Il dottor Antonio/XII
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | XI | XIII | ► |
CAPITOLO XII.
Nel giardino.
— «Guardate che bel tappeto ha disteso per voi la Natura!» disse Antonio pochi giorni dopo, conducendo per mano miss Davenne in giardino. La notte era stata ventilata, e per terra eravi un denso strato argenteo di fiori di arancio e di limone; dal quale usciva forte spiccata una profusione di papaveri campestri di un rosso vivo. «Ne serberete uno per me, quando verrò a Davenne?»
— «Non così ricco e rilucente,» rispose Lucy; «pure,» continuò con un po’ di fierezza, «troverete a Davenne in ogni stagione quello che può sol produrre il mio paese — vero prato inglese, verde com’è sol esso, e soffice come velluto.»
— «Lo ammirerò moltissimo,» disse Antonio: «mi sento disposto sin d’ora ad ammirare ogni cosa inglese.»
— «Davvero?» fu la risposta fatta in tono alquanto lieto e trionfale. «Oh! allora venite presto in Inghilterra, e là vi farò da Cicerone.»
— «In questo caso non devo andarvi per molto tempo,» disse l’Italiano scherzando; «o avete dimenticato che voi dovete rimaner qui e fabbricarvi un casino non so più per chi?»
— «Vorrei fosse davvero, potrei passar qui volontieri tutta la mia vita;» disse semplicemente Lucy.
— «Potreste davvero?» esclamò Antonio con un tremito nella voce, mentre una colonna di sangue gli saliva al viso.
Ella lo guardò.
— «Ma voi non potete,» aggiunse con gravità, anzi con un po’ di sfiducia; «sapete bene che non potete. Che direbbe il mondo» proseguì con un infelice tentativo per ridere, «se la figlia di sir John Davenne avesse a disertar dal suo posto nel mondo, e seppellirsi in un oscuro villaggio d’Italia!»
Indi fece una lieve pausa, forse attendendo risposta; poi continuò: — «Il grado e le ricchezze sono catene d’oro, ma pur catene. Fu Seneca, non è vero? che disse, che una grande opulenza è una grande servitù.»
— «Temo di sì,» rispose Lucy con un sospiro che non avrebbe potuto contenere.
La coppia si mosse in silenzio. Era un piacere a vederli passeggiare adagio adagio — egli misurando i suoi passi su quelli di lei, e sostenendola con una cura gentile; ella appoggiandosi al braccio di lui, fiduciosa e compiacente. Ambidue giovani eleganti e graziosi — ambidue conformati a quello stampo di distinzione che caratterizza le nature elevate; eppure con tanta comunità di doti, quanta differenza di tipo! Lucy tutta soavità di auree tinte. Antonio tutta forza di scure ombre; — il di lei capo angelico chinato graziosamente in avanti, quasi in cerca di luogo ove posarsi; e il capo di lui con tanta risolutezza inquadrato sulle spalle; i di lei passi sì leggieri e fanciulleschi; quei di lui sì virili e fermi, quasi ad ogni mossa, a nome di qualche ignota potenza, egli prendesse possesso di ogni palmo del terreno sul quale passeggiava. Tanto contrasto e tanta armonia ad un tempo — forza e debolezza congiunte insieme! Ogni tratto caratteristico dell’una spiccandosi a maggior vantaggio e risalto di quel dell’altro — il fiero carbonchio riflettente luce sulla perla orientale, e la perla orientale ridondante di ricambio soavità al carbonchio.
