Il buon cuore - Anno XII, n. 38 - 20 settembre 1913/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 38 - 20 settembre 1913 Religione

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Per il palazzo Farnese a Piacenza


Mistificazioni medioevali e brividi romantici - Amore della Storia - li Museo Gozzola - Salviamo Palazzo Farnese! Dovere di ospitalità! - Archivi al macero - Piacenza e Parma - Le offerte del R. Commissario.

Padre Corna, dal bel silenzio di Santa Maria di Campagna, ci dà un altro volume di ricerche storiche, diligenti e sicure, e vive di molto affetto per Piacenza. E la sua pubblicazione recente sui Castelli e sulle Rocche del Piacentino (ed. Unione tipografica Piacentina, N. 1913) interessa non solo come studio di storia, ma anche perchè pone ancora una volta alcune questioni di interesse cittadino che devono ormai essere risolte perchè son davvero vitali per la cultura locale.

Ma vediamo intanto il libro, che ci occasiona l’articolo.

Padre Corna con onesta esattezza avverte subito nella prefazione ch’egli non ha voluto compiere nessuno studio originale, ma solo riassumere con sicura diligenza le notizie che dei castelli piacentini davano già gli storici: «di mio non c’è che la disposizione ordinata e cronologica: questo per evitare critiche inutili».

Questo libro vuol semplicemente essere di buona propaganda a far conoscere ed amare tanti monumenti tutt’ora di magnifica arte. Conoscenza ed amore che condurrano a conservare ed aiutare la vita di tutto quello che resta.

Ricordiamo. Quando Luca Beltrami, con audacia che non fu vana, combattè per la conservazione del Castello milanese, non aveva di fronte a sè solamente i soliti modernisti dei piani regolatori che abbattono un monumento medievale per non curvar una strada, ma anche aveva contro la insidia di una retorica velenosa. E se il Castello idi Milano può non soddisfare ognuno, oggi, per particolari di restauri e di rifacimenti e specialmente perchè nel rinnovo ha dovuto perdere ogni senso di antico, esso però ci è — ben meglio — la viva manifestazione d’una delle più belle battaglie artistiche che si siano combattute. Non è solo un monumento d’arte; è una vittoria morale. Allora vi erano quelli che nel Castello non vedevano che una «massa melanconicamente tetra, stupidamente vasta, cocciutamente uniforme che aveva un merito solo, quello di far desiderare la primavera che vi fa crescere attorno le foglie», e vi erano quelli che a quel senso tetro davano una ragione storica, per il, ricordo di barbarie crudele che il Castello testimonia. Allora si volevano abbattere i castelli perchè i tiranni li avevano costruiti a dominar le città per incrudelirvi sicuri, perchè le stanze dovevano avere trabocchetti, perchè i pozzi dovevano essere armati di seghe a tagliuzzar viva la vittima che vi precipitava. La fantasia popolare si era sbizzarita a costruirsi un Medio Evo spaventoso, in compenso di quello sdolcinato dei romanticisti. E questi brividi ognuno risentiva dinanzi ai ruderi neri dei castelli. Se qualcuno ne augurava la distruzione, nessuno si opponeva.

Erano avanzi frenetici dell’entusiasmo liberatore del Risorgimento? o erano segni di quella trista mentalità «positiva» che si formava, e che qualche anno dopo faceva applaudire appunto in Milano le sconce ingiurie di Guglielmo Ferrero ai nostri morti d’Africa? Forse più questo che quello: perchè anch’io, che son giovane, ricordo di aver pur visto Attivi questi propositi e questi brividi in aiuto di chi, anni sono, tentava una buona speculazione progettando lo abbattimento del Castello di Novara.

