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una canzone arcaica piena d’amore sentimentale:

Sas aes chi olades in s’aera,
M’azzes a zucher un’imbassiada,
Sa risposta chin lettera serrada,
M’azzes a dare chin mezzus manera,
Sas aes chi olades in s’aera!1

Sebastiana ripeteva fra sè quei versi e sospirava; ma, non sapeva perchè, si sentiva felice. I suoi terrori, le sue inquietudini, i suoi scrupoli cadevano, e un’ombra molle e vaporosa come quella che invadeva la valle e a poco a poco le montagne e tutto il vasto paesaggio, le inondava l’anima. E come dalla terra saliva, attraverso il velo del crepuscolo, l’odore della primavera, dei germogli ancora chiusi, dei fiori ancora nascosti, un desiderio di vita e un istinto di ribellione e di forza salivano dalla profondità del suo essere.

Quando arrivarono al punto ove una mattina aveva aspettato Bruno, ella ricominciò a ridere. Ah, egli le era sfuggito, quella mattina; ma adesso non le sfuggirebbe più!

  1. Uccelli che volate per l’aria, — mi recherete un’ambasciata, — la risposta, in lettera chiusa, — mi porterete con buona maniera, — uccelli che volate per l’aria.