Mentre ora il dottor Antonio e miss Davenne, non ostante i sospiri e le malinconiche riflessioni, godevansi insieme la prima passeggiata mattutina; essi arrecavano una pena reale ad un testimone impreveduto di quel loro tête a-tête. Battista, naturalmente stava tutti i giorni e tutto il giorno all’osteria, passando la maggior parte del tempo in giardino ove soleva fumar la sua pipa: cercando con delicati modi di tener dietro colla coda dell’occhio a miss Davenne, probabilmente a fine di accertar i suoi dubbii intorno a lei. Essendosi però lamentato sir John dell’ingrato odor di tabacco che infestava i suoi appartamenti, Battista aveva rinunziato alla pipa, ma non alle osservazioni continuate con molta perseveranza, confortandosi con masticare l’odorosa foglia. Lucy non essendosi avventurata mai prima d’ora fuor di casa, la presenza di lei in prossimità del sito d’onde la solea guardare Battista, giunse affatto inaspettata per l’amante di Speranza. Si affrettò pertanto confuso a portarsi lontano dalla signorina e dal suo compagno, quanto i limiti del picciol chiuso gli permettevano: sperava potersela svignare, appena essi si fossero rivoltati verso la casa. Ma invece di rivoltarsi, essi continuarono la passeggiata direttamente verso di lui; tagliandogli così la progettata ritirata per la porta del giardino, nè lasciandogli altra alternativa che di passar loro di fronte a fronte, il che non voleva fare; o di nascondersi ignobilmente come fece dietro il tronco di alcuni alberi. L’acuto sguardo del Dottore non tardò molto a scoprirlo.
— «Guardate al vostro divoto, guardate come sta appiattato dietro quegli alberi per evitare la vostra presenza. Vogliamo andargli sopra direttamente o stringerlo agli estremi?
— «No,» rispose Lucy pensierosa.
— «Siete stanca? amereste sedervi?» domandò Antonio.
— «No, grazie, non ancora; vorrei piuttosto passeggiare un po’ più a lungo;» e seguitarono a passeggiare, rimanendo Lucy tuttavia distratta.
— «Supponete,» diss’ella a un tratto, «che veniste a Londra e vi ci stabiliste.»
Antonio la guardò con vero stupore, poi le rispose: — «Bene, supposto ciò, che cosa ne verrebbe?»
— «Invero!» disse Lucy, «co’ vostri talenti e la vostra abilità di medico, e colla premura di papà, voi fareste presto una numerosa clientela e fareste fortuna.»
— «Non conveniste meco,» rispose Antonio sorridendo, «che la fortuna può essere un ribasso?»
— «È vero,» rispose Lucy piuttosto dimessa; «tuttavia par tanto naturale — n’è vero? — di provarsi a migliorar la propria condizione.»
— «Sta bene, ma il far fortuna migliorerà forse la mia condizione?» disse Antonio in ton di dubbio: «questa è la quistione. Poniamo per accordato che le difficoltà pratiche del progetto da voi raccomandato siano vinte; poniamo che la mia fortuna sia fatta. Io allora son ricco, ma a qual pro? E notate prima a qual costo; a costo di un completo esilio dal mio paese, cioè da tutte le mie inclinazioni ed abitudini, da molte cose che mi rallegrano l’occhio e il cuore, dalla lingua famigliare, dal mio caro e tepido sole, dall’azzurro mare e da questi boschetti di aranci che mi portano le profumate memorie della mia cara Sicilia. Tutte queste cose, forse lievi perdite per molti, sarebbero gravi per me; sopportabili, se la meta a raggiungersi fosse degna di tal sagrificio. A me manca affatto cotesta meta. Mia madre, grazie a Dio, è passabilmente provvista; gli altri miei parenti stanno bene abbastanza. Davvero non trovo quale aumento di comodi potrebbe arrecarmi una fortuna.»
