Il buon cuore - Anno X, n. 40 - 30 settembre 1911/Educazione ed Istruzione

Educazione ed Istruzione

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Per ottantesimo compleanno

di

Monsignor GEREMIA BONOMELLI

Come omaggio al venerando Presule, riportiamo la bella pagina pubblicata da Luisa Anzoletti nella Rassegna Nazionale.

Quando suona il nome illustre e venerato di Monsignor Bonomelli siamo sempre così avvezzi ad ascoltare, che oggi, all’invito di dire venutoci dalla Rassegna Nazionale, il moto primo in noi fu di confusione e quasi di turbamento.

Ma poi, subito dietro, non un pensiero, bensì un’onda di ricordi e di sentimenti si vien destando, ed è tutto un rispondersi di echi della memoria e del cuore: reminiscenze di letture, di discorsi, impressioni di maraviglia e d’ammirazione, onoranze cui si è assistito, commozioni che si son provate, atti di carità ai quali ognuno s’inchinava, parole sante che andavano di bocca in bocca; e tutto vivo, tutto presente, armonioso e luminoso nell’animo nostro. Come renderne in breve l’insieme?

Ecco, di questo coro intimo, un’unica voce io colgo, benedicente al glorioso Vescovo di Cremona come all’Autore d’una multiforme e feconda opera scritta; la quale, rispetto ai tempi ed alla società per cui fu scritta, reca in sè un carattere proprio delle cose che la Provvidenza dispone: quello d’essere stata un’opera necessaria.

Nell’enorme produzione della penna ai dì nostri, quanti libri, specie se vi si applichi l’aureo concetto del rifar la gente, potrebbero dirsi in qualche modo necessari?

Or io guardo agli scritti di monsignor Bonomelli: cospicui volumi e opuscoli popolari. Non uno, dalle «Questioni religiose, morali e sociali del giorno» al «Seguiamo la ragione», dalle descrizioni di viaggi alle recenti pagine sulla scuola laica e sull’emigrazione, non uno che non abbia conseguito il suo scopo di fornire un lume e porgere un aiuto mentre altri non aveva aveva ancor pensato o non aveva ancor trovata la via di recarlo. Sempre, sempre all’infaticabile Scrittore fu la penna un mezzo efficace che la Provvidenza gli pone va in mano per agevolare lo studio dei sommi veri e render amabili gli insegnamenti morali, soprattutto là dove gli uni e gli altri maggiormente si fastidivano; per additare errori o pericoli e far sentire nuovi doveri e brama di giustizie nuove; per mostrare come allora quando più sono in lotta gli egoismi e gli interessi materiali, più importa d’adoperarsi con ogni sforzo a trarre dal male il bene; per levare un grido di protesta dovunque gravano oppressioni sociali che potrebbero venir risparmiate, e per far udire la voce della pietà ed eccitar l’opera di salvamento dovunque ad esse non è scampo.

Il suo stile è un vivido fascio di raggi, che, quanto più s’allarga il campo delle materie, tanto meglio si espande a rischiararlo per ogni lato. Noti ombra di paurosi problemi che valga a resistergli; non calcolo nè preoccupazione mentale che possa farlo deviare dal punto cui spontanea si drizza la sua luce. Dov’esso si riflette, le cose devono apparire quel che sono in realtà; sia che lo Scrittore soffermi lo sguardo negli immoti dominii dell’esperienza e della storia o ch’egli segua nel fervido movimento attuale il cammino della civiltà e del progresso; sia ch’egli discenda nei misteri dell’umana coscienza o interroghi piamente il segreto dei cuori.

Egli ha fatto suoi con grande amore molti bisogni e molte questioni civili, ma per ricondurli al fine supremo della religione e per subordinarli al massimo degl’interessi: la salute dell’anima.

