Il buon cuore - Anno XII, n. 38 - 20 settembre 1913/Religione

Religione

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Educazione ed Istruzione Notiziario

[p. 298 modifica]Religione


Vangelo della domenica 4a dopo la Decollazione

Testo del Vangelo.

In quel tempo vedendo il Signore Gesù lungo la strada una pianta cli fico, si accostò ad essa, e non vi trovò altro che le foglie, e le disse: non nasca mai da te frutto in eterno. -E subito il fico si seccò. Avendo ciò veduto i suoi discepoli, ne restarono ammirati e dicevano: Come si è seccato in un attimo Ma Gesù rispose, e disse loro: In verità vi dico, che se avrete fede, e non vacillerte, farete non solo (quel che è stato) di questo fico, ma quand’anche diciate a questo monte: levati e gettati in mare, sarà fatto. E ogni qualunque cosa che domanderete nell’orazione, credendo, la otterrete. S. MATTEO, Cap.

21. [p. 299 modifica]Pensieri.

Nell’inizio del capo XXI di S. Matteo si legge dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Attorno a lui un popolo che delira in un, entusiasmo sentitissimo; più in là l’odio degli scribi e farisei; che s’aumenta ancor di più innanzi al grido festoso innocente dei fanciulli, che venivano cantando l’osanna a lui. Poco prima aveva cacciato dal tempio i mercatanti che rendevano la casa di Dio una spelonca di ladroni, ed in seguito si era ritirato in Betania per un riposo di due giorni. Di mattina — dice il Vangelo --- ritornando in città ebbe a sentire fame, e fu per soddisfare a questa necessità che, si imbattè nella disgraziata ficaia che maledice e muore: trae poi da questo fatto i preziosi insegnamenti, che sono più sopra riportati. L’aver l’evangelista così coordinato questi fatti od episodi della vita del salvatore non mi pare senza una ragione, tanto più poi se di questo capo ne leggiamo il seguito; dove risulta -- a luce meridiana — il pensiero di Cristo, essere la fede una forza operatoria,- pratica, non un solo formalismo esteriore. Già respinsi l’accusa di pragmatista impenitente; quìparmi troppo chiaro ed evidente il pensiero di Gesù da dover sentir paura nel ripetermi e ripetere le cose già altre volte recitate in queste lezioni evangeliche. Quale spettacolo di fede non avremmo ammirato noi in questo popolo, che s’accalca, si pigia e guida la sua adorazione al figlio di Davide? Come avremmo piacere nel congratularci con Gesù di tanta testimonianza di fede e di affetto!... come saremmo stati soddisfatti!... come l’avremmo registrato a caratteri d’oro il plauso innocente dei fanciulli, delle vergini d’Israele.... come ci saremmo dichiarati soddisfatti d’aver avuto il tempio e la casa di Dio pulito dai mali, dai mercanti, dagli af faristi! Non era questa l’ora del trionfo di Gesù? Cosa voleva di più? Non doveva — allora — approfittarsi del momento’ della réclame, dell’auge popolare per il suo trionfo? Bruscamente l’Evangelio nota che si nasconde per due giorni nell’oscura ed ignota Betania, da cui parte di mattina per Gerusalemme con.... fame, desiderio ardente, irresistibile, meglio necessità, bisogno assoluto di tutt’altro che lodi, applausi, ma desiderio, bisogno di quello che in croce morente gli gridava il «sitio» sete d’anime, sete di bene, sete di salvati. Ecco la fame, la sete di Cristo: l’impellente bi’ sogno della sua anima, del suo cuore, ecco l’azione della sua fede, l’azione efficace della vera fede, della religione. Non disprezza — la difende anzi davanti ai farisei — il plauso delle folle, il culto esterno, ma vuole assai più in là, vuole del pratico, del reale, del duraturo.