Antonio fece pausa; ma siccome Lucy stava zitta continuò:
— «Una bella abitazione? — Ma mi trovo alloggiato come un principe nella mia casuccia a Bordighera, più grande, davvero, di quel che mi abbisogni; la quale per il sito e la veduta che ci si gode, vince molti castelli aristocratici. Certo io non ho tappeti di velluto, nè doppie porte imbottite di panno verde. A che servirebbero cose siffatte in questo clima geniale, ove gl’inverni sono sì miti e sì corti, che credo di avere appena una volta acceso il fuoco? Una ricca tavola? — ma la mia è una tavola da epicureo; qui non occorre essere un capitalista; non occorrono stufe per avere il lusso della tavola a propria disposizione. Equipaggio e cavalli? — non ho forse il calessino e la mia piccola rozza? E poi non mi piace il cavalcare e guidare; e non mi sento mai tanto felice, come quando faccio a piedi una buona passeggiata, col soave profumo di questa sana brezza marina. Tutto considerato,» proseguì l’Italiano, come se il suo discorso avesse dovuto di già convincere la paziente ascoltatrice, «vedete che una fortuna non potrebbe aggiunger nulla a’ miei veri comodi.»
Quando fe’ posa, fu colpito dalla pallidezza che era succeduta al vivido rossore delle gote di Lucy. — «Voi siete stanchissima,» le disse; «rientriamo, rientriamo.»
L’istinto muliebre di Lucy era stato vivamente eccitato da quanto aveva detto Antonio, e da quanto aveva lasciato sotto silenzio. La indifferenza apparente con cui egli aveva accolto e trattato la di lei proposta; il non aver fatto alcuna allusione ad un argomento, del quale il far parola pareva naturalmente richiesto dal desiderio da lei pur ora espresso, di rimaner lì dov’era per tutta la vita; quella specie di affettazione con cui s’era fermato sulle sue ragioni di esser contento della sua sorte: — tutte queste cose riunite avevano prodotto in lei una impressione penosa. Lucy non aveva idea di quella ferma padronanza di sè, che fa un uomo capace di frenare immediatamente una involontaria emozione, e di camminar nel diritto sentiero del senso comune. Antonio, qualunque fosse la sua mira, aveva a bella posta riguardato l’idea da lei messa innanzi sotto un punto di vista esclusivamente materiale; e ciò difficilmente può esser sopportato dalle donne, le quali ne sono sempre offese, più o meno secondo le relazioni che hanno col parlatore. Un istinto ridestò l’altro, che la consigliò a celare la sua offesa suscettibilità; nè vide miglior modo per riuscirvi, se non di proseguire risolutamente innanzi nell’argomento.
— «Sia pure come voi dite,» riprese Lucy; «pure dovete ammettere che la vostra abilità e le vostre cognizioni in Londra sarebbero stimate meglio di qui; e ciò deve arrecare una soddisfazione. Suppongo che non siate insensibile alla fama?»
— «La fama!» ripetè Antonio sorridendo. «Che, avete dimenticato la definizione fattane da Dante? «Non è il romor mondan altro che un fiato — Di vento, ch’or va quindi ed or va quinci.»
— «Suona sì triste, e contro natura,» disse Lucy, «sentire un giovane a parlare quasi non gli restasse scintilla di ambizione.»
— «Chieggo perdono,» ritorse rapidamente il Dottore; «io ho un’ambizione, e grande davvero, quella di servir la mia patria, e di far quanto io possa per essa.»
«E quale probabilità di far maggior bene alla vostra patria, qui, nella vostra condizione, o stando in Londra?»
— «Pochissima certamente. Tuttavia se alcun movimento si facesse in Sicilia, o in qualunque parte della penisola, come presto o tardi deve succedere; notate quanto più prontamente e agevolmente potrei unirmici da qui, che non da Londra.»
— «Voi siete un devoto appassionato alla vostra patria,» disse Lucy.
— «E chi non lo è?» rispose Antonio.
— «Ma siete poi sicuro che la causa nella quale vi siete impegnato sia giusta?»
— «Ne son tanto sicuro quanto son sicuro che c’è un Dio nel cielo,» rispose Antonio in tono solenne. «E perchè me lo domandate?»
— «Dovete compatire — i miei pregiudizii, suppongo,» disse Lucy. «Ho sentito tante accuse fatte al carattere degli Italiani, non solo da papà, ma da molti altri miei concittadini; — ho sentito tante cose contro il partito liberale in Italia, specialmente quando stavamo a Roma, che....» Lucy esitò.
