Il Re Enrico V/Atto quinto

Atto quinto

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William Shakespeare - Il Re Enrico V (1599)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto quinto
Atto quarto Nota
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ATTO QUINTO



Entra il Coro

Permettetemi, voi, che non conoscete la storia, che a gran tocchi io ve ne accenni gli avvenimenti: voi che la conoscete, perdona temi i miei errori di tempi e luoghi e l’obblio dei fatti, che espcr non si possono in tutta la loro veracità. — È verso Calais che va ora Enrico. Sostate un istante per mirarlo in quel porto e quindi trasportatelo sull’ala dei vostri pensieri traverso ai mari: arrestatevi a riguardare sulle prode d’Albione quella vasta folla d’uomini, di donne e di fanciulli, le di cui acclamazioni vincono la voce dell’Oceano, e l’Oceano che come un potente precursore del monarca sembra appianare i suoi flutti e preparargli la strada: mirate il re discendere in mezzo al suo popolo, e con pompa solenne avviarsi a Londra. Il pensiero va con sì rapido passo che seguirlo di già potete nella nera boscaglia di Blackheath. Là,i suoi lórdi gli chieggono di portare dinanzi a lui fino alla città il franto suo elmo, e la sua spada curvata nelle battaglie. Scevro di vanità e di orgoglio, ei non accetta tale onore, e rifiuta ogni mostra di gloria per attribuirla a Dio solo: ma animate ancora la forza operosa della vostra mente, e il laboratorio della vostra imaginativa per vedere con quale impeto Londra versa i torrenti de* suoi abitanti: eccovi il Lord governatore con tutti i suoi colleghi che escono dalle porte coi loro vestiti più splendidi, simili ai Senatori dell’antica Roma, cui seguono accalcandosi i plebei per andar a ricevere in trionfo il loro conquistatore Cesare: oppure con una fantasia meno grande, ma più bella per noi, presentatevi al pensiero il generale della nostra regina tornante oggi, come potrà tornare in tempi più lieti, dalle terre d’Irlanda, colla spada tinta nel sangue della ribellione domata1. Oh qual moltitudine immensa abbandonerebbe il seno pacifico di Londra per correre ad incontrarlo! Quanto maggiore è la folla che va incontro ad Enrico, tanto più grande è la sua vittoria. Ora fatelo entrare nel palazzo di Londra, dove l’umile lagno dei Francesi gementi invita il re d’Inghilterra a stabilire il suo seggio fra di loro; dove l’imperatore, mediatore illustre, viene a chieder pace per la Francia, e a dettarne le condizioni; percorrete tutti gli avvenimenti che si succedono fino al ritorno di Enrico nelle Gallie, e mostrato vi avrò quant’è passato. Permettete dunque che sopprima questo intervallo di tempo; e i vostri occhi, seguitando il volo delle vostre idee, riportino i loro sguardi sulla Francia dove tornar deve il re. (esce) [p. 363 modifica]

SCENA I.

Francia. — Un corpo di guardie inglesi.

Entrano Huellen e Gower.

Gow. In ciò avete ragione: ma perchè continuate a portare quel guanto al cappello? Il giorno di san Davy è passato.

Huell. Sonovi occasioni, cause e perchè in tutte le cose. Ora ve lo dirò da amico, capitano. Quel miserabile mendico, quel cianciatore Pistol, che voi e tutti sanno non valer meglio d’una pipa, è venuto a me ieri a portarmi pane e sale, e ciò in un luogo dove non potevo contendere seco. Ma io mi prenderò la libertà di tener questo guanto finchè mi abbatta in lui, e gli dirò poscia il mio avviso. (entra Pistol)

Gow. In verità, eccolo che viene, gonfio come un pallone.

Huell. Il suo gracidare non gli varrà nulla. — Dio vi assista, alfiere Pistol, empio, svergognato, miserabile.

Pist. Ah! sei tu, casa di matti? Vuoi forse, vil Troiano, ch’io squarci la fatai tela con cui la Parca ordisce la tua trama? Allontanati da me; quel tuo guanto mi mette di mala voglia.

Huell. Vi prego, di grazia, ribaldo, d’inghiottir questo guanto: appunto perchè non vi piace, vi prego di trangugiarlo.