Fra chi applaude, festeggia e non si sacrifica, e chi lavora, abnega la propria volontà, agita il prossimo, attende alla propria salute, Gesù sta coi secondi e respinge i priíni che colpisce come ipocrisia. Non fate le meraviglie. Nel medesimo capo di S. Matteo, dopo un’eloquente ’parabola conclude che a quel modo «molti pubblicani e meretrici (s’intende penitenti) ci precederanno nel regno di Dio. • *

Gesù sente il bisogno di cibo, ed abbiamo visto in quale senso debba prendersi, per quanto possa anche materialmente aver provato egli pure tale bisogno, Il folto ed il denso delle fronde della ficaia lo lusingano di trovarvi dei frutti dolcisimi, sgraziatamente non se ne trova: la maledice non per sentimento egoistico, la maledice nella sterilità sua, mentre una vegetazione lussuosa, quasi insulta.... Sonvì — non rari esempi — di collettività, popoli d’una religiosità bene espressa nel lusso delle frondi della ficaja. La forma vi è coltivatissima; purchè ci sia festa, ci sia movimento, ci sia... commercio si utilizza tutto: non mancherà mai un buon corpo musicale, non la processione dove tutto si sfoggia, tranne il senso reale... religioso. A questi popoli, a queste feste chiedete un’utile: chiedete una morale seria, opere serie, sacrifici di passioni, di interessi talvolta turpi... fate che Gesù chieda un solo frutto sano, degno di sua fama,. oh! Gesù la dovrebbe ripetere la maledizione colla tristissima conseguenza della morte religiosa. Esempio: la primogenita della Chiesa, che aveva scritto nel suo programma il fatidico motto: «Dio opera per la Francia» or dalla Chiesa ha fatto pubblico divorzio. Non così accade anche di qualche... anima? • •

Studiamo la ragione di tale triste fenomeno. L’Evangelista-pone la ficaja lungo la via. La cosa non è speciale, no, è specialissimo l’aver notato la posizione l’Evangelista così solitamente parco negli episodi e nelle note illustrative. Lungo la via! Anime amiche, non è religione seria far pompa, jattanza, ostentazione della vostra fede. Questa ama il ritiro, il nascosto, l’umile: lungo la via si raccoglie polvere, sassi, ingiurie, insulti... nell’azione troppo aperta, troppo esposta nel mondo,, nella posa religiosa, no! è troppo difficile raccoglier’quei frutti seri, veri, buoni che nascono e maturano nella oscurità, o meglio nel silenzio operoso dello. spirito, della nostra chiesa. Occorre talvolta agitarci. Innanzi al nemico che grida vittoria nel crederci polverizzati, sarà opportuno talvolta numerare sotto le bandiere della Chiesa i figli devoti, ma ciò è eccezione, è bisogno qualche volta, non può essere quel campo ad azione tranquillo dove ci si incontra con Dio, ove biondeggiano ’e messi dello spirito. R. B. [p. 300 modifica]IL CONCETTO DELLA VITA