Egli ha insegnato che Iddio vuole la salvezza dei popoli, non la perdizione; e questa può ben dirsi una opera provvidenziale in tempi che da molti si parla di perdita della fede, e tutti han come il senso ocuro di un male che rode alle radici la vita intera.

Il suo esempio ci riafferma una consolante verità: che, anche nei tempi più difficili, l’amor di Dio e del prossimo sempre ispira ai Pastori del gregge di Cristo, fra il comun danno, una misericordiosa cautela divina: quella di non ispezzare la canna fessa e non ammorzare il lucignolo che fuma; e suggerisce una caritatevole pazienza evangelica: quella di non anticipare l’estirpamento della zizzania per non isvellere insieme anche il buon grano.

Luisa Anzoletti




Il libro più bello, più completo, più divertente che possiate regalare è l’Enciclopedia dei Ragazzi.




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ESAMI, SCUOLA E FAMIGLIA

Ricordi di un professore in vacanza

Tutti gli anni sempre le stesse scene: quando viene il tempo degli esami, le famiglie strillano, gli allievi piangono; e strilli e pianti prendono di mira il professore, lo perseguitano per le vie, nei caffè, in casa.

E allora fa davvero maraviglia vedere padri e madri cascar dalle nuvole nell’udire che i loro figliuoli non eccellono davvero nè per diligenza nè per buona volontà, che talvolta anzi, o spesso, hanno marinata la scuola, e via dicendo. Padri e madri cascano dalle nuvole, come se soltanto in quel momento si ricordassero di essere genitori e ad un tratto sentissero il dovere di interessarsi dei loro figliuoli.

— Ma come? io credevo! io pensavo! io non sapevo nulla!

Verrebbe voglia allora di dare una lavata di testa anche ai signori padri e alle signore madri, che di solito quando hanno iscritto il loro figliuolo in un istituto d’istruzione, credono di avere assolto il loro compito, si danno una fregatina di mani e una scrollatina di spalle, come a dire: È fatta!

E mantengono le loro parole e credono che non ci sia più niente da fare, e non si lasciano più vedere nè dal preside nè dagli insegnanti, e non si curano di pagelle, di avvisi, di assenze, di lavori scolastici; se ne vanno innanzi crogiolandosi in una stupida fiducia che la scuola faccia tutto, quella scuola, a cui del resto non risparmiano critiche e biasimi anche violenti, quando stanno centellinando la birra o il vermouth al caffè.

Quando poi viene la fine di giugno, e lo scrutinio o gli esami danno ad ognuno il suo, allora, apriti cielo! Si grida all’ingiustizia, alla troppa severità; si ricorre a tutti i mezzi leciti e illeciti per far pressione sull’a. nimo dei giudici: si va a far visita al professore, che prima d’allora non s’era avuto cura di conoscere neppur di vista; si conducono seco, per impietosire e ammollire il cuore del cerbero anche le figliuole, e quando l’onesto insegnante risponde: Non posso e, se anche potessi, non vorrei! — allora è uno scoppio di lagrime: piangono le mamme, piangono le figliuole, tutti; gli occhi velati di lagrime diventano più affascinanti ancora, ma il non posso resta.

È mirabile poi vedere come la fantasia di codesti genitori, che non si ricordano della scuola se non quando hanno un figliuolo bocciato, sia feconda di invenzioni e, diciam pure la parola, di menzogne spesso sfrontate.

Io, per conto mio, sono tutt’altro che il terrore del mio istituto, e i miei allievi sanno che ho le maniche più larghe di quelle dei frati benedettini; pure, alla fine di giugno o ai primi di luglio ho normalmente una diecina di visite da parte di genitori, che non ho mai conosciuto neppur di vista in tutto l’anno; poichè di dieci rimandati, nove almeno — vedi caso! solitamente appartengono a famiglie che della scuola non si curano affatto.

Or bene codeste visite e relativi colloqui sono quanto mai interessanti ed istruttivi, non dico piacevoli.

Si presenta una mamma con relativa figliuola biancovestita e leggermente scollata.