Pist. No, pel Cielo! questo non farò.

Huell. Eccoti le tue fatiche. (lo percuote) Vorresti aver ora la bontà di mangiarlo?

Pist. Troiano infame, morirai.

Huell. Avete ragione, tapino; allorchè piacerà a Dio morirò: per ora vi prego di voler mangiare per vivere. Eccovi un po’ di condimento. (lo percuote di nuovo) M’avete chiamato ieri gentiluomo di montagna; ma oggi io abbasserò i vostri titoli.

Gow. Basta, capitano: lo avete intronato con questo colpo.

Huell. Dico che gli farò mangiare questo guanto, o che gli accarezzerò la testa quattro giorni di seguito. — Mangiate, ve ne prego; tal cibo vi farà bene.

Pist. Dovrò io mordere?

Huell. Sì, senza dubbio.

Pist. Orribilmente me ne vendicherò.

Huell. Mordete, ve ne prego. Forse non basta ancora il condimento?

Pist. Abbassate quel bastone; io mordo il guanto.

Huell. Vantaggioso ti riesca, insigne codardo. — Facile te ne sia la digestione.

Pist. Sta bene, sta bene. [p. 364 modifica]

Huell. Non è buona la pelle di capro? Eccovi ora quattro soldi, per farvi racconciare la testa.

Pist. A me quattro soldi?

Huell. Sì, certo, e li piglierete, se non volete un dono più triste.

Pist. Li prendo come arra di vendetta sicura.

Huell. Se qualche cosa vi debbo, vi pagherò a colpi di bastone. Dio vi accompagni, vi conservi e vi risani. (esce)

Pist. Tutto l’inferno si muoverà per vendicarmi.

Gow. Ite, ite; non siete che un miserabile. Come osaste voi farvi beffe d’uomini generosi, se cuore non avete per sostenere le vostre parole? Due o tre volte vi ho già veduto a ridere di quel vecchio prode. Avete creduto senza dubbio, perchè non sapeva parlar bene l’inglese, che fosse inetto a trattare un bastone all’inglese. Ma ora vi dovete esser convinto dell’opposto, e cominciando dunque da ora, abbiatevi questa correzione gallese come una buona lezione di un Londinense. Addio. (esce)

Pist. Forse che la fortuna mi schernisce? Mi fu annunziata la morte della mia cara Elena, talchè eccomi privo del mio ospizio. Vecchio divengo, e l’onore cacciato fu dalle mie membra indebolite a colpi di bastone. Or bene; mi farò mezzano e seguirò la mia inclinazione che mi porta al mestiere di tagliaborse. Andrò segretamente in Inghilterra, e là ruberò, metterò impiastri sopra margini poco gloriose, e dirò che furono frutto delle guerre di Francia. (esce)

SCENA II.

Troyes in Sciampagna. — Un appartamento nel palazzo del re di Francia.

Entrano da un lato il re Enrico, Bedford, Glocester, Exeter, Warwick, Westmoreland ed altri lórdi; dall’altro il Re di Francia, la regina Isabella, la principessa Caterina, signori, signore, ecc., il Duca di Borgogna, e il suo seguito.

Enr. La pace, che è lo scopo di quest’adunanza, presieda fra noi! — Felicità e salute al nostro fratello di Francia, e alla nostra illustre sorella! Giorni sereni e prosperosi alla nostra amabile principessa e cugina Caterina! Voi, membro illustre di questa corte, nobile rampollo di questo trono, voi la cui lealtà ha dato luogo a questo augusto consesso, prode duca di Borgogna, ricevete il nostro saluto e i nostri voti; questi a voi pure addirizziamo, principi e pari di Francia.

Re. È con gioia sincera che ci allietiamo di goder qui della presenza del nostro illustre fratello d’Inghilterra. Siete il ben venuto, e voi tutti ancora, grandi di sua corte. [p. 365 modifica]

Reg. Possa la fine di questo bel giorno, o gran re, essere felice, come grande è la nostra gioia per vedervi, e ammirare quel terribile occhio che tante morti diffuse in Francia. La dolce speranza nutriamo che i vostri sguardi abbiano perduto le loro punte omicide, e che questo giorno, spegnendo tutti i risentimenti e le contese, muti Podio in amore.