L’assoluzione degli autori del trattato pratico di neomal thusianismo a cui fu fatto recentemente il processo a Torino e la pubblicazione della Rivista di educazione sessuale incominciata dopo quell’assoluzione, hanno eccitato gli spiriti battaglieri dei fautori del neomalthusianismo in Italia. E due di loro, in un articolo pubblicato sull’Avanti del 2 luglio e riprodotto poi nel N. 3 dell’Educazione sessuale, se la prendono col Marchese Crispolti e un po’ anche con me, quali rappresentanti dell’idea oscurantista-clericale nell’opposizione, che si va affermando in Italia, al concetto ed alla pratica del neomalthusianismo. Sorvolo sulla questione dell’oscurantismo, giacchè mi pare che quando i neomalthusianisti ci conducono su quel terreno lo facciano per aver agio di tirar fuori dei paroloni altisonanti, che fanno effetto sulle masse senza avere nessuna consistenza. Dico soltanto che se vi hanno istituzioni e persone che pensano ed agiscono oggi, in qualche argomento, come nel medioevo troppo calunniato, vuol dire soltanto che vi sono idee e principii che sanno resistere ai secoli, nonostante la guerra che in ogni tempo (non siete voi i primi, o neomalthusianisti, a voler portare una idea creduta più alta nel concetto del matrimonio) vien mossa a quei principii: ed è quindi da domandarsi se questi principii che resistono ai secoli non sono forse saldamente fondati, e se le istituzioni o le persone che sostengono quei principii, nonostante le guerre che contro di loro si scatenano, non abbiano, per caso, ragione! Ma lasciamo queste considerazioni, e veniamo al sodo della questione: e stabiliamo bene (perché ognuno si orienti) in che cosa consista il dissidio che separa i neomalthusianisti dai seguaci della dottrina ché chiamerò cristiana, sebbene — si sappia! — gli avversari del neomalthusianismo non si trovino dav vero soltanto nelle file dei cosidetti clericali. A noi avversari del neomalthusianismo, si fa rimprovero di obbedire ciecamente al divino crescite et multiplicamini. Ora, premesso che obbedire ad ogni precetto divino è senza dubbio dovere imprescindibile ed è dovere il cui adempimento dà al credente una gioia ed una soddisfazione che nessuno degli increduli intenderà mai, diciamo che soltanto chi è nella mala fede o nell’ignoranza può far mostra di ritenere che quel precetto significhi generare a qualunque costo ed illimitatamente, colla stessa indifferenza colla quale un bruto sfoga le sue voglie ed i suoi istinti o colla quale il Gran Sultano va coltivando i suoi sensuali amori nell’harem. Lo prova il fatto che la monogamia è la base della famiglia cristiana, ed il celibato vero ed onesto si accompagna di frequente alle imprese più grandi della civiltà cristiana: lo prova il fatto che la legge cristiana: probisce ogni relazione sessuale fuori del matrimonio, e quindi combatte quella figliazione illegitti ma la quale crea davvero spostati e sventurati, e che è invece conseguenza naturale della professione di una morale sessuale diversa da quella che discende dal principio cristiano: lo prova il fatto che le persone educate a questo principio (voi queste cose- non le sapete, e non potete saperle, e dovete aver pazienza che ve le diciamo noi che professiamo questo prin. cipio) sanno imporsi moderazione ed astensioni capaci di salvaguardare la salute della donna ed il benessere dei figliuoli avvenire, e lo fanno con generosità d’animo e senza trovare per questo che la vita sia cosa insopportabile. I seguaci del principio cristiano non temono, no, ed anzi desiderano la famiglia numerosa, i neomalthusianisti la vogliono invece ristretta a pochi rampolli, e meglio ad uno solo o magari nessuno, perchè è del tutto diverso il concetto che gli uni e gli altri hanno della vita; e ciò tanto dal punto di vista della qualità dei figli che nascono, quanto da quello della maggiore o minore difficoltà di crescerli, mantenerli ed educarli. Quanto alla qualità non so davvero come sia sostenibile l’idea che col minor numero di figli si possano avere, diciamo così, migliori campioni della razza umana, fondandosi su una serie di calcoli che divengono indecorosi se ne fa esulare l’amore, e che divengono vani ed insufficienti se all’amore si rende il suo posto: e l’esperienza è là per dimostrare non essere vero che nascano più facilmente sani e belli i figli di chi se ne procura un piccolo numero. Quante, invero, famiglie numerose vi sono composte.. di figli tutti forti e robusti, e quanti invece figli unici con tutte le stigmate della degenerazione fisica e morale! Vi sono, è vero, specialmente nel popolo, famiglie numerose di figliuoli che sono segnati della tabe del rachitismo o della delinquenza; ma di questo non imputiamo la colpa al crescite, giacchè si tratfa di persone le quali il principio cristiano hanno applicato solo in parte, mentre la morale cristiana, ben più completa nella sua semplicità, accanto a quel precetto (il solo che i nostri avversari citano, con poca precisione) ne ha molti altri i quali prescrivono di non darsi al vino, al piacere, alla lussuria, di dominare le proprie passioni, di non far niente, anche di lecito, che procuri il male altrui, tutte cose che scordò chi nel matrimonio mise al mondo una turba di figliuoli rachitici o deficienti, e che quindi noi non accettiamo come campione dell’applicazione razionale ed onesta del crescite et multiplicamini. E del resto anche questi disgraziati frutti di matrimonio di gente non abbastanza educata sono dai neomalthusianisti troppo disprezzati e tenuti in basso conto: giacchè ogni essere anche deforme e debole può trovare nella vita la sua alta destinazione e venire indirizzato a qualcosa di utile, di nobile e di alto, cose queste che non sono intese dai neomalthusianisti, i quali si meravigliano senza dubbio nell’udire che un povero deficiente possa, sia pure indirettamente e stimolando la virtù altrui, essere [p. 301 modifica]utile a qualche persona o magari all’umanità tutta, e non intenderanno mai il bene che può fare al prossimo una creatura che, come una suora recentemente morta, sia condannata a passare, malata ed immobile, più di cinquanta anni di vita nel fondo di un letto. Colpa delle famiglie ig noranti o della società egoista se non sanno o non vogliono ricavare da questi esseri dimenticati o disgraziati quello che potrebbero dare se fossero assistiti da un’educazione

