Il diavolo nella mia libreria/La gallina cova
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La gallina cova
La mia commozione fu tanta che mi son dovuto muovere, e sono disceso con quel libro in cucina. Lì ho trovato la Marta, che è la donna di casa, ed è molto devota, ed ha i capelli assai lunghi; e così ho trovato in cucina la Pilla o Palla, non Pallade — per carità — ; ma è un diminutivo nostro di Paola. Questa Pilla o Palla, o Pallina, è una vera pallina, sì è grassoccia. Ha vent’anni oramai; ride per un’inezia; ed ha i capelli abbastanza lunghi anche lei. Non credo che sia devota perchè..... Non so perchè. Forse perchè nelle nostre campagne non è più di moda. Hanno sparso la voce che sono le vecchie e le brutte che vanno in chiesa, la domenica, con l’abito nero e il fazzoletto nero. Ora la Pallina porta gloriosa, quando è domenica, una giubbetta color tango.
Io dunque dissi alle due donne non ricordo bene quali parole intorno al diavolo.
Ma tanto la Marta come la Pilla non si commossero affatto; e i loro capelli, benché lunghi, non si rizzarono su la testa.
Anzi la Pilla mi domandò, come chi crede di essere beffato, se io credevo nel diavolo.
Io volevo rispondere, forse sì. Ma poi ho cambiato discorso perchè quella ridarella non ode cosa che non la vada a dire.
Dunque domandai: «Dove sono andate a finire quelle due galline?»
Io intendevo le due galline della povera zia, che le vedevo razzolare attorno.
«L'una — rispose la Marta — l'ha pur mangiata lei una settimana fa».
«Mi dispiace. E l'altra?»
«L’altra cova».
E le donne mi condussero dove l’altra gallina covava. Sopra un paniere posava la gallina immobile e rigonfia.
La testa rossa sul corpo tutto bianco, pareva uno strano monile dì corallo. Io ho inteso al mattino le galline fare cocodè, ed è un suono allegro, perchè è come una diana del lavoro e del risveglio. Questo animale che va a dormire con le prime tenebre e si leva con la prima luce, è pure il simbolo della buona massaia.
Ora io rimasi sorpreso come al nostro avvicinarsi, la gallina, non più il gaio suo cocodè, ma un lugubre gorgoglio emettesse, di terrore e di minaccia. Non fuggì, ma tremava e fremeva per tutte le penne.
Qui le donne mi spiegarono molte cose: che la chioccia aveva sotto venti uova e tutte le riscalda e rimuove; che dal suo ventre ha strappato le penne per’ fare soffice il nido; che immota così essa sta per un mese o quasi, insonne.
«Povero animale — dissi accarezzando la rossa cresta — , e dire che gli uomini col tuo nome chiamano le cocottes!»
Ma, e la sozzura? Questo lo sanno tutti: la gallina vuota ad ogni breve intervallo il suo intestino, mentre l'uomo, e anche la donna, hanno una specie di serbatoio...: anzi a quel povero mio amico innamorato del décolleté della contessa, volevo regalare questo pensiero a modo di antidoto: «Pensa al serbatoio che la contessa porta con sé. E non è artificiale.» Ebbene, la gallina, quando cova, trattiene la sua sozzura, e si nutre appena — essa voracissima — di quel tanto che è necessario al suo sostentamento.
Come e dove si compie questa trasformazione? nel cervello della gallina, il quale è tanto piccolo che si dice per proverbio cervello di gallina? E quando è cotto, v’è chi lo dà al gatto, chi lo dà alla serva, chi gli piace, e se lo mangia levando dalla scatoletta i lobi con lo steccadenti! Questo movimento è lì? E se è lì, è certamente una cosa materiale: un’alterazione materiale vi deve essere. Forse si deve vedere col microscopio, ma sinora nulla si è veduto.
«Coccona bella — disse la Marta accarezzando con affetto la gallina, — dopo mangeremo anche te». La gallina ode immobile lì nel paniere. La Pallina dice che i pulcini romperanno il guscio alla fine dell’aprile: alla fine di giugno assicura che saranno maturi per essere messi in padella, alla cacciatora; e che venti galletti rappresentano oggi una bella somma.
Essa ha assolto la terza elementare e sa fare il suo computo.
Comprerà un paio di scarpette.
Perchè — io mi domando - la gallina non comprende questi pensieri della Pallina?
⁂
Io mentirei come un uomo politico, se dicessi che mi sento prossimo della Pilla o Pallina — osservavo ritornando nella stanza dei libri, — Eccola lì: il guadagno, il guadagno! Vendere i galletti. Poi il godimento. Come il più spregevole borghese: guadagnare e godere. E scommetto che a domandarle: Chi sei?, risponde: Sono socialista.
Ma poi subentrò altro pensiero: adesso quella scioccherella andrà a sparger la voce fra questi contadini che io credo nel diavolo. Non sono screditato abbastanza! E la cosa è seccante; non per la cattiva riputazione, ma per le conseguenze pratiche: questi contadini credono fermamente che un uomo che vive sui libri possa — e perciò deva — essere imbrogliato anche nei più piccoli contratti.
«Vuole comperare un bel pesce fresco?»
E perchè io dimostrai che non era fresco, la pescivendola mi guardò stupefatta, e disse: «Capisce anche lei?»
Ma poi pensandoci bene, riconosco che in città avviene lo stesso: i contadini ve lo fanno capire; i cittadini, no.
In una repubblica ideale quelli che vivono sui libri dovrebbero essere esenti da tasse.
«Il contrario, anzi! Tassa speciale, con particolare inasprimento per quei sempliciotti che si permettono di dire al pubblico la verità: est tempus loquendi et tempus tacendi».
Siccome avevo in mano la Bibbia, ho creduto che fosse il sapiente Salomone a parlare così:
Io domandai: «E Cristo che disse: ego sum Veritas?».
«E ha ben pagato con la vita!»
⁂
Forse era Satana, e non Salomone a parlarmi. Comunque è vero: la verità, a dispetto di tutti i mezzi moderni di pubblicità, rimane cosa esoterica oggi, come al tempo delle teocrazie.