Il nostro padrone/Parte seconda/IX

IX

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IX.

Da qualche tempo la maestra Saju notava uno strano cambiamento in sua figlia. Sebbene ora non si mangiasse male come nell’inverno passato, Sebastiana di magrava ed era meno rosea del solito; non chiacchierava e non rideva scioccamente, e neppure diceva tante bugie come prima.

Dalla mattina alla sera se ne stava in casa dalla sua vicina; ne assumeva i modi e persino l’accento; ciò non dispiaceva a sua madre, che aveva molta stima di Marielène perchè la riteneva una donna furba intenta a fare i suoi interessi come poche donne sanno; ma l’idea che Sebastiana era bella, giovine e leggera, e che i pensionanti, quei diavoli di borghesi continentali, non rispettavano neanche la donna più seria, inquietava spesso la maestra.

— Tu non devi trattenerti da Marielène quando i professori e i vice‐cancellieri stanno in casa. Tu sai, figlia mia, che la donna maritata è come una tazza di cristallo: il più leggero alito la [p. 265 modifica]appanna.... Figlia mia, noi dobbiamo camminare come sulla lama d’un coltello.

Sebastiana era stufa dei paragoni enfatici e delle imposizioni di sua madre, e spesso si ribellava, e andava da Marielène, e saliva sul Monte, sebbene la maestra dicesse che la moglie di Predu Maria Dejana, ora che egli occupava un posto decoroso, non doveva andare a cogliere ghiande come una pezzente qualunque.

Sebastiana taceva, ma ogni mattina, appena apriva la porta sulla scaletta, guardava il cielo, e se lo vedeva sereno, e se la brina scintillava sull’orto silenzioso, ella prendeva la sua corbula e saliva sul Monte. Al ritorno, nel pomeriggio, sembrava un’altra; i suoi occhi scintillavano, le sue labbra erano rosse come i frutti del corbezzolo di cui talvolta ella portava il grembiale colmo.

Ma anche quando era così eccitata restava taciturna; pareva avesse paura di tradire involontariamente il suo segreto. La maestra, che credeva di essere una donna molto sperimentata, pensava ad una tardiva passione di Sebastiana per Predu Maria.

Egli a sua volta si meravigliava per le frequenti visite di sua moglie: un giorno mentre si trovavano soli ella gli si [p. 266 modifica] avvinghiò al collo e cominciò a baciarlo in modo insolito. Egli si accese, commosso per questa improvvisa espansione, e gliela ricambiò, e da quel giorno cominciò a parlar di lei con Bruno come ancora non ne aveva parlato.

— Ella indovina anche i miei desideri: che posso voler di più? Io non posso scendere in paese; allora essa viene quassù, come una innamorata....

Bruno taceva; ma un sentimento nuovo, la gelosia, cominciò ad alimentare la sua passione segreta. Egli evitava di trovarsi con Sebastiana anche in presenza di Predu Maria, e se non poteva evitarla traeva il suo taccuino e scriveva numeri e numeri, come se le cifre fossero segni adatti a scongiurare la malìa che lo opprimeva. Qualche volta, però, sentiva talmente gli occhi di lei fissarlo, che non poteva sottrarsi al loro fascino: e la guardava, allora, e il loro sguardo era così ardente e pieno di desiderio, che entrambi avevano come l’impressione di baciarsi perdutamente.

Un giorno Sebastiana volle andare con Predichedda a coglier frutta di corbezzolo e bacche di mirto in un podere della vedova Moro. Era di febbraio: un sole già caldo inondava la valle, i mandorli erano [p. 267 modifica] fioriti, e il canto delle donne che lavavano al torrente, fra le roccie e le macchie, si fondeva col rumore dell’acqua, in una stessa nota melanconica e monotona.

Le due amiche scesero sino alle falde estreme dell’Orthobene, verso Oliena, raccontandosi le loro piccole vicende; e Predichedda parlava male di suo zio, delle cugine e della nonna.

— Egli mi tratta come una bestia; ma che dico bestia? vedi, quelle capre che s’affacciano fra quelle pietre lassù, son più felici di me.

— E tu perchè non lo abbandoni?

— Che vuoi? Io ho pietà di lui. Egli è così irritato, così misero....

— Peggio per l’anima sua! Egli è un poltrone, un’anima indiavolata....

Ma Predichedda non voleva che si parlasse male di Antoni Maria, e cominciò a difenderlo, dimenticando quanto lei stessa aveva detto.

— Egli si è rovinato per gli altri, per gli amici.... Tuo marito ne sa qualche cosa....

— Mio marito? — disse Sebastiana, senza offendersi. — Ah sarebbe stato bene che tuo zio non lo avesse fatto venire a Nuoro!

— Perchè, ti sei pentita d’averlo [p. 268 modifica] sposato? Non puoi lamentarti: egli ha una buona posizione....

— La nostra posizione è precaria. Che avverrà di noi quando saremo vecchi?