  • azionale o da una carità sapiente ed operosa; inf

non colpa del principio. E’ l’atto dei neomalthusianisti che di fronte alle difficoltà di tale riabilitazione di derelitti predicano: a date meno figli!» non è che una fuga vergognosa ed egoista. Noi, invece, affrontiamo con coraggio il problema più vasto: e senza accettare l’idea, che falsamente ci attribuiscono, di una generazione incosciente ed illimitata, cerchiamo di salvare e di educare le creature che nascono, tutte giudicando capaci di missioni non per tutti ugualmente appariscenti, ma per tutti ugualmente alte e nobili. E con questo ho già detto, in parte almeno, in che cosa ci stacchiamo dai neomalthusianisti a riguardo delle difficoltà di crescere e di educare una famiglia numerosa, difficoltà che essi appunto invocano per, difendere la limitazione della prole. Noi riconosciamo per i primi quanto sia arduo, in questi tempi specialmente, di mantenere e di bene allevare la prole; ma neghiamo la impossibilità di farlo. Date padri bene educati atti e pronti al sacrifizio (a cui non ci si prepara colle pratiche neomalthusianiste ma solo coll’esercizio di quelle virtù che nel mondo ha introdotto il cristianesimo) e vedrete che essi sapranno tirar su una prole degna di loro ed utile alla società: ed io preferisco, anche socialmente, i sei o sette figliuoli di un operaio che ne fece dei lavoratori coscienti e coraggiosi, all’unico rampollo, curato, istruito, rimpinzato -di orgoglio e di denari, di voi, neomalthusianisti, che non potete a meno di avergli inoculato nel sangue il bacillo di quell’egoismo che vi spinge a limitare a lui solo la vostra prole. Giacché, per quanto si dica e si declami che le teorie neomalthusiane sono socialmente belle, sane e giuste e che dev’essere un’alta preoccupazione sociale quella che spinge a limitare le nascite, quando queste teorie si vengono ad applicare nelle singole famiglie ed ai singoli individui, non è che l’interesse individuale ed egoistico che invita a non procurarsi che scarsa figliuolanza. Fate l’esperienza e’domandate a chi vuol figli perchè così voglia, e sentirete che vi parlerà delle sue difficoltà, del suo desiderio e della sua agiatezza, e non davvero di grandi ideali sociali. La vera e profonda differenzache v’è e vi sarà sempre fra i moralisti a base cristiana (i vertuistes, come.ci chiamano) e quelli a base neomalthusiana sta in realtà nel concetto che essi hanno della vita. Per noi la vita è missione, è dovere a qualunque costo, e il piacere e le soddisfazioni sono gradita ma

non necessaria compagnia dell’adempimento del dovere; mentre il dolore e l’affanno,.per quanto penosi, non sono da noi considerati come contro natura o come nemici dell’uomo, ma come elementi purificatori ed eccitatori, sorgenti di energie e di virtù. Per voi invece la vita è poco più che un peso, e i grandi ideali che evocate non scendono sino in fondo all’anima, e a voi manca il substrato per dare alla vita uno scopo così alto da potere affrontare qualunque evenienza. Di qui la cura di sbarazzare la vita dalle troppe difficoltà e dai troppi disagi e dalle troppe pene • di qui la impostura tutta pagana della vita ordinaria, nella quale trovano modo di far breccia tutte le teorie che finiscono coll’avere per urico scopo di diminuire agli uomini pene, cure e pensieri. E’ di qui che nasce il dissidio: la base della nostra morale è il dovere, quello della vostra è il piacere, benché inteso in senso elevato. E questo spiega perchè noi invochiamo anche contro i neomalthusianisti i rigori del Codice, come per i pornografi; cose, queste, che li ha colpiti ed offesi, non volendo essi ai pornografi essere paragonati. Io non dico che il neomalthusianista sia direttamente da assimilarsi allo spacciatore di cartoline sconce e di libri osceni; ma se si pensa che le teorie neomalthusiane hanno per base — confessata o no — il piacere personale anteposto al dovere naturale e sociale; che questo piacere, esercitandosi nel dominio sessuale e sviando le energie umane dal loro campo procreativo conduce alla ricerca dei piacere del senso non più nè coordinati nè rivolti ad un’alta missione, e che di qui allo sfrenamento della passione ed alle raffinatezze del libertinaggio non v’è che un passo, si vede chiaro < fie ai neomalthusianisti occorre far guerra se non perchè pornografi, almeno come ai pornografi: e non se l’abbiano a male, se hanno il coraggio di andare fino alle ultime conseguenze delle loro teorie. Le quali teorie, oggi entrate nella pratica, faranno purtroppo il loro corso: noi lotteremo contro di esse pur sicuri che si sta preparando il loro trionfo. • Ma ci conforta un pensiero: ed è che in questa ormai fatale volontaria diminuzione delle nascite, noi soli difensori della morale che discende dal principio cristiano, restiamo votati alle famiglie numerose: e verrà giorno in cui le nostre convinzioni morali saranno rivelate dal numero dei nostri figliuoli. La prole degli altri, i neomalthusianisti, andrà mano a mano estinguendosi, e quindi poco a poco la maggioranza nel mondo sarà costituita dalla discendenza di coloro cui non fa paura la prole. L’avvenire sarà dunque di coloro che discenderanno da noi: e nel loro sangue, grazie al Cielo; starà il germe sano della morale pura che vi avremo instillato noi. Sarà questa la miglior vendetta che noi ci prenderemo sui neomalthusianisti. o’

