Il nostro padrone/Parte prima/XVI
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XVI.
Nei giorni seguenti Predu Maria riprese la sua vita solita; ma per quanto sfuggisse la compagnia degli altri lavoratori, e la sera cercasse qualche nascondiglio per coricarsi, non poteva far a meno di accorgersi di qualche sguardo ironico, e di sentire le vecchie raschiatrici commentare l’avventura di Sebastiana.
Quando entrava nella dispensa Lorenzo lo complimentava, o cercava d’impaurirlo dicendogli che la maestra Saju lo aveva querelato per corruzione di minorenne: tutti conoscevano l’avventura, e la collegavano allo scandalo della fuga di Marielène dalla casa del padrone. Nella foresta non si parlava d’altro.
Egli sentiva un’avversione sempre più cupa contro Bruno che lo aveva tradito, contro Lorenzo che lo sbeffeggiava, e sopratutto contro Antonio Maria che pretendeva di dominarlo. Al diavolo tutti! A Marielène poi si sforzava di non pensarci neppure, poichè gli sembrava che ella fosse diventata davvero una masche ra, una di quelle maschere che si vedono durante gli ultimi giorni di carnevale, vestite di rosso, ubbriache e sghignazzanti.
E nel suo rancore egli si sforzava di odiare anche Sebastiana, ma non gli riusciva; se la immaginava infelice al pari di lui, e pensava che con una madre strega come la maestra Saju qualunque ragazza avrebbe fatto delle sciocchezze. Una mattina Lorenzo, mentre gli dava le provviste, disse sottovoce:
— Dunque l’hai imbroccata, eh? Hai vinto il premio; Sebastiana, dicono, è gravida.
Predu Maria sbattè il pane per terra.
— Oh, lasciatemi in pace! È tempo!
— Io non capisco perchè tu ti arrabbi. Raccogli il pane, su! Al tuo posto io ballerei dalla gioia. Padre, pensa, padre! Ma già Dio sa quanti figli hai tu sparsi per la faccia della terra!
— Io non sono della tua razza per aver fatto questo.
— E di che razza sei, allora, mendicante?
Predu Maria raccolse il pane, e stava per uscire senza rispondere, quando Lorenzo gli disse:
— Il fieno è secco, Predu Maria Dejà!
Egli si volse esasperato, depose il fagotto per terra e disse:
— Ebbene, perdio, sì! Vi abbrucio tutti, dal primo all’ultimo; ma sentimi, orbo, ora te lo dico. Voi tutti credete che io sia un miserabile: ma voi lo siete mille volte più di me. Io ho ucciso, è vero; ma tu rubi, tu succhi il sangue dei poveri; io darò fuoco alla tanca, ma il tuo signor capo‐macchia, diglielo pure a nome mio, si è venduto come Giuda, — sostengo, come Giuda, — per pochi denari. Egli vende l’onore, perchè non ha altro: se avesse il padre e la madre li venderebbe egualmente! Lo neghi, forse? Quanto gli ha dato, il padrone?
— A lui? Niente, — disse Lorenzo. — A lei ha pagato gli anni di servizio, come cuoca e come governante. Tu puoi fare il conto meglio di me!
Predu Maria sputò fuor della capanna in segno di disprezzo; poi riprese il fagotto e se ne andò.
La sera stessa Lorenzo lo chiamò sotto la tettoia, dove c’era già Bruno che fumava e rimescolava le carte, pallido in viso, ma calmo e impenetrabile. Sul tavolo stava, fermato da una bottiglia, un biglietto da cinquecento lire, i cui lembi si sollevavano al vento.
Predu Maria capì subito che quello era il prezzo che gli offrivano per l’incendio, ed ebbe una strana impressione; gli parve che quel pezzo di carta fosse vivo e gli facesse dei cenni misteriosi.
— La posta è grossa, stasera! — disse per fingersi disinvolto.
— Neppure così tu giochi?
— Neppure così!
— Siediti almeno e guarda: — disse Lorenzo accostandogli la bottiglia. — Abbiamo trovato questo biglietto davanti alla tua capanna, ed ora ce lo giochiamo.
— L’ho perduto io!... — egli disse con ironia.