— S’accomodino, prego.

Le signore passano in sala.

— In che cosa posso servire? — (Oh Don Rodrigo!).

— Ecco, scusi; noi siamo la mamma e la sorella del suo allievo Crapiotti.

— Ah! bene... cioè male! È andato proprio male! Deve studiare di più, molto di più.

La mamma sospira: la signorina ha già due lucciconi agli occhi.

— Ma proprio? Ma come ha fatto? Ma se è tanto bravo e studioso! Vedesse come studia!

— (Il professore nicchia).

— Io stessa lo aiuto nel fare i lavori — aggiunge la signorina con voce flautata.

— Me ne duole, ribatte il professore; vuol dire che trae tanto profitto dai suoi aiuti quanto dalle mie lezioni.

— L’altra notte è stato sempre a tavolino: saranno quindici giorni che fa questa vita.

— Troppo tardi! Durante tutto l’anno non ha mai fatto nulla. È stato assente per molto tempo anche da scuola.

— Come assente?

— Sicuro: un mese intero!

— Ma noi non la sapevamo!

— Male! La Presidenza avverte le famiglie di ogni assenza.

— Noi non abbiamo mai ricevuto nulla.

— Vuol dire che il giovane intercettava le cartoline d’avviso.

— Impossibile!

— Possibilissimo!

— Ma noi non sapevamo....

— E perchè non dare di tanto in tanto una capatina all’istituto, informarsi della condotta e del profitto del giovane, porsi a contatto, per cosi dire, con la vita del giovane? Allora avrebbero saputo e provveduto.

— Ma adesso lei rovina quel povero giovine!

— Io rovino? Ma cara signora, lui si rovina, o se vuol meglio, lei, loro lo hanno rovinato. E poi... e poi... rovinare è parola molto grossa....

— Sicuro, aveva già un posto pronto in una grande Casa di Milano....

— Ebbene; avrà la sua licenza a ottobre e allora occuperà il suo posto.

— Troppo tardi: pensi quanti aspiranti. A ottobre il posto sarà già occupato. Sia buono....

— Ebbene....

— Ebbene...? — ripete la signorina con la voce più morbida e insinuante di cui disponga.

— Ebbene: io non posso mutar nulla di ciò che è fatto, per la semplice ragione che è stato fatto con giustizia....

— Ah! — (la mamma).

— (La signorina scoppia in un pianto convulso).

— Però....

— Però (gli occhi bagnati di pianto si levano ansiosi).

[p. 317 modifica]— Però io sono disposto a fare quanto sta in me, personalmente, per rendere meno grave la condizione dell’allievo.

— L’ho detto io che lei era molto buono.

— Per esempio, potrei scrivere io stesso a quella grande Casa di Milano, pregando di tener libero il posto, garantendo per il giovane, se egli mi garantisce di studiare nei tre mesi di vacanza.

(Movimento di sorpresa nelle due donne).

— Questo io posso fare e questo farò volentieri, poichè gli allievi sono per me dei figliuoli. Mi diano l’indirizzo della Casa... e io spero....

— (Le due donne si scambiano uno sguardo significativo. Silenzio; poi): Ma non è proprio possibile mutare il voto?

— (Il professore, che ha visto sfumare nelle nuvole della fantasia la grande Casa di Milano): Non è possibile.

— Ci lasci qualche speranza....

— Mezza soltanto (aggiunge la signorina).

— Non posso.

E così se ne vanno; e il professore ride di sè per aver offerto con ingenua generosità la sua opera... presso quella grande Casa, di cui sopra.

Proprio vero che non si è mai furbi abbastanza!

E le visite continuano e si ripetono, e l’umanità si mostra sempre più varia ed acuta nel trovar modo di nascondere le proprie mancanze e di ottenere il maggiore profitto col minimo sforzo possibile.