— «Che vi sentite piuttosto inclinata a crederli dalla parte del torto,» disse Antonio terminando la frase da lei incominciata. «Non me ne maraviglio, nè mi maraviglio dell’opinione che avete sentito esprimere da Inglesi sull’argomento. La simpatia del forte e del potente è rare volte per il debole e per l’oppresso. Vi ricordate quanto fossero ingegnosi gli amici di Giob, in provargli che era colpa sua se giaceva coperto di lebbra sul letamajo? Tale è la comune tendenza dell’egoismo degli uomini in faccia a chi soffre: affine di dispensarsi dalla compassione e dal soccorrerli. Che il nostro carattere nazionale possa dar luogo ad obbiezioni (e ditemi, vi prego, qual popolo non vi è esposto?), che spiriti faccendieri, anzi maligni ed egoisti, possano trovarsi nel partito nazionale — e dove non se ne trovano? — lo posso concedere. Lungi da me l’idea di mostrare la mia patria un modello di perfezione. Gli Italiani sono uomini come gli altri, colla lor parte di grandezza e di debolezza umana. Girate lo sguardo per il mondo, studiate la storia dell’umanità, e quale lezione ci imparerete? — lezione di perdono e di indulgenza scambievole. Ma,» proseguì con calore crescente: «credetemi, miss Davenne, quando io dico, e son pronto a proclamarlo altamente e a sigillarlo, se occorre, col sangue, che l’Italia è un nobile paese, molto oppresso e molto maltrattato; e che la sua causa è santa, quanto santa può essere per verità e per giustizia alcuna altra causa. Scusate se mi riscaldo,» proseguì Antonio tornando al suo usato modo tranquillo; «ma se conosceste la centesima parte della devozione e dei sacrifizii personali fatti per questa terra fatale; senza altra accoglienza dal mondo fuorchè indifferente scherno; provereste, ne son certo, simpatia per le mie opinioni.»
Una lagrima spuntò sugli occhi di Lucy, mentre rispose: — «Ma le vostre opinioni mi sono di già simpatiche. Però desidererei ardentemente esser da voi informata appieno delle cose della vostra patria.»
— «E il farò un giorno o l’altro, almeno quanto alla Sicilia,» disse Antonio; «ma adesso avete bisogno di un po’ di riposo. Ecco che viene il Maestro di disegno.»
Il Maestro di disegno, in compagnia di sir John, traversava di fatto frettoloso il giardino, discorrendo ad alta voce e accompagnando i suoi detti con gesti agitati. Se non fosse stato sir John, quell’ometto dalla grossa testa, malgrado il forte chiamare del dottor Antonio, sarebbe passato senza nemmeno accorgersi di miss Davenne e del suo cavaliere.
— «Che è mai avvenuto?» sclamò il Dottore.
— «Un fatto di sì rara impudenza, da vincere l’immaginazione!» gridò il Maestro di disegno, e gittando il suo cappello per terra infuriato. — «Cose incredibili, orrende, mostruose! Potreste credere che essendo l’organista venuto da Nizza a metter su l’organo, il Conte, dopo tutte le sue promesse, rifiuta ora riceverlo, e bassamente nega di aver promesso dargli una camera nel suo palazzo! Lo nega, signore, malgrado la minuta de’ nostri atti del 19 novembre 1839, di cui scrissi io stesso ogni parola contemporaneamente sul luogo: — con questa minuta, io dico, messagli in faccia; il vile! l’avaro! lo nega. Ne voglio far diecimila copie di questa minuta, come di quella della riunione di stamane, e a ciascuna copia voglio aggiungere a lettere rosse questi versi di Berchet,» e con immensa enfasi li recitò:
«Sì, voglio spargere e distribuire queste copie per tutta la Riviera; e far fischiare questo nobile conte per le piazze e per le vie; lo voglio marchiare, e trasmettere alla posterità da quell’impudente impostore ch’è.»