— Predu Maria morrà prima di te, perchè è più vecchio, e tu riprenderai marito! Sposerai Bruno.... Ahi!

Sebastiana le stringeva il braccio sino a farle male e gridava:

— Sei pazza? Sei pazza?

Predichedda la guardò e disse col suo accento affettato:

— Come sei rossa, Sebastià! Si direbbe quasi che io abbia indovinato il tuo pensiero....

E si mise a correre attraverso la brughiera, inseguita da Sebastiana che le lanciava addosso sassolini e manate di mirtillo. Finalmente entrambe si fermarono, lontane l’una dall’altra, e cominciarono a raccogliere coccole e bacche.

Alcuni arbusti di corbezzolo eran così carichi di frutti che parevan coperti da drappi rossi: e anche sui ramoscelli del mirto le coccole d’un nero violaceo erano più numerose che le foglie. Un odore aromatico profumava l’aria, e il paesaggio vergine, ricco di frutta selvatiche, circondato da un orizzonte limpido e luminoso, pareva un luogo ove l’uomo con le sue [p. 269 modifica] finzioni e le sue menzogne non fosse ancora passato.

Fatta un’abbondante raccolta, le due amiche sedettero al sole, sulle pietre tiepide in faccia ai monti d’Oliena azzurri e bianchi come montagne di marmo, e Sebastiana sentiva un prepotente bisogno di svelare il suo segreto, poichè le pareva che il luogo la invitasse a dire la verità, una volta tanto, come non l’aveva mai detta.

— Costantina, perchè hai parlato così? — domandò turbata, facendo scorrere da una mano all’altra alcune bacche rosse. — Non parlare così in presenza di altri, sai: meglio buttarmi giù la casa. Non ricordi che cosa mi fece Marielène, per dei semplici sospetti? Non rovinarmi una seconda volta, sorella mia; io ho paura di Marielène e di mia madre come ho paura del fuoco....

Predichedda ascoltava, coi piccoli occhi intenti, lucidi e fissi come quelli di un uccello selvatico.

— Tu vaneggi, cuoricino mio, — disse con la sua voce lenta e sarcastica. — Sono forse una tua nemica mortale per andare a contare agli altri i fatti tuoi?

— I fatti miei? Che cosa pensi? Che cosa ti immagini? Io non ho segreti.... [p. 270 modifica] non potrei averne.... Mia madre mi spia come un guardiano di carcere e vede anche i miei pensieri....

— Se li vedesse tutti non sarebbe così tranquilla! — disse Predichedda buttandole addosso qualche bacca di mortella e sorridendo in modo equivoco. Sebastiana curvò la testa e disse:

— Ti giuro, non ho mai commesso una colpa. Mia madre mi rovinò perchè vide nella mia cassa i regali del vecchio avoltoio. Come io era sciocca davvero, in quel tempo! Avrei potuto divertirmi, innamorarmi, cercarmi un bel marito: invece pensavo.... Basta, ho scontato il mio errore, te lo assicuro!

— Tuo marito è un uomo buono, che ti vuol bene: che vuoi di più?

— Ed io non lo odio, no, ma che vuoi, quando lo vedo non mi esalto, non sento il sangue corrermi tutto al cuore, non sento il piacere che provo.... quando....

Ella s’era fatta rossa come i frutti del corbezzolo, e Predichedda finì la sua frase:

— Quando stai vicino.... all’altro!

— Ah, zitta! Zitta o t’affogo! — gridò Sebastiana; e la sua voce risuonò nel luogo deserto come un grido di allodola. Ma subito riprese sottovoce: — ebbene, che male c’è? È colpa mia? Io gli volevo [p. 271 modifica] bene; ricordati, te lo dissi: la sera che arrivò, l’ultima volta, egli mi abbracciò, ed io l’indomani mattina lo aspettai, scendendo alla fonte.... Egli venne, e mi guardava.... ma pensava ai denari di Marielène! Gielo dissi, sai: e lui quasi svenne, per l’affronto che gli feci; ti giuro, sì, quasi moriva....

— Per così poco? Bada a te, cuoricino mio. I continentali sanno fingere....

— Egli non sa fingere....

— E perchè hai sposato Predu Maria?

— Se non era lui era un altro! Ricordati; mia madre mi teneva sotto chiave: Bruno s’era fidanzato. Io cantavo come l’uccello in gabbia, ma mi consumavo di umiliazione e di noia. Una sera osai dire a mia madre che sarei fuggita col vecchio; ella mi schiaffeggiò, mi buttò per terra, andò a dire al vecchio che era pronta la querela per lui.... Io avevo sedici anni, Costantina mia, ora ne ho diciotto.... Sì, ne ho diciotto: ma mi pare di averne cento....

— Io ne ho venti, Sebastià! E non mi dispero come tu ti disperi....

— Tu sei libera! Sei libera! — ripetè due volte Sebastiana, col suo grido di allodola. — Tu non hai marito, non hai padre, nè madre, nè fratelli.... [p. 272 modifica]

— Ma ho uno zio, cuoricino mio, fior di roba!