Ma la conclusione che se ne può trarre e se ne trae è una sola: che tra la fainiglia e la scuola se non c’è vera e propria guerra, c’è almeno mancanza di simpatia e di reciproca conoscenza. La scuola, per la famiglia, non è che una fabbrica di diplomi, e però la famiglia in generale non se ne interessa che in quei momenti, nei quali la conquista dello sperato diploma si avvicina o s’allontana: nei momenti cioè degli esami.

A questo modo l’insegnante è un brav’uomo se promuove; è un cane se rimanda; che il giovane sappia non sappia, non importa proprio nulla; l’importante è che sia promosso e, al più presto, licenziato. Da ciò la scuola patisce grave danno, e con la scuola la cultura, la serietà, l’onestà delle nuove generazioni d’Italia.

Si è a lungo parlato e si parla da molti, competenti no, delle misere condizioni dell’istruzione pubblica nel nostro paese, e si avvisano mezzi vari e diversi per rimediare e riparare. Ma una vera e propria riforma radicale dovrebbe aver suo primo fondamento in una stretta e feconda unione tra scuola e famiglia. Anzi oso dire che senza tale unione ogni riforma interna ed esterna sarà vana o quasi.

Giustamente il ministro Credaro, in una circolare pubblicata nel decorso anno scolastico, consigliava la costituzione di Comitati di padri di famiglia presso i singoli istituti d’istruzione, con l’ufficio di collaborare coi presidi e gli insegnanti nel dirigere ed educare l’animo dei giovani, nell’avvisare i mezzi migliori per ottenere lo scopo comune. E di codesti Comitati avremo forse occasione di parlare altra volta più a lungo.

Intanto parecchi ne furono fondati in diverse città d’Italia; in altre si fecero tentativi con buono o cattivo esito; ma quasi ovunque si trovarono opposizioni presso i padri di famiglia e presso i professori. Questi gridarono, anche sui giornali di classe e nelle deliberazioni delle sezioni, che i Comitati di padri di famiglia invadevano il campo degli insegnanti e costituivano come un inopportuno, non necessario e umiliante controllo sulla loro opera; i padri o non capirono nulla di nulla, o trovarono incomodo e grave addossarsi nuovi uffici e nuove responsabilità e vollero davvero oltrepassare i confini loro imposti e accamparono pretese ingiustificate e vollero entrare in campi ad essi naturalmente contesi.

Potremo, come ho detto, tornare su questo argomento studiare il come e il perchè la costituzione di simili comitati in Italia è stata tanto combattuta, mentre essi fioriscono in Francia, in Olanda, e altrove, mentre anzi in proposito c’è tutta una letteratura a portata di mano. Per ora ci basta di aver richiamato l’attenzione dei lettori sulla assoluta necessità, che tra scuola e famiglia si stringano più stretti i rapporti, anzi veramente si stabiliscano dei rapporti morali, perchè ora tra di esse non c’è che il rapporto molto poco morale del pagamento delle tasse, se non si vuol contare quell’altro, anche meno morale, delle visite ai professori nel periodo critico degli esami.

A proposito di esami, non è vero, per chiudere, che siano sempre noiosi e stucchevoli; talvolta ci si fa buon sangue. Uno dei temi ministeriali d’italiano per gl’istituti tecnici riguardava le lodi da darsi agli eroi del nuoto, del volo, ecc. e quelle da darsi al vecchio scienziato, che scopre i veri, ecc., ecc.

Ed ecco un candidato, che per commuovere l’animo del lettore a reverente pietà pel vecchio scienziato me lo fa stare «immobile al tavolino per giorni, mesi ed anni». Poveretto! Fa compassione davvero! È un caso straordinario e interessante di atassia locomotrice! E quanta acqua di Montecatini dovrà poi bere il vecchio scienziato per riparare ai mali efietti di una vita così tenacemente sedentaria!

Ma non ridiamo troppo: quel candidato si ebbe una solenne bocciatura e non è generoso ridere del vinto: parce sepulto!

