LXXII. Della città grande di Camblay (Cambaluc)

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LXXII. Della città grande di Camblay (Cambaluc)
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LXXII (LXXXV)

Della cittá grande di Camblay (Cambaluc).

Dacchè v’ho contati de’ palagi, si vi conterò della grande citta di Camblau (Cambaluc) ove sono questi palagi, e perchè fu fatta, e com’egli è vero che1 appresso a questa cittá n’avea un’altra grande e bella, e avea nome Garibalu, che vale a dire in nostra lingua «la cittá del signore». E il Gran Cane trovando per astrolomia che questa cittá si dovea rubellare, e dare gran briga allo imperio, e però il Gran Cane fece fare questa cittá presso a quella, che non v’è in mezzo se non un fiume; e fece cavare la gente di quella cittá e mettere in quell’altra, la quale è chiamata Camblau (Taidu). Questa cittá è grande in giro da ventiquattro miglia, cioè sei miglia per ogni canto; ed è tutta quadra, che non è piú dall’uno lato che dall’altro. Questa cittá è murata di terra, e sono grosse le mura dieci passi e alte venti; ma non sono cosí grosse di sopra come di sotto, anzi vegnono di sopra assottigliando tanto, che vengono grosse di sopra tre passi. E sono tutte merlate e bianche; e quivi ha2 dieci porte, e in su ciascuna porta hae un gran palagio, sí che in ciascuno quadro hae tre porte e cinque palagi. Ancora in ciascuno quadro di questo muro hae un grande palagio, ove istanno gli uomeni [p. 96 modifica]che guardano la terra. E sappiate che le rughe della cittá sono sí ritte, che l’una porta vede l’altra: e di tutte quante incontra cosí. Nella terra ha molti palagi; e nel mezzo n’hae uno, ov’è suso una campana molto grande, che suona la sera tre volte, che niuno non puote poi andare per la terra sanza grande bisogno, o di femmina che partorisse o per alcuno infermo3. Sappiate che ciascuna porta guarda mille uomeni; e non crediate che vi si guardi per paura d’altra gente, ma fassi per riverenza del signore che lá entro dimora e perchè gli ladroni non facciano male per la terra. Ora v’ho contato di sopra della cittá: or vi voglio contare com’egli tiene corte e ragione, e di suoi gran fatti, cioè del signore.

Or sappiate che ’l Gran Cane si fa guardare da dodicimila uomeni a cavallo, e chiamansi questi «tan» (chescican), cioè a dire4 «cavalieri fedeli del signore»; e questo non fae per paura. E tra questi dodicimila cavalieri hae quattro capitani, sí che ciascuno n’hae tremila sotto di sè, de’ quali ne stanno sempre nel palagio l’una capitaneria, che sono tremila; e guardano tre dí e tre notti, e mangianvi e dormonvi. Di capo degli tre di questi se ne vanno, e gli altri vi vengono; e cosí fanno tutto l’anno. E quando il Gran Cane5 vuol fare una grande corte, le tavole istanno in questo modo. La tavola del Gran Cane è alta piú che l’altre, e siede verso tramontana, e volge il volto verso mezzodie. La sua prima moglie siede6 lungo lui dal lato manco; e dal lato ritto, piú basso un poco, seggono gli figliuoli e gli nipoti e suoi parenti che sieno dello imperiale lignaggio, si che il loro capo viene agli piedi del signore. Poscia seggono gli altri baroni piú a basso, e cosí va delle femmine: che le figliuole del Gran Cane signore e le nipote e le parenti seggono piú basso dalla sinistra parte; e ancora piú basso di loro [p. 97 modifica] le moglie di tutti gli altri baroni; e ciascuno sae il suo luogo ov’egli dee sedere per l’ordinamento del Gran Cane. Le tavole sono poste per cotal modo che ’l Gran Cane puote vedere ogni uomo, e questi sono grandissima quantitade. E di fuori di questa sala ne mangia piú di quarantamila; perchè vi vengono molti uomeni con molti presenti, gli quali vi vengono di strane contrade con istrani presenti. E di tali ve n’hae c’hanno signoria7 e questa cotal gente viene in questo cotal die, che ’l signore fae nozze e tiene corte e tavola. E8 un grandissimo vaso d’oro fine, che tiene come una gran botte, pieno di buon vino, istá nella sala, e da ogni lato di questo vaso ne sono due piccoli; di quel grande si cava di quel vino, e degli due piccoli, beveraggi. Havvi9 vaselli vernicati d’oro, che tiene l’uno tanto vino che n’avrebbono assai piú d’otto uomeni, e hanne per le tavole tra due uno. E anche ha ciascuno una coppa d’oro con manico, con che beono10; e tutto questo fornimento è di gran valuta. E sappiate che ’l Gran Signore hae tanti vasellamenti d’oro e d’ariento, che non potresti credere se nol vedessi. E sappiate che quegli che fanno la credenza al Gran Cane signore sono grandi baroni. E tengono fasciata la bocca e il naso con begli drappi di seta, acciochè lo loro fiato non andasse nelle vivande del signore. E quando il Gran Cane dee bere, tutti gli stormenti suonano, che ve n’ha grande quantitá; e questo fanno quando hae in mano la coppa: e allotta ogni uomo s’inginocchia, e baroni e tutta gente, e fanno segno di grande umilitade: e cosí si fa tuttavia che dee bere. Di vivande non vi dico, perciochè ogni uomo dee credere ch’egli n’hae grande abondanza; nè non v’ha niuno barone nè cavaliere, che non vi meni sua moglie perchè mangi coll’altre donne. Quando il gran signore ha mangiato, e le tavole sono [p. 98 modifica]levate,11 molti giucolari vi fanno gran sollazzo di tragittare e d’altre cose; poscia se ne va ogni uomo al suo albergo.

  1. Pad.... fo per el tenpo passato una grande zita che avea nome Canbellù, la quale era... Lo Grande Caan trovò per i suo' astrologi che quella zita doveva eser contra l' imperio, sì che el Gran Caan la fexe desfar intorno de quel luogo, e fella metter altro', da l'altro lato de uno... fiume... e fexe vegnir tuta la zente ala tara nuova de Canbelù.
  2. Berl. dodexe.
  3. Pad. cavalieri e fedeli.
  4. Pad. tende (Fr. tent) soa tavola... per alcuna corte...
  5. Pad. * e quello che va per la tera covien ch’el porta lume.
  6. Pad. apresso de lui.
  7. Fr. * et encore en vuelent.
  8. Pad. una gran vezia... d’oro fin; e quella sta senpre piena de vino over de altre delicate bevande, e atorno a pè de quella vezia si è quatro (Fr. une... en chascun cant) altri menori vasieli.
  9. Pad. vaseli d’oro... tanto vino che oto omeni o diexe ne ano asai (Yule vessels wich are called verniques).
  10. Pad. * e in questo modo altrosí a le done che manzano alla corte.
  11. Ricc. ilora viene davanti del signor e da l’altra zente grande moltitudine de zugolatri (Berl. zubiari) e de tricadore (leggi tragittatori? Fr. tregiteor; v. nel testo «tragittare», e piú oltre nel Pad. «strazatori») de molte guise, e omeni che fano molti asperimenti; e tuti fano gran solazo davanti del signor... et ene grande allegreza e rísi in tuta la corte.