Fatta questa appassionata dichiarazione, l’irritato ometto si fermò per pigliar fiato, raccolse il cappello, e con una mutazione di aspetto e di gesti affatto drammatica, disse con galanteria a miss Davenne:
— «Confido nella ben nota bontà della signorina, che vorrà scusarmi dal darle oggi lezione. Non mi sento disposto a ciò; e ho alcune misure da prendere relativamente a questo spiacevole affare. La mia presenza è assolutamente necessaria in Bordighera.» — Poi rivolgendosi ad Antonio, aggiunse con modo solenne più che vicino al ridicolo:
— «Di una cosa potete star sicuro, amico mio: la Confraternita dei Rossi si tirerà fuori da questa difficoltà con onore, a costo anche di quanto posseggo al mondo.» Così dicendo, corse via dal giardino; e diede al suo cappello una incalcata sul capo così risoluta da cacciarselo fin sopra gli occhi.
— «Non sarebbe meglio che lo seguiste?» disse la gentile miss Lucy al dottor Antonio.» Se mai incontra il Conte mentre è così infuriato, temo ne possa nascere qualche disgrazia.»
— «Oh! non v’inquietate,» rispose Antonio sorridendo: «con tutta la furia e il suo ardore il nostro piccolo amico è una creatura molto pacifica: non farebbe male a una mosca volontariamente. Se incontrasse proprio adesso il Conte, probabilmente gli mostrerebbe il suo dispetto con un inchino particolarmente altero, o alla peggio con una scarica di versi innocui, recitati in petto al suo nemico pro tempore.»
— «Ma da che nasce tutta quella furia?» domandò Lucy. «Non ho potuto capire la cagione di tanta ira.»
— «Devo cominciare dal dirvi,» soggiunse Antonio, «che il Conte è priore (presidente), e il vostro Maestro di disegno sottopriore (vice-presidente) della Compagnia dei Rossi. Ma voi non sapete nulla di Rossi e di Bianchi; e siccome non avrete lezione, fate conto che ve ne dia una io sulle Confraternite.»
Prima che Lucy potesse rispondere, sir John disse: — «Sì, sì, fatelo, vi prego, dottor Antonio; e invece di metterci sulla loggia, facciamo venir qui delle sedie, e ascoltiamo la storia del Dottore sotto questi alberi di aranci.»
Quando tutti si furon seduti, Antonio cominciò:
— «Come vi ho detto già più di una volta, la chiesa parrocchiale, i suoi ornamenti, lo splendore delle cerimonie di chiesa e delle processioni, sono il grande affare, e propriamente l’unica occupazione pubblica, accessibile ai laici in questo paese. La chiesa parrocchiale, co’ suoi sagristani, coristi e ufficiali di ogni sorta, è tuttavia il solo campo all’attività di un ristretto numero di persone. Per rimediare a questo inconveniente, sono sorte sotto le ali della parrocchiale autorità, Confraternite di varii colori: l’occupazione delle quali consiste nel riunirsi in un locale di culto loro proprio, e pregare in comune e seppellire i loro morti; e ora sotto un pretesto, ora sotto un altro, far di sè mostra nelle processioni. Qui, come in ogni altro paese della Riviera, vi sono Confraternite dei Rossi, dei Bianchi e dei Neri, così chiamate dal colore delle cappe dei Confratelli. Ciascuna di esse Società, naturalmente non troppo amiche fra loro, ha un numeroso stato maggiore di dignitari o funzionari — un priore, un sottopriore, una prioressa, una sottoprioressa; un capitolo, o un corpo di consiglieri, coristi, crociferi, portastendardi, mazzieri, portalampioni, e così via dicendo: l’annua elezione de’ quali, specialmente del priore e sottopriore e del Capitolo, mette i fratelli in gran faccenda. Così, come vedete, ognuna di quelle società diviene un piccolo centro di grette ambizioni, rivalità, intrighi e pettegolezzi. Qual maraviglia, se nello stato di piena ignoranza, in cui la maggior parte son tenuti e che li rende incapaci di godimenti e di occupazioni intellettuali; — se, esclusi come sono da ogni partecipazione, fin dal maneggio degli affari parrocchiali o di ogni cosa relativa agli interessi locali, i quali in Inghilterra sono affidati alle Corporazioni; — quale maraviglia, dico io, se in mancanza di occupazioni necessarie all’uomo come l’aria che respira, questa buona gente si lasci andare a tali futili e puerili faccenduole?