Fortunato Rizzi.




Un Educatorio modello


«Lo spirito di famiglia se ne va, la donna oggidì non è più per la famiglia, essa esercita altrove compiti nuovi e quindi non è più la donna forte che edifica la sua casa...». Questo lamento generale sarebbe addirittura scoraggiante se per grande sventura avesse esulato dall’età nostra anche lo spirito cristiano. Ma come in tempi barbari si dovette a questo spirito la conservazione del fuoco sacro delle scienze e delle arti, così all’epoca attuale, paganeggiante nelle idee e nei costumi, è ancora lo spirito del Cristianesimo, sempre vivo nella Chiesa, che, serbando alla donna il posto dignitoso a cui l’ha elevata, la mantiene regina della casa e della casa l’ornamento e il sostegno.

[p. 318 modifica]Questo spirito di vera sapienza, questa fiamma che illumina e riscalda è nell’educazione cristiana che si imparte nei nostri sani Educandati, dove la fanciulla nello svolgimento e nel giusto equilibrio delle belle doti che le sono proprie, riceve i mezzi atti al governo intelligente ed amoroso dell’ambito regno che le spetta.

Tra questi focolari d’un’educazione femminile, che teorie sbagliate vorrebbero oggidì proscritta come antiquata, o per lo meno inutile e meschina, vogliamo indicare alle nostre buone Lettrici un Educatorio modello, molte delle quali, anche ignorandolo, ne avranno forse ammirato di recente la mole grandiosa.

Chi visita l’Esposizione internazionale di Torino, attraversando il Ponte Monumentale sul Po, è deliziosamente attratto a soffermarsi alquanto per vagheggiare la bella collina torinese che digrada insensibilmente sino al fiume. Prospiciente il ponte, a circa duecento metri sul pendio verdeggiante, colpisce lo sguardo del visitatore un magnifico fabbricato a cinque piani, dall’aspetto maestoso, dall’architettura elegante e sobria, bello per semplicità e grazia di ornati e per le ampie terrazze, circondato da alte piante e da fiori. È l’Educatorio delle Suore di San Giuseppe.

La posizione non potrebbe essere più splendida, più panoramica: nello sfondo azzurrino del lontano orizzonte la catena nevosa delle Alpi, al piano la città industre e cortese colla sua campagna feconda, ai lati le ombre silenti della collina infiorata da ville e villini.... La costruzione, appositamente ideata e condotta a termine dall’Ingegnere Migliore, che vi introdusse tutti i migliori perfezionamenti, studiati anche all’estero in analoghi Istituti, risponde perfettamente a tutte le moderne esigenze, sia riguardo alle comodità come all’igiene e alle necessità scolastiche. Un ampio corridoio corre da un capo all’altro dell’edifizio a tutti i piani, compreso il pian terreno, e da quello si accede alla divota Cappella, al bel Teatrino, alle grandi terrazze e alla veranda, alla Palestra ginnastica, ai bene aereati Dormitorii, ai Refettorii, alle Scuole, alle stanze dei Bagni, all’Infermeria, questa quasi isolata dal resto del fabbricato. Il riscaldamento è tutto a termosifone; l’illuminazione a gaz e luce elettrica; i fornelli sono a gaz.

Abbiamo visitato minutamente questo bell’Istituto moderno, e l’impressione che lasciò in noi ci fa augurare ardentemente che molte madri continuino ad affidare le loro figliuole alle benemerite Suore, che tanto amore e tanto zelo adoprano per agevolare alle giovinette acquisto della virtù e del sapere, riuscendo a farne veramente delle donne elette e delle intelligenti e ottime madri di famiglia.