— Eppoi.... eppoi.... tu non sei nata con la tua mala sorte sulle spalle....

— O sul viso, Sebastià! Tua madre ti ha fatto troppo bella.

Sebastiana si passò le mani sul viso, quasi graffiandosi.

— No! Ci sono altre donne belle, che non sono maledette come lo sono io!

— Sai cosa sei, Sebastiana? Sei una donna paurosa. Io, vedi, io....

— Tu, che faresti? Continua....

— Io mi divertirei! Non hai figli; ti hanno dato marito per dispetto: ebbene io scapperei con mossiù Perrò!

Sebastiana che si aspettava ben altro consiglio, si mise a ridere.

— Adesso? Mi fa orrore, adesso. Lui magari vorrebbe; ma io non sono da vendere. S’impicchi con le sue collane!

Ella rideva; ma ben presto si rifece seria, quasi cupa, e un ardore fosco, di passione insoddisfatta, di desideri irraggiungibili, le brillò negli occhi. Cominciò a torcersi le mani e ripetè, ma come rivolgendo a sè stessa la domanda:

— Che fare? Che fare?

Predichedda, pronta alla pietà, si commosse; cessò di masticare e di lanciare di [p. 273 modifica] qua e di là le coccole del mirto, e domandò:

— Ma lui, che dice?

— Lui? Niente; neanche mi guarda. È un uomo onesto.

— O forse ha paura di tuo marito.... e sopratutto di sua moglie....

— E forse anche. Ed ha ragione: ci ammazzerebbero entrambi.

— Il cantastorie potrebbe fare allora una poesia! — disse Predichedda, balzando in piedi. — Sì, davvero, è una cosa curiosa. Senti, ma perchè gli vuoi bene? È un forestiere e non è bello: perchè ti sei innamorata di lui? È peccato, è vergogna.

— E chi lo sa? Siamo noi padroni del nostro cuore? Tu, perchè vuoi bene a tuo zio? Non è bello ed è cattivo. È peccato, è vergogna voler bene a quella gente!

— È un’altra cosa. Mio zio è così disgraziato; e se non gli voglio bene io, chi gli vuol bene? Io voglio bene a tutti quelli che soffrono, cuoricino mio; vedi, anche di te adesso ho compassione. Vorrei aiutarti; vorrei vederti felice! Se io vedrò Bruno gli dirò: stupido, perchè non la guardi?...

— Ah, taci! Hai giurato di non dir nulla! [p. 274 modifica]

Ripresero la via del ritorno, col loro carico fragrante, e Sebastiana raccontava i suoi incontri con Bruno, e l’altra taceva, meditando il modo di render felici quei due.

— Sebastiana, sentimi: la tua è una malattia di cui tu devi guarire. Cerca di spassarti; dà retta a me.

Ma Sebastiana scuoteva la testa: occorreva ben altra cura alla sua malattia!

— Posdomani è domenica di carnevale, — proseguì Predichedda. — Dà retta a me, mascheriamoci, andiamo a ballare.

— Mia madre non vuole....

— Ah, ah, non vuole? Ella ti conosce! Ma senti, verrò io a prenderti: le diremo che andiamo in chiesa.

— Saremo sole?

— Sì, zio Antonio Maria va via domani e torna lunedì. Ci vestiremo in casa sua.... Ci divertiremo, butteremo castagne secche invece di confetti....

Ma Sebastiana pensava a ben altri divertimenti.... Risalirono lentamente lo stradale, costeggiando la valle che si riempiva d’ombre mentre lo splendore del tramonto arrossava ancora con un chiarore di fuoco le cime dell’Orthobene. Sopra il ponte, nonostante l’ora tarda, alcune donne lavavano ancora, e una cantava [p. 275 modifica] una canzone arcaica piena d’amore sentimentale:

Sas aes chi olades in s’aera,
M’azzes a zucher un’imbassiada,
Sa risposta chin lettera serrada,
M’azzes a dare chin mezzus manera,
Sas aes chi olades in s’aera!1

Sebastiana ripeteva fra sè quei versi e sospirava; ma, non sapeva perchè, si sentiva felice. I suoi terrori, le sue inquietudini, i suoi scrupoli cadevano, e un’ombra molle e vaporosa come quella che invadeva la valle e a poco a poco le montagne e tutto il vasto paesaggio, le inondava l’anima. E come dalla terra saliva, attraverso il velo del crepuscolo, l’odore della primavera, dei germogli ancora chiusi, dei fiori ancora nascosti, un desiderio di vita e un istinto di ribellione e di forza salivano dalla profondità del suo essere.

Quando arrivarono al punto ove una mattina aveva aspettato Bruno, ella ricominciò a ridere. Ah, egli le era sfuggito, quella mattina; ma adesso non le sfuggirebbe più!

  1. Uccelli che volate per l’aria, — mi recherete un’ambasciata, — la risposta, in lettera chiusa, — mi porterete con buona maniera, — uccelli che volate per l’aria.