dei due emisferi. L’impressione più viva che lasciò al maestro fu quella della amichevole franchezza con cui gli mostrò la sua stima per il soprintendente, ch’egli chiamava senza complimenti: il gozzuto. — Viene spesso il gozzuto? — Di questo sarà meglio che ne discorra col gozzuto. — Ma da che fosse nata la loro inimicizia, benchè tutto il paese lo dovesse sapere, nemmen questo riuscì al maestro di farsi dire dal segretario. — Un malinteso.... — brontolò costui — non è altro.... e non so neppure.... — E disse bene di tutti e due.
Una sera, però, verso la fin di marzo, riuscì il Ratti per la prima volta a fargli sputare un segreto. S’incontrò la mattina con la maestra Falbrizio levatasi da letto dopo alcuni giorni di febbre, durante i quali aveva mandato due volte suo marito analfabeta a far recitare la lezione alle bimbe; e quella, salutandolo di sfuggita, gli disse da una parte all’altra della strada: — Una novità, signor maestro! Sono arrivate le fotografie.
Voleva dir le fotografie delle concorrenti. Egli non ne potè sapere di più; ma andò a desinare col proposito di cavare il verme dal naso al segretario, a qualunque costo. E quella sera, per l’appunto, il suo umile commensale, forse per aver ricevuto qualche elogio o qualche promessa di gratificazione, era di così buon umore, che fece per la prima volta, in fin di tavola, uno sproposito, di cui il maestro non l’avrebbe mai creduto capace. Pigliando la cosa dall’alto, raccontò come un suo zio prete, anni addietro, morendo, gli avesse lasciato un deposito — poca cosa — ma ch’egli teneva prezioso e a cui ricorreva appena due o tre volte l’anno, e perchè era l’unica memoria ch’egli serbasse di quel galantuomo, e perchè le sue abitudini essendo molto frugali.... Insomma il lascito era un fondo di cantina, una piccola collezione di bottiglie di vini vecchi, dei quali, per amicizia, voleva quella sera far gustare un assaggio al suo buon vicino e compagno. E detto questo con aria di mistero, aprì l’armadio con atti compassati, come avrebbe aperto una cassa forte, ne cavò una bottiglia con gran riguardo, la sturò con molto rispetto, fece colare il vino come olio in due piccoli bicchieri e ne porse uno al maestro, guardandolo con due occhi curiosi per gustare di riverbero la voluttà straordinaria ch’egli avrebbe provata. Il maestro, da buon psicologo, aspettò che la bottiglia fosse quasi finita e il suo anfitrione molto eccitato, e allora lanciò tutt’a un tratto la domanda che volgeva in mente da un’ora:
— Dunque, caro segretario, sono arrivate le fotografie delle maestre. Cosa c’è di bello?
Il segretario restò interdetto.
— Come lo sa lei? — domandò, dopo una pausa.
— Lo so, — rispose sorridendo il maestro; — che le importa saper come? Andiamo, caro segretario. Sa bene che si può fidar della mia discrezione.
Quegli rispose in aria di indifferenza: — Le concorrenti son sette.... Le fotografie non son che tre. Poh! Nulla che meriti.
— Eppure — osservò il maestro — se hanno mandato, bisogna che credessero di mandare qualche cosa di particolare.
Il segretario si guardò intorno, e poi, avvicinando la seggiola e accendendosi tutt’a un tratto nel viso, disse a voce bassa: — Ce n’è una che mi piace assai. Una bruna, che pare una madonnina, pettinata in questa maniera, coi capelli lisci. Ma un’aria così per bene! Vestita di nero, un bel collo.... La fede dice venticinque anni. Ha già insegnato con lode in un Istituto di Saluzzo. Patente di grado superiore, ben inteso. E una bocca! In parola, non ho mai visto una più bella bocca. Lei conosce la moglie del medico condotto. Ebbene, una figura su quel genere;.... ma meglio. Una simpatia, insomma.
— Quella sarà la prescelta — disse il maestro.
— Oh! questo poi — riprese l’altro — dipenderà dalla Giunta.
— E le altre due? — domandò il maestro.
— Le altre due, — rispose il segretario, tornando ad animarsi, dopo aver data un’occhiata verso la cucina, — non ci sarebbe male. Una bionda, col collo lungo. L’altra è troppo grassa. Ma ha dei begli occhi. Siamo però ben lontani dalla prima. Ah! la prima, caro maestro! Porterà via il cuore a più d’uno. Non le dico altro.
— Mi pare che l’abbia già portato via a lei.
Il segretario fece un gesto come per dire: io non conto: un povero segretario comunale non è un uomo; e sospirò. Poi bevve un sorso e si riaccese. — Una bella bocca.... davvero, non ho mai visto una così bella bocca in vita mia.
— Ma! — esclamò il maestro, come sbadatamente — se farà la stessa impressione sul sindaco!
Il segretario lo guardò; poi disse, serio: — Non creda a quello che dicono, sa. La gente parla per parlare. Il sindaco può parere.... ma è un uomo che sa tenere il suo posto, incapace di abusare.... Ma, a proposito, non discorra di queste cose con nessuno, mi raccomando per l’amor del cielo. Lei conosce la mia posizione.... Dio ne guardi! Ho fatto male a parlare.
Il maestro mostrò d’offendersi di quella diffidenza.
— Oh non voglio dire.... — s’affrettò a soggiungere il segretario. — So con chi ho da fare. Mi burla? Ma mi raccomando. E.... (soggiunse più piano) già che le ho fatto mezza confidenza, glie la voglio fare intera, per mostrarle la stima che ho di lei. È stata nominata la prima.
— Che si chiama? — domandò il maestro.
— Un bel nome: Faustina Galli! — rispose il segretario; e versato l’ultime goccio nei bicchieri, disse con espansione; senza pesar le parole: — Beviamo alla salute della signorina, e che Dio glie la mandi buona!
— Ah! Ah! — esclamò il maestro; — corre dunque dei pericoli!
Quegli capì subito lo sproposito, e alzandosi da tavola, un po’ vergognato, e indispettito per la prima volta: — Eh! che diavolo d’uomo, — esclamò — per sospettar male in ogni parola!
Ma la parola incauta che comprometteva l’autorità, era scappata, e al segretario non restò a far altro che raccomandarsi da capo al maestro perchè non rifiatasse con nessuno; dopo di che se n’andò a dormire inquieto, e pien di rimorsi.