RODOLFO BETTAZZI.

Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi [p. 302 modifica]Wau (Bahr el Ghazal)

Il M. R. Don Angelo Stoppani, parroco di Gazzada (Varese), gentilmente ci comunica la seguente lettera di suo cugino il nostro concittadino Don Antonio Stoppani, missionario nel Sudan, recentemente nominato Prefetto apostolico di Bahr el Gasai nell’Africa Centrate, come i lettori sanno per averne dato notizia a suo tempo. Carissimo Don Angelo. Quanto tempo sono stato senza scriverti! Durante questo frattempo così lungo io ho cambiato residenza, e sono venuto a nientemeno che circa goo miglia inglesi a Sud-Ovest di Khartoum. Ebbi l’ordine di farlo in Giugno 191i, e benché il sacrificio di lasciar Khartoum fosse per me una gran cosa, pure dovetti obbedire, ciò che mi valse poi il trovarmi anche molto meglio che non a Khartoum stessa. Il da fare per me a Khartoum fu sempre molto. Qui aumentò ancora di molto, stante la necessità di mettere in ordine molte cose, la scuola, la officina, la residenza dei missionarii, ed ora non vedo l’ora di metter fine a questo lavoro, il quale in vero è ormai presso a terminare. Abbiamo fatto una nuova scuola per cui abbiamo avuto un aiuto speciale dal Governo di Khartoum. Poi di sana pianta abbiamo, con sacrifici di moneta e risparmi enormi colle nostre fatiche, messo in piedi una officina. pei falegnami di 30 metri di lunghezza, abbiamo ordinato un piccolo motore di 4 cavalli di forza, a petrolio, alcune macchine per la falegnameria, e tutto non ricevendo aiuto speciale dalla nostra Amministrazione. Siamo proprio asciutti come la sabbia del Bione di Pescarenico nelle magre -che fanno consumare il carbone alla a Orobia» per la luce elettrica. Per questa ragione io già da alcuni mesi sto scrivendo da tante parti per avere qualche aiuto, per questo faccio trottare la mia macchina, che costa soldi e li deve rendere. Adesso siamo proprio nel cuore della stagione asciutta, nella quale non si ha mai pioggia, eccetto qualche caso straordinario di poca pioggia che viene di contrabbando. Il mese di Aprile forse ci donerà qualche bella pioggia ed il Maggio meglio ancora e in Giugno saremo in mezzo ad una verdura incantevole che poi in Agosto diventa una gran barba colossale che copre tutto il paese. Appena raccolta la Dhurrah, che è il grano del paese, cioè in Gennaio, tutto ciò che non ha ragione di esistere viene bruciato spietatamente, sia per avere il posto pulito per la nuova seminagione, sia per non avere la noia delle visite delle jene e dei leopardi di notte, sia per impedire che gli incendi dati dagli altri vengano a incendiare la casa dei singoli proprietarii. Gli incendi dell’erba che raggiunge in certi posti l’altezza dì