Sedette, appoggiò i gomiti al tavolo e cominciò ad accarezzare la bottiglia, ma senza versarsi da bere. Terminata la partita, Lorenzo prese il biglietto e lo agitò come una piccola bandiera.
— Predu Maria Dejà, lascia la bottiglia! Non è Sebastiana! Guarda; è questo il biglietto che tu oggi hai smarrito? Ah, ipocrita! Tu sei ricco e piangi miseria; ma per castigarti, non te lo restituisco se non fra otto giorni. Guarda! Bruno lo terrà in deposito.
Predu Maria disse a voce alta:
— Di lui non mi fido!
— Se ieri ancora ti fidavi!
— Ieri sì, oggi no!
Bruno sollevò il viso e si tolse la pipa di bocca: le labbra gli tremavano di rabbia, ma seppe dominarsi.
— E di chi ti fidi, allora? — domandò.
— Di nessuno. Datemi la metà di quel pezzo di carta, e l’altra metà me la darete fra otto giorni.
Lorenzo allora piegò il biglietto, lo riaprì, lo strappò in due pezzi, e gliene diede la metà. Predu Maria si alzò, pallidissimo in viso, e sbattè la bottiglia sul tavolo; il rumore del vetro rotto risuonò tra il mormorio degli alberi, e il vino si sparse sul tavolo come una macchia di sangue.
I due giocatori non pronunziarono più parola, ed egli credette di accorgersi che avevano paura di lui, e uscì, e come spinto da una forza malefica andò a coricarsi sotto il bosco della tanca Moro. La notte era oscura ma piena di fremiti: egli credeva di sentir passi, e voci che bisbigliavano, uccelli che scuotevan le ali, cinghiali che correvano tra le foglie secche Stando coricato raccolse con la mano sinistra un mucchietto di foglie secche e trasse la scatola dei fiammiferi, ne accese uno, ma subito lo spense e lo tenne in mano. Gli era parso di veder la figura di Antonio Maria in agguato tra il verde grigiastro di un cespuglio. Gli alberi mormoravano, ed egli si domandava se anch’essi hanno uno spirito. Parlano, s’intendono fra loro? Talvolta pare che un albero si curvi su un altro per confidargli un segreto; spesso un cespuglio si sporge da un crepaccio e si protende come per spiare ciò che fa l’uomo sdraiato sotto la roccia. Qualche volta, anche se il vento tace, anche se il bosco è immobile, un tremore arcano agita il cuore di un elce e si propaga e corre per un tratto del bosco; le foglie non tremano, eppure gli alberi sussurrano; pare una preghiera, un coro, una voce misteriosa, e spesso anche una protesta o una maldicenza sussurrata da una fila d’alberi contro i compagni che a loro volta tacciono e pare che ascoltino.
Nei giorni di vento sorge una battaglia furiosa d’alberi contro alberi; e le fronde diventano sferze e a sera quando il vento finalmente si placa il suolo è sparso di foglie, pallide e ferite come piccoli cadaveri.
Predu Maria conosceva tutte le voci, gli avvertimenti, le insidie della natura. Da bambino aveva passato notti e notti in campagna: e ancora, come in quel tampo, la solitudine era per lui piena di fantasmi. Egli aveva paura, non degli uomini, ma delle forze occulte della natura e dei mezzi arcani di cui può disporre la Divinità offesa per castigare i peccati degli uomini. Quella sera infatti egli ricordava la storia di un pastore che aveva rubato i candelabri d’argento d’una chiesa ed era andato a sotterrarli ai piedi d’una quercia. E la quercia s’era improvvisamente sradicata piombando sul pastore e uccidendolo.
Sopraggiunse il gran caldo di luglio. Le fronde cadevano appassite dagli alberi scorzati, e dalle montagne lontane saliva il fumo di boscaglie e brughiere incendiate.
