Il bacio di Lesbia/XVII
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XVII
LA FASTIDIOSA TERENZIA
Uno disse:
— Spergiuro Clodio, nequitoso Clodio!
Altri diceva:
— Nelle elezioni ha corrotto il popolo col danaro! Ha violato molte matrone!
Altri disse:
— Usò con le sorelle già maritate! Ha tradito Roma d’accordo con gli emissari di Mitridate.
Catone, commosso, abbracciava Cicerone.
Fuor della Curia, il popolo levava alti i pugnali.
Perché Cicerone fece cosi?
Egli era in tollerabili rapporti con Clodio, un po’ per via di Clodia, e un po’ perché Cicerone, uomo giusto quale era, aveva si combattuto contro la demagogia di Catilina, ma non si nascondeva i difetti dell’oligarchia. Metello Celere, marito di Clodia, da uomo d’ordine quale era, gli era stato suo alleato nella lotta contro Catilina. Perché dunque? Per amore della verità? Si diceva a quei tempi per motto: «Amico è Platone, ma più amica è la verità». E oggi si dice che si deve dir sempre la verità anche se è ingrata, anzi quando è ingrata! Ma quando l’uomo ne è comandato! Ora Cicerone non era stato comandato. E allora perché? Pensò Cicerone a quel che faceva?
Si rese conto Cicerone che per le sue benemerenze, per la sua reputazione di uomo giusto, l’unica sua testimonianza avrebbe annullato il motto giuridico che un solo testimonio non costituisce testimonianza?
La cagione di questa virtuosa imprudenza di Cicerone va ricercata in Terenzia sua moglie, la quale per comune testimonianza apparteneva al genere delle donne «morose».
Questa cosa sembra cosi inverosimile che per timore possa sembrare invenzione romanzesca ci sembra indispensabile confermarla con l’autorità di Plutarco. Il quale dice : « Sembra però che Cicerone testificasse ciò non già in grazia della verità, ma per giustificarsi presso la propria moglie Terenzia che era nemica di Clodio per cagione della sorella Clodia: la quale si credeva che cercasse per via di reciproci divorzii di sposarsi con Cicerone, e Cicerone andava spesso a trovare Qodia e ciò faceva nascere sospetto in Terenzia, la quale essendo donna di indole malagevole e avendo dominio sopra Cicerone, lo incitò a testimoniare contro Clodio».
Così «morosa» ella era, che il buon Tirone diceva: «Tu, Marco Tullio, che hai domato Catilina, non puoi domare Terenzia».
Negheremo noi fede al grande Plutarco?
Noi abbiamo rispetto per i morti, tanto se furono belli come Clodia o meno belli come Terenzia.
Terenzia era fastidiosa, ma anche Cicerone non era grazioso verso la signora.
Non che fosse in lui alcuna intenzione di malignità, ma per una specie di ricreazione dello spirito si compiaceva di certe acutezze che avrebbe fatto molto meglio tenersi per sé. Dopo aver spiegato in Senato oppure dai rostri quelle sue gravi orazioni, sentiva un sollievo nello spogliarsi di quel manto: e o scriveva a Attico, o diceva lepidezze a Terenzia.
Lo spirito gli veniva fuori da tutti i pori: al punto di ammettere che Giulio Cesare era l’uomo più spiritoso che fosse in Roma.
Ma lo spirito di Cicerone era il più delle volte intollerabile a Terenzia.
Egli era capace di dire con pacatezza: — Sorvegliatevi, Terenzia : cosi non va bene; la bocca vi si deforma, il collo vi si fa turgido, il respiro non arriva alla clausola del vostro periodo: il vostro gestire è incomposto.
— Io griderò dai tetti! — gridava Terenzia.
Terenzia non poteva soffrire Clodia.
— Bella? Spudorata! Tutta tinta, fin le unghie! Intelligente? Ruba tutto quello che sente dire da quei poetini della malora, che si tira dietro come fanno le cagne in calore. E voi, Marco Tullio, vecchione coi figli già grandi, siete il più vergognoso di tutti: siete il cagnolino di Clodia!