m. 2,50 e di tutto ciò che resta nelle seminagioni dopo la raccolta del grano sono qualche cosa di imponente. Veduti di sera poi sono un panorama che in Europa non è così facile di vedere. Gli incendi dai campi vanno ad invadere le boschine, proprio quelle che da noi sarebbero il ritrovo di tutti i sciquettisti, parasciulisti e zuzisti del paese, vanno ad invadere le foreste, ed il fuoco dura sotto le ceneri magari settimane intere. Le foreste sono terribilmente danneggiate, e in proporzione della vastità immensa della contrada pochissime sono le piante gigantesche che si vedono in altri posti dove gli incendi non danneggiano le piante. Per esempio Tizio. Sempronio, Caio vuol farsi una seminagione. Esso si fa prima la casa, poi destina il posto della seminagione, mette un po’ di paglia a ciascun tronco di albero della foresta, appicca il fuoco e se ne va per i fatti suoi. Il fuoco fa pure il fatto suo, brucia tutto ed il posto è pronto per la stagione delle seminagioni, cioè verso il principio di Maggio. Naturalmente il Governo interessato ad impedire che il fuoco vi penetri, però vicino à Wau, che è la capitale attuale di Buhr-ElGhazal (significa a fiume delle Gazzelle») siccome il Governo stesso è interessato ad avere un forte nucleo di popolazione, permette ad ognuno che venga qui vicino a Wau per case e seminagioni; così tutto attorno a Wau verrà distrutto a poco a poco, ciò che toglierà a Wau la bellezza naturale topografica, ma la renderà molto più sana, abitabile, ecc., ecc., perchè quanto più le foreste sono lontane, tanto più le zanzare vengono a diminuire, e quindi anche la malaria insieme alle zanzare che la portano all’uomo. Non resterà mai poi la foresta tanto lontano che non sia facile ad ognuno di andarvi e gustare il bello selvaggio della vegetazione vergine, la quale per altro non è così abbondante come in India ed altre contrade. Ciò che forma la meraviglia di tutti coloro che per la prima volta vengono in questo paese è l’abbondanza della selvaggina. Gazzelle, Antilopi, Bufali, se ne vedono mandre intere, specialmente delle prime, Gazzelle ed Antilopi in certe stagioni, quando manca l’acqua all’interno e vengono al fiume a pascolare, si vede per ore intere passando in battello, una mandra ininterrotta di ogni specie di questi svelti rappresentanti del nome del paese, Bahr-El-Ghazal. Se ne uccidono cpl fucile alle volte di quelli che pesano da 25o a 300 e più Kg. e si mangiano allegramente. Pochi giorni sono di domenica i nostri ragazzi uscirono in 3 verso le 8 di mattino col retrocarica ordinario della Missione. Alle 10,30 erano in casa con 2 belle gazzellette, spendendo per tutte e due solo 2 colpi di retrocarica. La domenica, seguente la stessa corsa, e una bella gazzella ancora in poche ore. Elefanti poi, naturalmente più lontani dai paesi abitati, alle volte se ne trovano mandre di zoo o 300 e anche più. Delle volte pas [p. 303 modifica]sano attraverso ai villaggi mettendo il panico fra i poveri abitatori del medesimo nel più fitto della notte. Vi sono degli indigeni abilissimi nella caccia dell’elefante, vecchi di 6o o 70 anni, che sono sempre nelle foreste. Vicino a noi vi è uno rinomato come cacciatore arrabbiatamente appassionato per questa caccia. Esso ha un enorme fucile, che un uomo appena porta in ispalla. Lo carica di polvere, chiodi, piombo, sassetti e ha il coraggio di affrontare gli elefanti proprio a tiro di pietra. Spara il suo fucile, tenendolo un altro uomo con lui, buttano il fucile in terrà e via a vedere cosa succede. Qualche anno fa questo tale si trovò tanto vicino all’elefante che la bestia arrivò improvvisamente ad afferrare colla proboscide sua la canna del famoso fucile. Per fortuna l’elefante non aveva potuto bene afferrare la canna, così che il coraggioso uomo ebbe tempo appena di tirare il fucile a sè, e dicendo, aspetta canaglia, primo io e poi tu, sparò, pigliando esso stesso un colpo di rinculo del fucile mastodontico, che lo rovesciò per terra all’indietro. Il colpo del calcio del fucile fu tale che il cacciatore ne porta ancora la cicatrice che mostra a chi desidera di vederla; ma il colpò della canna fu anche tale che l’elefante rovesciò istantaneamente a terra impotente a più muoversi. Un vecchio soldato del reggimento che si trova qui di guarnigione a Wau, un nero sudanese alcuni mesi sono, avendo sparato ad un elefante che uccise, si trovò improvvisamente assalito da 3 altri, 2 dei quali uccise alla distanza si può dire di arma bianca, ed il terzo ferito gli cadde addosso, per fortuna appena fratturandogli una gamba. L’animale inferocito, ormai vicino a spirare, non potendo alzarsi cercava di schiacciare il povero soldato con una delle sue enormi gambe, dopo di che fatto uno sforzo supremo diede un colpo tale al soldato con una gamba che senza volerlo se lo levò da di sotto a sè buttandolo lontano una decina di metri. Il soldato fu raccolto fuori dei sensi, ma tornato in sè la prima cosa che domandò fu se l’elefante era morto o ancora vivo. Ebbe da guardare il letto per più di due mesi quel fortunato, ma certo quella avventura non gli ha fatto passare la passione della caccia. Ma io ti vado annoiando con descrizioni e chiacchiere che non finirebbero mai. Altra volta, caro D. Angelo. Io qui me la passo benissimo. Abbiamo circa 25 ragazzi, come formanti un piccolo collegio. Questi sono tutti figli di capi di diverse tribù indigene che educati e fatti cristiani qui, porteranno poi néi loro paesi il Vangelo di Gesù Cristo. Essi fanno molto bene. Imparano e si vanno formando a sentimenti cristiani molto bene. Ho messo in piedi per divertirli ed affezionarli una piccola bandina; tutti amano molto la musica, e riescono assai bene. Ciò che manca troppo sono i mezzi. Non mi sento di