Perchè l’istruzione accurata ed ampia che ricevono in quest’Educatorio modello — istruzione che comprende i Corsi elementari, Complementari e Tecnici, due Corsi di coltura generale, dove la fanciulla può scegliere tra le Scienze, le Lingue e le Arti in cui ama perfezionarsi, (francese, inglese, tedesco, spagnuolo, disegno, pittura, pianoforte, mandolino, violino) — non è disgiunta da Nozioni di Economia domestica (teorica e pratica); ed è con vera compiacenza che abbiamo ammirato la tenuta ordinata delle guardarobe, la scuola di taglio, la sala di stiratura e smacchiatura, e finalmente la bella cucina scuola dove le giovanette educande imparano a preparare colle loro mani un buon pranzo, a fare delle economiche conserve e a rendersi conto dell’azienda famigliare. Giovinette così istruite non v’ha dubbio che sapranno all’occasione operare e comandare dal salotto alla dispensa da vere regine nella propria casa.

Nè, non avendone ancora parlato, intendiamo dare il secondo posto all’educazione, che anzi primeggia come base, distinta e solida, profondamente cristiana, nell’Educatorio San Giuseppe.

Che se mai alcuna delle sue Alunne venne ritenuta agli esami di Licenza in Istituti governativi, prova dei buoni studi fatti, le modeste signorine, le ottime spose, le esemplari madri di famiglia sono la migliore testimonianza della forte educazione ivi ricevuta.

Le nostre gentili lettrici potranno avere più ampie nozioni dell’Istituto che raccomandiamo alla loro scelta, domandando il Programma direttamente all’:

Educatorio delle Suore di S. Giuseppe, Strada di S. Vito — N. 34. TORINO.

Giuseppina del Carretto.



Storia breve di un’anima penitente


(Continuazione, vedi n. 39).

Fra Giunta Bevignati di Cortona, dell’ordine dei Minori, fu una di queste anime. Uscito da nob. famiglia Cortonese, di vivido ingegno e di cuore grande, egli aveva buttato in faccia al mondo, che gli apriva sorridente le braccia nei più lusinghevoli inviti, la mantellina, e la spada di cavaliere, e dal fiore della società era passato al saio e al cilizio dei figli di S. Francesco. In Religione i suoi progressi in virtù e la sua dottrina gli avevano guadagnato l’ammirazione e la stima dell’Ordine. Quando Iddio gli condusse Margherita, aveva trentacinque anni, dieci più di lei. Egli fu delegato a questo nobilissimo e difficile ufficio da fra Giovanni da Castiglione, suo superiore, dai consigli del quale doveva egli stesso dipendere per volontà del Signore. La nostra santa gli si aperse, gli si abbandonò completamente nella vita spirituale vedendo in lui la mano di Cristo che la guidava; e la penitenza ebbe sempre in lei il merito della ubbidienza.

Quale penitenza! Dopo la prima confessione, la sua anima era già tutta mutata per la contrizione che sa disti uggere ed edificare in un baleno. Ella diresse i colpi al suo corpo: un po’ di pane e di acqua le parevano troppo; sotto la fune che le stringeva ai fianchi una povera veste, il cilicio le entrava nelle carni; delicatissima, la si vedeva certe v.:Ite ondeggiare nel passo per. chè le piaghe riaperte la martoriavano. Di noe, quando il lungo stare in ginocchio la opprimeva, si permetteva un po’ di riposo sul pavimento; i respiri calmi, lunghi del figlio che dormiva, le mettevano non so qual bisogno di più acre penitenza. Voleva patire, patire, per [p. 319 modifica]rinnovare sè stessa e farsi dimenticare da lui. O madri voi sole potete capire queste cose. Egli no, no, non doveva soffrire, ma lei!