Cicerone rispondeva soavemente:
— Voi, Terenzia, scusate, certe cose non le potete comprendere. Si tratta di idee platoniche, di idee orfiche, di idee pitagoriche.
Terenzia gli piantava in faccia due occhi terribili; e lui imperterrito continuava:
— Sappiate, o Terenzia, che esiste l’amore naturale o volgare, che dir vogliate, e l’amore celeste cosi come esistono due Veneri: la Venere terrestre e la Venere celeste. Niente di impuro è nell’amore celeste, e nessun sozzo e vituperevole desiderio è in coloro che guardano alla bellezza corporale, essendo questa un riflesso tamquam, in speculo della bellezza angelicale.
E da questa bellezza, risalendo sempre più in su, si perviene al primo fonte di ogni bellezza, che è il Dio. Questo amore celeste, secondo scrive Platone, non va oltre al bacio; che è il modo per cui le due anime si confondono in un’anima sola; e un santo re dell’Oriente lo conferma quando scrive: «Bàciami coi baci della tua bocca». E questo bacio, in lingua orientale o caldea, si chiama «bacio della morte».
— Ah, possi mori di mala morte, te, Plutone e quella mala femina! —, diceva Terenzia.
Non sempre Cicerone riusciva a dare compimento alle sue spiegazioni.
Per questa gelosia di Terenzia verso Clodia, la vita domestica era diventata intollerabile, ed è peccato che Tirone non ci abbia lasciato un memoriale su la vita intima del suo signore.
Da questo esempio, qui riferito, non si deve credere che Cicerone stimolasse di continuo sua moglie, ma cosi, qualche volta: anzi si era fatto timoroso come stuzzicare una serpe. Era lei, Terenzia, che assaliva lui. Ferito nelle cose pubbliche, assalito nelle cose private, Cicerone era infelice.
Grande era l’amicizia fra Cicerone e Catone. Un giorno che il grande oratore non ne poteva più, disse a Catone:
— Ma come devo fare con Terenzia?
— Fa come ho fatto io con Màrzia mia.
— Come hai fatto tu con Màrzia tua?
E Catone rispose:
Il mio amico Ortensio desiderava avere discendenza, e io sapendo che Màrzia era buona produttrice, gliela ho ceduta per qualche tempo.
Cicerone si passò la mano su la fronte, dolorosamente.
— Tu caro amico —, diceva Catone —, sei avvolto nell’omento bianco del sentimento. Ciò va bene per i fegatini di porco su lo spiedo.
E realmente Cicerone era un’anima sensibile, e il fascino per Clodia non gli toglieva di amare Terenzia; e quel duro uomo di Catone andava dicendo in Senato che Marco Tullio voleva divorziare da Terenzia, e poi Clodia avrebbe divorziato dal buon Metello, e Clodia e Cicerone si sarebbero sposati.
Tutte ciarle senza fondamento: ma si sa: anche nel Senato romano non sempre si parlava o di Brenno o di Pirro, o di Annibaie.
C’erano poi di mezzo i figliuoli!
Il figliuolo Marco era andato a studiare, o per dir meglio, il babbo lo aveva mandato all’Università di Atene dandogli per viatico il libro dei Doveri che comincia: «quamquam tu, Marce fili»; ma la figlia Tulliola era rimasta in casa, ed era tutto il bene di lui. Creaturina delicata e sensibile come papà, amava tanto il babbo quanto la mamma, e mai li avrebbe voluti divisi. Se ne risentiva di questi dissidii, era palliduccia e dimagrava invece di fiorire.
Accadde in questo tempo quel grande processo contro Clodio, e Terenzia disse al marito:
— Be’! La vuoi far finita?
— Volesse il Cielo! —, rispose Cicerone.
Terenzia disse:
— O Marco Tullio, uomo integro e puro soltanto nelle tue ciarle e nelle tue scritture, ecco venuto il momento per dimostrare che tu non ami quella donnaccia di Clodia. Va a deporre in Senato quello che fu veramente: che Clodio quel giorno del primo di maggio era in casa nostra.
Cicerone, che era sotto quella tortura, cosi aveva fatto.