I lavoranti erano già arrivati fin sotto la tanca Moro, la cui muraglia di roccie pareva s’opponesse all’invasione dei distruttori. L’ultima domenica di luglio Predu Maria scese a Nuoro e andò alla messa cantata, ma non l’ascoltò con la solita devozione. Inquieto, oppresso dal caldo e dai suoi torbidi pensieri, ogni tanto si voltava per guardare le donne inginocchiate per terra. Coi loro costumi rossi e le bende gialle e bianche esse davano l’idea d’un campo di fiori; ma egli non si rallegrava guardandole, e l’assenza di Sebastiana aumentava la sua inquietudine. Uscito di chiesa si avviò alla casa di Antonio Maria e come sperava incontrò Predichedda col cestino sul capo.
— Come va? — le domandò. — E Antonio Maria?
— È partito pochi momenti or sono per Cala Gonone: deve fare i bagni di mare.
— Ah, ah, si diverte? Quando ritorna salutalo a nome mio, perchè anch’io sarò lontano allora.
— Come, lei parte? — ella disse meravigliata. — Se tutti dicono che deve sposarsi con Sebastiana?
— Io ho già un’altra fidanzata....
— Un’altra? Ma come si chiama?
— Miseria!
Ella rise tanto che dovette tenersi fermo il cestino sul capo; a un tratto però il suo piccolo viso ridiventò serio e quasi tragico.
— Senta, signor Predu Maria, la maestra Saju tiene Sebastiana chiusa in casa come un uccellino in gabbia. Io stessa son costretta a parlarle attraverso una inferriata e se questo pasticcio continua ci sarà qualcuno che andrà in questura a denunziare il fatto.
— Tu, forse?
— Io sì, — ella disse con accento di sfida, — non ho paura del delegato, io! Non si tratta così una ragazza, una cristiana, anche se ha commesso qualche leggerezza.
— La bastona, anche?
— Oh, certo, carezze non gliene fa.
— E lei, che dice?
— Chi? Sebastiana? Dice che si sposerebbe anche col diavolo, pur di esser lasciata in pace.
— Senti, — egli disse pensieroso. — Io fra giorni me ne andrò. Me ne andrò così lontano che non sentirete più a parlare di me. Ma prima vorrei far qualche cosa per Sebastiana. Consigliami tu.
— Ebbene, vada da quell’indiavolata donna, e le imponga di lasciar tranquilla la figliuola. Minacci di andare dal delegato.
Ma Predu Maria non sentiva alcuna simpatia per il delegato. Scosse la testa e disse:
— No, no, io non posso andare in casa della maestra, perchè la gente, vedendomi entrare, mormorerebbe. Fammela venir qui; l’aspetterò nel cortiletto.
Egli andò a sedersi all’ombra del portico e attese a lungo. Finalmente la maestra apparve, alta e nera nel sole, col viso umido di sudore, ma composto a una solenne severità, ed egli ricordò gli spauracchi estivi di cui, bambino, lo minacciavano perchè non andasse al sole: Maria Menàcra, Maria Pettène, le gigantesse armate di falci e di tridenti.
La maestra si sedette accanto a lui sul muricciuolo del portico, ed egli, confuso, non trovò parole per cominciare il suo discorso. Curvo, con le mani fra le ginocchia, fissava il suolo, e pareva un colpevole in attesa d’esser rimproverato, mentre la donna lo fissava con uno sguardo quasi truce.
— E dunque, che cosa pensiamo? — ella domandò a voce alta. — Predichedda disse che mi aspettavi.
— Vi aspettavo, sì! Son qui da due ore, — egli rispose sottovoce. — Volevo pregarvi di lasciar in pace Sebastiana. So che la maltrattate; so che la gente mormora. Io fra giorni me ne andrò.... lontano....
— Te ne andrai? Volevi dirmi questo? Hai fatto bene, sì! Caro Predu Maria, — ella disse, con quell’accento solenne che le aveva procurato il nomignolo di maestra — ascoltami; io finora non ti ho fatto del male, perchè ho in petto un cuore di donna e di madre: ma se tu non cambi pensiero, se tu fai come quei soldati che preferiscono disertare piuttosto che servire la legge, io, mio caro, cambierò pensiero per conto mio. Hai veduto come perdo la testa quando vado in collera? Ciò accade una o due volte nel giro di molti anni, ma quando accade.... addio! Non ci vedo più; non penso più; faccio come Gesù nel Tempio: prendo una frusta e flagello....