— «Ah!» interruppe sir John in aria di persona intendente; «un assoluto governo può far molto di quel che voi desiderate, dottor Antonio. Mutate una cosa, e tutto il resto vi cadrà sulla testa. Alla fin fine non vorrete dire che i varii paesi non si eleggano i loro Consiglieri municipali, nel cui numero, credo, è poi scelto il Sindaco.
— «Eleggersi i loro Consiglieri municipali!» esclamò il dottor Antonio, «nemmeno per sogno. Un cane arrabbiato non ha maggior terrore dell’acqua, di quello che abbia il nostro Governo del principio elettivo. Le istituzioni municipali sono una lettera morta da noi — un corpo senz’anima, un mero scherno. Volete sapere chi elegge il Sindaco e i Consiglieri municipali? Il Sindaco precedente (che è necessariamente una creatura del Governo, altrimenti non sarebbe mai stato Sindaco), il Curato e l’Uffiziale dei Carabinieri. Questi tre fanno una lista, che si presenta al Comandante per l’approvazione e la revisione. Il Comandante, rivistala debitamente e approvatala, la spedisce all’Intendente (il primo magistrato civile della provincia), che alla sua volta la manda a Torino, ove riceve la conferma ufficiale. Quanto alla vostra osservazione,» continuò Antonio rivolgendosi a sir John, «che quello di cui mi lamento è conseguenza inevitabile di un Governo assoluto; posso domandarvi, perchè mai quella particolar forma di governo, che evidentemente cammina male, abbia a trovar difensori e sostenitori fra coloro che non ci si vorrebbero sottomettere nella lor patria?»
Sir John contrasse in modo significante le labbra, ma tacque.
— «Vengo ora al nodo dell’affare,» disse Antonio senza, mostrare di accorgersi dell’annuvolarsi della fronte del Baronetto. «Il Capitolo dei Rossi, presieduto, al solito, dal Conte, votò qualche tempo addietro una somma per la compera di un organo per la loro chiesetta o oratorio, come lo chiamano: — il danaro non manca mai per questi oggetti. Poco dopo, quando l’organo era quasi finito, il Capitolo si riunì di bel nuovo per decidere se convenisse votare un’altra somma per pagare le spese di viaggio e di permanenza in paese del costruttore d’organi. In questa circostanza, il Conte dichiarò che s’incaricherebbe di tutto, e riceverebbe egli nel suo palazzo il costruttore: per lo che fu votato un unanime ringraziamento al Conte: e questo avvenne nella famosa seduta del 19 novembre 1839; alla quale alludeva pur dianzi il maestro di disegno. Pare che il Conte, il quale ha riputazione di avaro, voglia ora ritirar la sua parola, e rifiuti dare compimento alle promesse. Inde iræ.»
Sir John sbuffò un buon tratto in sentir ciò; e protestò che aveva ad esservi qualche gran malinteso nella relazione del Maestro di disegno. Il Conte un avaro! Sciocchezze! Egli aveva messo più di venti volte il suo casino a disposizione di lui (di sir John). Un gentiluomo come il Conte era incapace di tratto così meschino. Avrebb’egli stesso veduto il Conte e rischiarato pienamente l’affare.
Sir John fu di parola. La sera infatti del giorno istesso, egli ebbe una lunga conversazione col Conte: e ne fu la conclusione che il giorno seguente l’organista venne istallato nel palazzo del Conte con estrema soddisfazione di tutte le parti.