stendere la mano anche a te, perchè so che già la è magra per tutti i preti e Parroci. Forse potrai nella tua sfera di azione fare qualche cosa raccomandando quel missionario che fu nella tua parrocchia nel Dicembre del 1908. Chi sa che non si ricordino ancora! Se vi fosse qualche palpirolo da mandarmi, si può mandare per posta direttamente a noi qui. Mi scriverai con tutto comodo. Questa volta io non ho coraggio di menzionare qualche piccolo piano che ti potrebbe fare buon giuoco per aiutarci. Era mio dovere mandarti una riga dopo tanto silenzio: Godo nel sapere da casa mia e da Don Carlo che la Mamma tua a Mulierem fortem quis inveniet» sta bene (i). La figura di tua Mamma mi è sempre presente alla mente. La ricordo là in chiesa, immobile raggiante di fede, là-a spendere meglio che una religiosa di professione i minuti che le avanzavano dal lavoro. Che consolazione ho provato allora!!! Ah! la fede che potenza non è mai per il cuore umano. La saluterai tanto quella Donna forte che tanto più va attaccandosi al Signore anche qui in terra, quanto più il termine della vita si avvicina. Dirai ad essa che io mi ricordo spessissimo di Lei, e che mi raccomando tanto a qualcuna di quelle Avemarie che penetrano al cielo. A te pure mi raccomando tanto. Il Signore ti aiuti nel difficile ministero e ti consoli nelle tue fatiche. Abbracciandoti caramente resto, caro Don Angelo, Tuo aff.mo cugino. Io allegro sempre, sano come un pesce, piePS. no di da fare, senza moneta, ma pieno di coraggio; comprerei a costo di vendere le mie camicie logore ed i miei pantaloni che oginano da tutte le parti la ferrovia elettrica Milano-Varese!! I capelli van diradandosi sulla testa, ed ormai ho rinunciato a cavarmi dalla barba i peli bianchi, ma la cattiveria non diminuisce, ed il fisico non sembra accennare a deperimento precoce delle fibre della mia complessione. Se dovessi però campare come tua Mamma o come Papà Ferdinando (poverino! caterattato!) bisognerebbe che - il Signore mi facesse crescere l’erba sulla testa un’altra volta altrimenti povero me!!! Di nuovo, tante cose. Saluti agli amici, se ne trovi di quelli che mi ricordano. Ricordami a quel buon Parroco che io trovai la prima volta a Perledo con Don Carlo. Il suo nome mi è scappolato dalla memoria. Saluti tanti a... vattelapesca; quel buon pretino cui fui prefetto in Seminario. Che povera memoria! (i) La Signora Rosa Frassi Ved. Stoppani, madre di Don Angelo Parroco di Gazzada, e di Don Carlo Prevosto di Bellano, era morta da quindici giorni e già trasportata la salma al Cimitero di Lecco nella Cappella di Famiglia.