— Ma, santa donna, — egli disse con dolcezza, — voi avete detto che prendevate informazioni. Le avete prese?
— Appunto perchè le ho prese ho avuto compassione di te. Ho pensato: non bisogna rimetterlo in mano della giustizia.
— Ma ve le han date bene? — egli insistè, diventando ironico. — Vi han detto che gentiluomo ricco e nobile io sono? Adesso vi dirò.... Non avete vergogna di dar vostra figlia ad un uomo come me? Voi, mi sembra, volete maritarla per forza. Mi dicono che avete quattrini. Perchè non le cercate un altro marito?
— Non dire scempiaggini! Sebastiana è povera. Se avessi avuto quattrini non l’avrei esposta a tutti i pericoli del mondo, lasciandola servire presso una donna come Marielène. Siamo povere, sì, ed è per questo che tu vuoi burlarti di noi. Se davvero avessimo avuto quattrini, tu non ti saresti fatto pregare.... E adesso mia figlia è rovinata, rovinata per sempre!
— Mossiù Perrò l’aiuterà! — egli disse con malizia, ma la maestra lo fissò negli occhi, dominando il suo turbamento.
— Che vuoi dire con questo? Non ti salti in mente di calunniarla, anche, perchè allora m’arrabbio davvero, sai! Il Perrò, certo, aiuterà Sebastiana, ma non come tu credi!
— Io non credo niente! Però....
Egli si raddrizzò e battè la mano sul ginocchio.
— Però, — disse con rabbia — se io sposassi vostra figlia la prima condizione sarebbe di dar tanti calci al «padrone» se egli cercasse di avvicinarsi a noi.
— Benissimo! — gridò la maestra soddisfatta.
Egli tornò a ripiegarsi, come vinto.
— Santa donna.... pensateci bene! Non rovinate vostra figlia, dandola ad un uomo buono a nulla come son io! Cercatene un altro, vi ripeto!
— Tu mi hai fatto venire per burlarti di me? Questo è un po’ troppo! Senti, basta con le chiacchiere: fa troppo caldo, e ad arrabbiarsi fa male. Anch’io ti dico: pensaci bene; se fra otto giorni non mi dài una risposta, saprò io il da farsi.
— Fra otto giorni? Ebbene, sia: fra otto giorni vi darò una risposta.
Allora la maestra gli disse:
— Per le informazioni ho scritto al sindaco del tuo paese, e sono rimasta contenta. La disgrazia che accadde a te poteva accadere a chiunque. Tu hai un ottimo cuore, sei onesto, non sei un libertino, non sei un ladro; sei giovane, e puoi con la tua intelligenza procurarti una posizione migliore....
— Sì, — egli interruppe con amaro sarcasmo, — potrò comprare una tanca: il camposanto!
— Quella tanca appartiene a tutti, Predu Maria Dejà! Lasciamo le tanche a chi le ha, e noi contentiamoci di poco. Abbiamo la casa, abbiamo braccia per lavorare; poveri, ma onesti....
Ella parlava come se il matrimonio fosse già concluso, mentre un sorriso di scherno contraeva il viso di Predu Maria. Egli rimase nel cortiletto finchè tornò Predichedda e le disse che aveva perorato la causa di Sebastiana ma inutilmente.
— La maestra vuole che io sposi sua figlia per forza. Senti, dev’essere ben disperata, o sotto c’è qualche magagna. Ma io non sono stupido: disgraziato sì, imbecille no. Sai cosa faccio? Scappo. In tutti i casi tu potrai testimoniare per me....
Predichedda gli rise in faccia; non perchè avesse difficoltà a «testimoniare», ella che non aveva paura del delegato e tanto meno del pretore e del giudice, ma perchè Predu Maria dichiarava di non essere un imbecille e intanto rifiutava, lui miserabile scorzino, di sposare una ragazza come Sebastiana.
— Vuole da mangiare? C’è ancora qualche cosa, venga.... Da bere, almeno?
Egli aveva fame e sete, ma rifiutò: col pensiero torbido che aveva in mente gli sembrava un’infamia entrare nella casa di Antonio Maria e bere il suo vino e mangiare il suo pane.