Il Tesoro (Latini)/Illustrazioni al Libro III/Capitolo IV

Capitolo IV

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Brunetto Latini - Il Tesoro (XIII secolo)
Traduzione dalla lingua d'oïl di Bono Giamboni (XIII secolo)
Capitolo IV
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Capitolo IV.


Brunetto dice: «Dentro le due parti d’ Africa che sono contate, è Cirene, di cui il conto fece menzione qui di sopra.» Ma di sopra non se ne parla. È forza conchiudere col Sorio, che sia una lacuna nel t, dove dice «Quivi si divide in due parti ecc.» dove non parla di Cirene, e dovrebbe parlarne secondo il [p. 89 modifica]brano di Solino, che traduce: Proinde extenta (Africa) in duas prominentias, quarum altera promontorium Candidum dicitur; alteram, quae est in Cyrenaica regione, Phiantem vocant — Ea per sinum Creticum opposita Cretae insulae intra Thenaron Laconiae excurrit arenis Cataloatmos Aegypto insinuata, cui proxima Cyrenensis extenditur — inter duas Syrtes, quas inaccessas undosum ac reciprocum mare afficit, cujus sali defectus vel incrementa haud promptum est deprehendere, ita incertis nutibus nunc in brevia rescinditur dorsuosa, nunc aestibus inundatur inquietis (cap. XL.)

Costumi dei Garamanti: «Garamantici Etiopes matrimonium privatim nesciunt, sed omnibus vulgo in venerem licet. Inde est quod filios, matres tantum recognoscunt. Nam paterni nominis nulla reverentia est. Quis enim verum patrem noverit in hac luxuria incesti lascivientis? Eapropter Garamantici Etiopes inter omnes populos degeneres habentur (Solinus, cap. XLIII).

Anima del mondo: «Sicut ergo in corporibus nostris commercia sunt spiritalia, ita in profundis oceani nares quasdam mundi constitutas, per quas emissi anhelitus vel reducti, modo inflant maria, modo revocant (Solinus, ibid.)»

Il maestro dice del mare: «E muta nome spesse fiate, secondo li luoghi dov’egli batte.» Il discepolo canta del vento, ripetendo la frase:

     Non è il mondan romore altro che un fiato
Di vento, che or vien quinci, ed or vien quindi,
E muta nome perchè muta lato.

                                                       (Purg. XI.)

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Il maestro insegna traducendo Solino, capitolo XXXVI. «L’uomo vede li marosi crescere e menimare secondo ’l crescere e menimare della luna di sette in sette dì.»

Dante ripete la sua lezione, applicandola satiricamente a Firenze:

E come il volger del ciel della luna
Copre e discopre i liti senza posa.

                                                       (Par. XVI).


Non fu l’Allighieri, come si è asserito, che primo avesse notato la corrispondenza fra il crescere e il decrescere della marea, e della luna. Seneca aveva scritto: Iam vero si quis observaverit nudari litora pelago in se recedente, eademque contra exiguum tempus operiri, credet coeca quadam volutatione modo contrahi undas, et introrsum agi, modo erumpere, et magno cursu repetere sedem suam: quum illae interim portionibus crescunt, et ad horam ac diem subeunt, ampliores minoresque prout illas lunare sidus elicuit, ad cujus arbitrium oceanus exundat (De Providentia, I.).

Dante nella Dissertazione De natura duorum elementorum aquae et terrae, nel § VII ripeteva ancora la dottrina del maestro: Aqua videtur maxime sequi motum lunae, ut patet in accessu et recessu maris: quum igitur orbis lunae sit excentricus, rationabile videtur quod aqua in sua sphaera excentricitatem imitetur orbis lunae, et per consequens sit excentrica etc. [p. 91 modifica]

Isacco Newton diede poi la dimostrazione filosofica del fenomeno.


Ancora sul Capitolo IV.


Brunetto applica a sproposito la sentenza di s. Paolo: Non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem. Basta leggere a suo luogo il testo dell’apostolo per toccare con mano, com’egli insegni sobrietà di sapere in argomenti di fede, o simili ad essi, e non di filosofia. In quelli aveva inculcato eziandio l'Allighieri, che certo non era retrogrado,

     Matto è chi spera, che nostra ragione
Possa trascorrer l’infinita via
Che tiene una sostanzia in tre persone.

     State contenti, umana gente, al quia;
Chè se potuto aveste veder tutto,
Mestier non era partorir Maria.

     E desiar vedeste senza frutto
Tai, che sarebbe lor desio quetato,
Ch’eternalmente è lor dato per lutto.

     Io dico d’Aristotele, e di Plato,
E di molt’altri; e qui chinò la fronte,
E più non disse, e rimase turbato.

                                                       (Purg. III.)

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Basta leggere ciò che dice di sè la personificata sapienza nella Bibbia (come in parte fu riferito illustrando la definizione che della sapienza offre il Tesoro), per essere persuasi come il pelago indefinito dello scibile sia aperto all’intelletto dell’uomo, per lo studio del quale più si accosta all’infinito Creatore e conservatore. Sentenziò già Bacone da Verulamio: La filosofia superficialmente attinta conduce alla miscredenza, e profondamente conosciuta riconduce alla religione.

La storia universale in ogni sua pagina dimostra coi fatti la verità di questa dottrina. Il grande velo di Iside non si solleva che a poco a poco, collo sforzo indefettibile delle umane generazioni.

Questo predicozzo inaspettato, che può dirsi e morale ed immorale secondo la discrezione colla quale ne compiacciamo di intenderlo, è rivolto, notisi bene, alle buone genti. Alle buone genti, che noi diremo due volte buone, avvegnachè la religione insegni a lodare il Creatore nelle sue creature, e per esse a lui farsi scala, come insegnava Platone, e ripeteva il Petrarca: avvegnachè il Creatore tanto sia lodato, quanto l’uomo progredisce nel più perfetto conoscimento di esse. I testi sacri qui riportati, non debbonsi interpretare nel senso del nostro Brunetto. Che Dio giel perdoni: e’ gli ha profanati.

Non dimentichiamo che Dante, oltre quello che in eguale proposito abbiamo altrove notato, rivolge questo predicozzo alla umana gente, per avventura ricordando le buone genti del maestro.