Medio Evo e Rinascimento, gloria e storia nazionale ritornano vivi nel nostro spirito. Oggi più nessuno può osare la mistificazione dei nostri momenti più magnifici. Leggete che cosa dice di questa vita di Rinascimento Lombardo il Malaguzzi Valeri nel [p. 298 modifica]Volume che ha stampato ora dall’Hoepli: non c’è proprio nessun castello da distruggere come spiacente testimonio d’antiche nequizie, ma anzi c’è da studiarli;per conoscere plendbri magnificenti di corti ducali e ricchezze d’eleganze signorili, oltre le belle audacie eroiche della vita combattente. Padre Corna trova buona la via, ed è guida premurosa e sicura ai piacentini ché vogliono sapere della loro vita antica. Intanto fa opera buona di propaganda per questi antichi monumenti. Narrando la storia, spesso aneddottica, dei castelli e delle rocche, fa entrare in queste torri, fa passare su questi ponti levatoi un numero di gente che fino a ieri non s’era avvicinata al castello per un resto di timore o di soggezione. Il suo volume, indirizza’.- ) non agli studiosi ma ad un pubblico larghissimo di lettori, è stato subito accettato e letto con una diffusione ch’è, anche questa, un buon segno. Bisogna però aggiungere subito che se il volume non è diretto agli studiosi, può servire anche a loro. L’autore non ha voluto fare larghe ricerche d’archivio, ma quando gli è acaduto d’entrar in qualche archivio, specialmente se privato, il suo senso di ricercatore si è subito svegliato; e così per il Castello di Boffalora, per quello di Rottofreno e per qualche altro ci dà anche notizie inedite. Per un’opera di carattere tanto generale, mettersi di proposito a fàr ricerche arichivistiche sarebbe stato un azzardo groppo rischioso. Io che da parecchio studio il trentennio solo d’architettura militare sforzesca che nel Gadio ebbe l’ingegnere sovrano, e che nell’archivio di Stato milanese anche per i castelli di Piacenza e del Belvedere Piacentino ho trovato notizie importanti (e qualche altra di minor interesse per Montalbo, Bardi, Gropparello, Compiano, Busseto e per qualche altra rocca minore) posso ben garantire l’utilità che Padre Corna non si sia lasciato attrarre dal fascino d’una sistematica ricerca di nuovi documenti. Con tanti larghi confini di tempo e di luogo, sarebbe entrato negli archivi di alcune città e non ne sarebbe più uscito. Ma dicevo che questo volume può servire anche agli studiosi. "Non solo per le notizie nuove che può accader di trovare anche in queste pagine, ma specialmente per il ricco materiale illustrativo interamente inedito. Padre Corna è a’ dato quas sempre egli stesso a fotografare i Castelli dei quali parla; e di tutti una quarantin i, ci dà la riproduzi n-. E quasi tutti celi presenta in ’parecchi a clichès», nell’aspetto dei varii lati, nei particolari architettonici, più interessanti, nei loggiati e nei cortili che tanto spesso li allietano di note delicatissime d’arte. Interessa poi il volume per le notizie che dà sullo stato di conservazione di queste rocche, non sempre, purtroppo, lieto; la rocca d’Olgisio per esempio, così viva di memorie medioevali, così bella di segni di arte, a fra poco ne sarà che un ammasso di ruderi indicanti l’esistenza di uno fra i più belli e classici manieri del piacentino n.

Ma il volume ci interessa specialmente perchè serve a riporre due questioni sempre vive della cultura piacentina; e servirà, speriamo, a risolverle ’ Il Museo e l’Archivio. Nel isog, con una conferenza e con una relazione pubblicata dal Bollettino Storico Piacentino, poneva la questione del Museo — con una risolutezza e con, una chiarezza di dettaglii che meravigliano non se ne sia subito allora concluso qualcosa -- il conte ing. Dionigi Barattieri. Notava la necessità, a che possa vivere il Museo Piacentino, che esso abbia una sede degna. E notava nello stesso tempo la necessità urgente che palazzo Farnese — oggi caserma — ritorni a vivere quella vita che la sua magnificenza chiede e vuole la conclusione era evidente: trasportare il Museo Civico in Palazzo Farnese e costruire per i soldati, una caserma nuova. Perchè un Museo a Piacenza, c’è già. Ma n a serve altro, purtroppo, che a far sentire la sproporzione fra il valore della raccolta e la grandiosità del Palazzo nel quale vorremmo disporlo. Tuttavia il confronto del catalogo dell’attuale Museo e della pianta, di Palazzo Farnese sarebbe una troppo meschina opposizione. Non è chi non veda la ricch..szza possibile di un Museo piacentino, e l’impossibilità attuale per il Museo Gazzola di arricchirsi, Già allora il conte Barattieri avvertiva dei quadri del Duomo che finalmente avrebbero potuto trovare una stabile collocazione nel gran salone d’onore degli altri quattro arazzi che il Collegio Alberoniano non aveva potuto depositare insieme con quelli interessantissimi che subito diede a Palazzo Gazzola, per mancanza del posto dove esporli; di cento, e cento cose che volentieri sarebere deposita+,. - donate al Mueso se il Mueso avesse posto per accoglierle e per assicurar loro una conservazione ottima e eterea. La garanzia sola di Palazzo Farnese ba.;terebbe a raddoppiare immediatamente la collezione. (Continua). di Palazzo Gazzola.