Un giorno la memoria delle sue vanità la fece tanto inorridire che decise un colpo eroico contro se stessa e lo compì: apparve per la via a capo rasato; le sue treccie, piene un dì di fiori e di sospiri, furono trovate tra la spazzatura. Non contenta, diede mano alle funi e alle catenelle e, se la forza di chi la dirigeva non si fosse imposta, ella avi ebbe presto finita la sua giovinezza. Ma ella voleva abbattere, abbattere; il suo cuore. era inquieto perchè la sua avvenenza non voleva andarsene, anzi cresceva con l’ingrandirsi degli occhi per la penitenza, col diafano del suo volto che si faceva scarno; ella prendeva quella bellezza dei Santi che non solo mette l’ammirazione in chi la guarda, ma fa congiungere le mani. Un altro giorno si sentì obbligata in coscienza a manifestare al suo direttore un divisamento col quale voleva troncare ogni possibilità di piacere: voleva asportarsi completamente le labbra e il naso e diventare mostruosa! Quali vie intime, segrete, quali eroismi di santità per arrivare a questo punto!

Ma poichè l’ubbidienza la frenava nella sua guerra sanguinaria al corpo, pensò di ottenere almeno l’umiliazione del disprezzo. Da Cortona a Montepulciano corrono venti miglia di campi e di boschi. Ella li voleva fare con una corda al collo, in cerca di tutti i passeggeri per dir loro che la insultassero e la calpestassero essendo ella stata una perduta ed essendo una indegna. Non glie lo si concede; ma ottiene finalmente di tornare in un dì di festa, nell’ora della Messa, nella chiesina affollata di Laviano per fare la sua confessione pubblica.

Ella non poteva tacere le sue colpe, perchè non si può lasciarsi credere ciò che non si è. Fecero così Davide, la Maddalena, la Samaritana, Agostino, fanno così ancora certi poveri cuori, i quali almeno a un’amico dicono tutto, gli svelano tutto, perchè non li creda più buoni, perchè almeno da qualcuno si sentano disprezzati, se pure si potrà ottenere il disprezzo. Ah martirio di chi cerca umiliazione e trova ammirazione!

Chiese, le fu soggiornato e poi ottenne di essere terziaria. In quell’abito almeno, in quella regola, le parve seppellirsi quale penitente. Ella continuerà nascostamente a martoriarsi; d’ora innanzi ella sarà pubblica. mente tutta carità.

Il bisogno di effondersi nella carità è pei convertiti una vera necessità del cuore. Rifatti in se stessi con la penitenza, vogliono rifarsi nella società. Ritorna la ragione che abbiam detto in principio: il peccatore non ha demolito solamente sè stesso; ha ferito per quanto stava in sè tutta l’opera di Dio. Mentre del gran corpo della Chiesa, vi aveva sottratto col proprio egoismo e con le proprie passioni qualche cosa che gli doveva e che sarebbe cresciuto col passare degli anni, nella conversione sente il bisogno di fare ciò che non aveva fatto e di supplire con l’intensità un lungo tempo perduto.

Ancora una volta: il suo cuore è santamente inquieto. Ma che cosa doveva fare ancora quella povera madre? Alle ricchezze del peccato aveva completamente rinunciato: era finito ogni diritto in questo riguardo per lei e le sarebbe stato troppo rimorso e cosa impossibile al suo cuore, avere anche un solo oggetto che le ricordasse le sue offese al Signore. Nemmeno la camera che occupava e il mobilio erano suoi, nemmeno le vesti.

Oh ma lasciate fare al genio e al cuore dei santi.

Intanto ella trovò che quella camera in casa Moscari aveva troppi agi per lei. La nobilissima anima delle sue ospiti trionfava certe volte nella loro lotta contro la sua penitenza. Ella riceveva delicatezze che, diceva, bisognava dare ad altri; le incontrava qualche volta nei cortili, su gli scaloni e si tradivano nel loro affetto e nella loro venerazione per lei. Per quanto la sua persona fosse stretta da quella penitenza di cui abbiamo notato qualche cosa, alla sua mente non isfuggiva che in quella casa ella era considerata regina.

Pregò allora le si dasse una cella rustica, fuori del palazzo e non la si guardasse più. Ella avrebbe lavorato, e un po’ di pane l’avrebbe ottenuto per sè e per il figlio. Si dovette accontentarla.