Re. Applaudisco a questo voto che consuona coll’intento che qui ci raduna.

Reg. Principi d’Inghilterra, vi saluto tutti.

Bor. Voi che mi siete ugualmente cari, potenti re di Francia e d’Inghilterra, ricevete i miei rispettosi omaggi. — Ch’io abbia spiegate tutte le potenze del mio intelletto, prodigati tutti i miei sforzi per indurvi a questo convegno, è ciò che ognuno di voi può appurare; e poichè la mia mediazione è valsa a ravvicinarvi l’uno all’altro in guisa da vedervi volto a volto, non mi si faccia un delitto di chiedere quale è dunque l’ostacolo che ritarda la pace; cosa è che impedisce che quest’amabile nutrice delle arti, dell’abbondanza e di tutte le produzioni, ora indigente e nuda col seno squarciato, non possa mostrar di nuovo le sue vezzose sembianze in questo bel giardino del mondo, in questa fertile Francia? Oimè! da troppo lungo tempo essa è sbandita da questo regno, tutte le cui ricchezze languono e si corrompono. I nostri generosi vigneti, che allegrano lo spirito e consolano il cuore, inaridiscono e muoiono per mancanza di coltivazione. I nostri orti, come prigionieri la cui capigliatura è cresciuta in disordine fra le tenebre del carcere, non producono più che piante infruttose. Le nostre terre si vestono di zizzania e di cicuta, e l’aratro che estirpare le dovrebbe, arrugginisce nell’ozio. Queste vaste praterie coronate un tempo di gradite messi di verbasco, di trifoglio e di primavere, prive oggi dell’utile soccorso della falce, degenerano e non dan più vita che ad erbe parassite. Nulla prospera tranne il cardo spinoso, o lo stelo inutile: tutto diviene secco e languido. Simili ai nostri vigneti, ai campi e ai prati, che venuti meno nelle loro qualità native nonrecan più che selvaggi aborti; così noi, le nostre mogli e i nostri figli, obbliato o cessato abbiamo d’apprendere, per mancanza di tempo o d’agio, le scienze e le arti che decoravano la nostra patria. Noi diveniamo come barbari, come soldati feroci che non pensano più che ad opre di sangue; prorompiamo in basse imprecazioni, adottiamo costumi tristi ed ogni sorta d’abiti strani e indegni dell’uomo. È per ristabilire le cose nel loro antico stato di splendore, che voi siete qui presenti, e questo discorso è una preghiera che io v’indirizzo per sapere da voi quale ostacolo potrebbe impedire che la pace non ritornasse a dissipare tutti questi mali, e a renderci i suoi primi doni che facevano la nostra felicità.

Enr. Duca di Borgogna, se volete acquistar la pace, la cui [p. 366 modifica]mancanza dà luogo a tutti i guai che avete enumerati, convien che l’otteniate accedendo senza riserva alle nostre giuste dimande. Fra le vostri mani ne stanno gli articoli e le clausole in poche parole descritte.

Bor. Il re di Francia ne ha udito la lettura e non ha ancora risposto.

Enr. È dalla sua risposta che dipende la pace che sollecitate con tanto ardore.

Re. Percorso non ho quegli articoli che leggiermente. Se piace a Vostra Grazia di eleggere alcuni lórdi, fra quelli che sono qui presenti, per farne lettura con noi ed esaminarli con maggior cura, vi daremo senza indugi la nostra ultima risposta.

Enr. Volentieri, fratello. Andate, zio Exeter, e voi anche, fratello Glocester: Warwick e Huntington seguano pure il re: e in voi uniti risiedano tutti i poteri per ratificare, aumentare o cambiare, secondo che la vostra prudenza lo giudicherà conveniente per noi, gli articoli compresi nelle nostre dimande: alle vostre risoluzioni apporremo il nostro suggello reale. — Volete, amabile sorella, seguire i principi, o restar con noi?

Reg. Grazioso fratello, li seguirò. Qualche volta la voce di una donna può essere utile in opere di conciliazione.

Enr. Lasciatene però almeno la nostra bella cugina. Caterina è il principale oggetto delle nostre inchieste, e tale articolo è il primo di tutti.

