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316 il buon cuore

ESAMI, SCUOLA E FAMIGLIA

Ricordi di un professore in vacanza

Tutti gli anni sempre le stesse scene: quando viene il tempo degli esami, le famiglie strillano, gli allievi piangono; e strilli e pianti prendono di mira il professore, lo perseguitano per le vie, nei caffè, in casa.

E allora fa davvero maraviglia vedere padri e madri cascar dalle nuvole nell’udire che i loro figliuoli non eccellono davvero nè per diligenza nè per buona volontà, che talvolta anzi, o spesso, hanno marinata la scuola, e via dicendo. Padri e madri cascano dalle nuvole, come se soltanto in quel momento si ricordassero di essere genitori e ad un tratto sentissero il dovere di interessarsi dei loro figliuoli.

— Ma come? io credevo! io pensavo! io non sapevo nulla!

Verrebbe voglia allora di dare una lavata di testa anche ai signori padri e alle signore madri, che di solito quando hanno iscritto il loro figliuolo in un istituto d’istruzione, credono di avere assolto il loro compito, si danno una fregatina di mani e una scrollatina di spalle, come a dire: È fatta!

E mantengono le loro parole e credono che non ci sia più niente da fare, e non si lasciano più vedere nè dal preside nè dagli insegnanti, e non si curano di pagelle, di avvisi, di assenze, di lavori scolastici; se ne vanno innanzi crogiolandosi in una stupida fiducia che la scuola faccia tutto, quella scuola, a cui del resto non risparmiano critiche e biasimi anche violenti, quando stanno centellinando la birra o il vermouth al caffè.

Quando poi viene la fine di giugno, e lo scrutinio o gli esami danno ad ognuno il suo, allora, apriti cielo! Si grida all’ingiustizia, alla troppa severità; si ricorre a tutti i mezzi leciti e illeciti per far pressione sull’a. nimo dei giudici: si va a far visita al professore, che prima d’allora non s’era avuto cura di conoscere neppur di vista; si conducono seco, per impietosire e ammollire il cuore del cerbero anche le figliuole, e quando l’onesto insegnante risponde: Non posso e, se anche potessi, non vorrei! — allora è uno scoppio di lagrime: piangono le mamme, piangono le figliuole, tutti; gli occhi velati di lagrime diventano più affascinanti ancora, ma il non posso resta.

È mirabile poi vedere come la fantasia di codesti genitori, che non si ricordano della scuola se non quando hanno un figliuolo bocciato, sia feconda di invenzioni e, diciam pure la parola, di menzogne spesso sfrontate.

Io, per conto mio, sono tutt’altro che il terrore del mio istituto, e i miei allievi sanno che ho le maniche più larghe di quelle dei frati benedettini; pure, alla fine di giugno o ai primi di luglio ho normalmente una diecina di visite da parte di genitori, che non ho mai conosciuto neppur di vista in tutto l’anno; poichè di dieci rimandati, nove almeno — vedi caso! solitamente appartengono a famiglie che della scuola non si curano affatto.

Or bene codeste visite e relativi colloqui sono quanto mai interessanti ed istruttivi, non dico piacevoli.

Si presenta una mamma con relativa figliuola biancovestita e leggermente scollata.

— S’accomodino, prego.

Le signore passano in sala.

— In che cosa posso servire? — (Oh Don Rodrigo!).

— Ecco, scusi; noi siamo la mamma e la sorella del suo allievo Crapiotti.

— Ah! bene... cioè male! È andato proprio male! Deve studiare di più, molto di più.

La mamma sospira: la signorina ha già due lucciconi agli occhi.

— Ma proprio? Ma come ha fatto? Ma se è tanto bravo e studioso! Vedesse come studia!

— (Il professore nicchia).

— Io stessa lo aiuto nel fare i lavori — aggiunge la signorina con voce flautata.

— Me ne duole, ribatte il professore; vuol dire che trae tanto profitto dai suoi aiuti quanto dalle mie lezioni.

— L’altra notte è stato sempre a tavolino: saranno quindici giorni che fa questa vita.

— Troppo tardi! Durante tutto l’anno non ha mai fatto nulla. È stato assente per molto tempo anche da scuola.

— Come assente?

— Sicuro: un mese intero!

— Ma noi non la sapevamo!

— Male! La Presidenza avverte le famiglie di ogni assenza.

— Noi non abbiamo mai ricevuto nulla.

— Vuol dire che il giovane intercettava le cartoline d’avviso.

— Impossibile!

— Possibilissimo!

— Ma noi non sapevamo....

— E perchè non dare di tanto in tanto una capatina all’istituto, informarsi della condotta e del profitto del giovane, porsi a contatto, per cosi dire, con la vita del giovane? Allora avrebbero saputo e provveduto.

— Ma adesso lei rovina quel povero giovine!

— Io rovino? Ma cara signora, lui si rovina, o se vuol meglio, lei, loro lo hanno rovinato. E poi... e poi... rovinare è parola molto grossa....

— Sicuro, aveva già un posto pronto in una grande Casa di Milano....

— Ebbene; avrà la sua licenza a ottobre e allora occuperà il suo posto.

— Troppo tardi: pensi quanti aspiranti. A ottobre il posto sarà già occupato. Sia buono....

— Ebbene....

— Ebbene...? — ripete la signorina con la voce più morbida e insinuante di cui disponga.

— Ebbene: io non posso mutar nulla di ciò che è fatto, per la semplice ragione che è stato fatto con giustizia....

— Ah! — (la mamma).

— (La signorina scoppia in un pianto convulso).

— Però....

— Però (gli occhi bagnati di pianto si levano ansiosi).