È la sua entrata in questa seconda cella, che segna per lei un nuovo grado di ascensione nella santità. È qui dove passerà tredici anni come ne passò nove nella prima. Raccolta in un angolo, dopo le preghiere, lavorava tutto il dì pel figlio e per sè; e di notte pei poveri. Ah madri del popolo cortonese, che aveste la felicità di vestire i vostri bambini con le reliquie uscite da quelle mani sante e bagnate delle sue lagrime!

Per un pensiero delicato di riparazione, che è facile capire, si mise a disposizione delle puerpere. Ella amava ribattezzare i neonati nelle sue lagrime! Chiamata anche nelle case nobili e profumando così di santità le sorgenti della vita, ne riceveva compensi che ella mutava in pane pei poveri.

Verso la sua povera cella, in certe ore del giorno si vedeva avviarsi la processione dei miserabili della città per ripartirne sfamati e divinamente confortati. Cortona osservava e si inteneriva; e più d’una volta il popolo si accalcò in folla presso quella tenda vittoriosa della carità e gridò, gridò gli evviva e mandò baci e gettò fiori appagando un bisogno ardente del proprio cuore e facendo crescere il tormento di quello di lei.

Sì, perchè ella era per istrapparsi le viscere pei poveri e più i poveri crescevano e più il momento dell’eroismo si avvicinava. Finalmente venne.

Suo figlio non poteva più stare con lei. Ella più che sua era dei poveri, egli più che suo doveva essere di Dio. Aveva 12 anni, o madri, quel fanciullo di santa! l’età per voi, degli incanti perchè allora siete capite e riamate non con l’affetto egoistico del bambino, sebbene non ancora con l’intensità del giovane ma con una vena ingenua e devota, con un fervore di attaccamento proporzionato ai misteri primi della vita che ai vostri figli si presentano in quella età e nei quali essi entrano tenendovi per mano e più spesso stringendosi ancora al vostro seno.

Ella gli aperse la porta in quella età. Un’ultima stretta, uno sguardo lungo, e le sue ospiti lo portarono via per collocarlo in Arezzo.

[p. 320 modifica]Da quel dì i poveri di Cortona presero a chiamarla: la nostra madre. I poveri pel cristiano, e molto più per i santi, non sono che una figura viva di Gesù Cristò. Per Cristo ella aveva sacrificato il figlio suo, avendolo sacrificato pei poveri.

Libera cosi, mutò la sua cella in deposito di grano di farina pei figli suoi. Oh le madri si accontentano bene anche di un angolo oscuro della casa per un sorriso, per una gioia dei loro figli.

Un giorno che aveva dato tutto e la cella era vuota, senti bussare alla porta; era un infelice padre di famiglia che cercava pe’ suoi bambini. Senti spezzarsi il cuore, guardò in giro; le pareti non avevano un oggetto; richiuse la porta, si tolse la veste e la gettò al mendicante dalla finestra, avvolgendosi nella stuoia, unica coperta e materasso del suo giacilio.

Quando comparve vestita così qualche ora dopo, presentò certamente al mondo uno de’ più bei ritratti che possano accogliere i musei di santità. Emula di S. Elisabetta d’Ungheria che con una di quelle arditezze divine permesse ai santi, aveva fatto adagiare nel letto del Duca suo marito un lebbroso impiagato e là vi tra rimasta una imagine luminosa di Gesù Crocifisso, la nostra Santa rifletteva Cristo dal suo sguardo e le anime grandi guardando quel suo strano vestito ne riconobbero e ne riconoscono il più fulgido mantello di gloria. Nessun abito di terziaria fu meglio sostituito di così e S. Francesco potè bene compiacersi di Lei.

(Continua).

Can. Pietro Gorla.




La NONNA è un capolavoro di una freschezza e di una originalità assoluta.