Reg. Può restare con libertà. (tutti escono, tranne Enrica, Caterina e Alice, dama d’onore).

Enr. Bella Caterina, la più vaga delle principesse, vorreste farmi la grazia d’insegnare ad un soldato parole propri e a piacer e all’orecchio d’una dama, e a perorare presso di lei la causa dell’amore?

Cat. Vostra Maestà si fa beffe di me; io non so parlare il vostro inglese.

Enr. Oh! bella Caterina, se volete amarmi con tutto il vostro cuor francese, mi sarà dolce l’udirne la confessione in idioma inglese, anche barbaro. Mi amate, Caterina?

Cat. Pardonnez-moi, non so cosa voglia dire... amare.

Enr. Un angelo è simile a voi, Caterina; e voi siete simile ad un angelo.

Cat. Que dit-il? que je suis semblable aux anges?

Al. Oui, vraiment (sauf votre grâce) ainsi dit-il.

Enr. Così dico, cara Caterina, e non arrossisco in affermarlo.

Cat. O bon Dieu! les langues des hommes sont pleines de tromperies.

Enr. Che intende ella, signora? Che le lingue degli uomini son piene d’inganni? [p. 367 modifica]

Al. Oui; che le lìngue degli uomini son piene d’inganni; così intende la principessa.

Enr. La principessa è la migliore delle Inglesi. In fede mia, il mio modo di farti la corte, mia Caterina, è conforme alla poca cognizione che hai della mia lingua. Son ben lieto che non sappi parlar inglese; perocchè se lo sapessi mi troveresti così inelegante re, che crederesti che avessi venduto un podere per acquistare una corona. Non so quali siano i mezzi dell’amore; ma direttamente vi dico, che io vi amo: e se mi stimolate sopra tale soggetto, non saprò come andare più innanzi. Datemi la vostra risposta; in fede datemela; e nel medesimo tempo stringiamoci la mano come patto conchiuso. — Che ne dite, signora?

Cat. Sauf votre honneur, mi pare d’intendervi bene.

Enr. In verità, se esigeste da me che vi facessi versi, o danzassi per amor vostro, mi ridurreste a tristo partito; perocchè per gli uni non ho nè parole, nè misura; per l’altro nè misura, nè cadenza. Se dovessi ottenere il cuore di una donna saltando in sella colla corazza sul dorso, mi sarebbe facile il conquisto. Se dovessi combattere per un’amante, o far caracollare il mio corridore, niuno, sia detto senza vanagloria, potrebbe superarmi; ma, sul mio Dio! bella Caterina, ignoro Parte dell’amoreggiare; e non so porre alcuna grazia nelle mie dichiarazioni: proferire non so che aperti giuramenti, a cui non mi induco che forzato, ma che niuno mai potrà costringermi a violare. Se tu ti senti atta, cara Caterina, ad amare un cavaliere di tal tempra, il cui volto adusto mai non si riflette in uno specchio; con un colpo d’occhio rendimelo palese. Io ti parlo da soldato: se questa libertà ti piace, accettami; se no, dicendoti ch’io morirò, dirò cosa che si avvererà un giorno, non ora, perchè, quantunque io t’ami, mentirei col dirti che per amore di te verrò meno. Per fin che vivi, Caterina, abbi a mente di eleggerti uno sposo di carattere duro, e senza artificii, perocchè egli solo ti darà tutto quello che ti appartiene, avvegnachè potenza non abbia di fare ad altre la sua corte. Que’ zerbini, la di cui lingua non tace mai, e che tanta arte dimostrano per accalappiare i cuori delle donzelle, banditi sono anche dai loro cuori tosto che la ragione prende il campo. Alla fine che è un bel parlatore? Un pappagallo e nulla più. Cosa sono i versi? Una canzone da strada. Una buona gamba può scapezzarsi, un dorso dritto curvarsi, una barba nera imbianchire, una testa capelluta divenir calva, un volto fresco raggrinzarsi, un occhio vivido appassire; ma un buon cuore, diletta Caterina, vale il sole e la luna, o anzi solo il sole: perchè com’esso tal cuore splende sempre nè muta mai. Se un cuore di tal fatta vuoi, prendi il mio; prendi un soldato, e un re. — Ebbene, che rispondi? Parla liberamente, te ne scongiuro. [p. 368 modifica]

Cat. È egli possibile ch’io ami il nemico di Francia?

Enr. No; non è possibile che amiate il nemico di Francia, Caterina; ma amando me amerete l’amico di Francia; perocchè io amo la Francia tanto, che non cederei un solo de’ suoi villaggi; io la voglio tutta per me: e quando la Francia è mia, ed io son vostro, vostra allora è la Francia, e voi siete mia.

Cat. Non intendo.

Enr. No, Caterina? Te lo dirò con un francese, che son sicuro resterà attaccato alla punta della mia lingua come una novella sposa al collo del suo consorte. Quand s’ai la possession de France et quad vous aves la possession de moi (cosa accadrà allora? San Dionigi mi aiuti!) donc vostre est France, et vous estes mienne. È più facile per me, Caterina, conquistare un regno che parlar francese: a null’altro ti commuoverò, parlando francese, fuorchè alle risa.

Cat. Sauf vostre honneur, le françois que vous parles, est meilleur que l’anglois lequel je parle.

Enr. No, in fede, no, Caterina; ma bisogna convenire che entrambi parliamo molto male nella lingua che non è nostra. Dimmi dunque, Caterina, se intendi questo inglese: puoi tu amarmi?

Cat. Non posso dirlo.

Enr. V’è alcuno della vostra corte, amabile Caterina, che istruir me ne sapesse? Lo pregherò di farlo. — Su via, conosco che mi amate; e questa sera, quando sarete nella vostra stanza, parlerete con questa signora di me, e le qualità che di più in me amerete saran quelle che apprezzerete innanzi a lei. Cara Caterina, degnatevi commiserarmi, tanto più che v’amo con furore. Se mai sarete mia, come ne ho fede, avendovi conquistata colla vittoria, diverrete madre feconda di buoni soldati. Forse che noi non potremo, voi ed io, fra san Dionigi e san Giorgio formare un Enrico, metà francese e metà inglese, che vada un dì fino a Costantinopoli, a tirare il gran Turco per la barba? Noi potremo, mio fiore di giglio?

Cat. Non lo so.

Enr. No, per ora. — Ma è in seguito che lo apprenderai: per ora stiamocene alla promessa. Assicurami soltanto, Caterina, che dal tuo lato riempirai bene la parte di Francese per l’opera di un tale erede; dal lato mio compirò la mia da Inglese, da re e da garzone. Che rispondete voi, la plus belle Caterine du monde, ma très-chère et divine déesse?

Cat. Vostra Majestè sa abbastanza bene il francese per ingannare la più sage demoiselle che sia en France.

Enr. Oh! sul mio onore, io ti amo davvero, Caterina. Non oserei giurar del pari che tu ami me; nondimeno il fremito del mio cuore comincia a lusingarmene, malgrado i pochi pregi del [p. 369 modifica]mio volto. Maledico io questo momento l’ambizione di mio padre, che era un uomo che aveva il capo pieno di guerre civili, allorché mi ingenerò, talché m’ebbi nascendo questo aspetto di bronzo che fa sì che, allorché voglio corteggiare le dame, metto loro paura: ma in fine, Caterina, quanto più invecchierò, tanto cangierò in meglio. La mia consolazione è che l’età, distruggitrice della bellezza, non saprà aggrinzire il mio volto. Tu mi otterrai, se mi ottieni, nello stato peggiore in cui io possa essere; e se mi accetti mi troverai alla prova migliore che non sembro. Perciò, dimmi, vaghissima Caterina, se mi vuoi? Deponi il tuo verginale pudore; confessa i sentimenti del tuo cuore con isguardi da principessa; prendimi per mano e di’: Enrico d’Inghilterra, son tua. Le quali parole non appena m’avran beato, ch’io ti risponderò: l’Inghilterra è tua, l’Irlanda è tua, la Francia è tua, Enrico Plantageneto è tuo; ed Enrico, sebbene dinanzi a lui io parli, se non è il migliore dei re, è certo l’uomo più piacevole. Su, rispondimi con musica discorde; perocché il suono della tua voce è armonioso, ma l’inglese che parli stride. Regina delle regine, celeste Caterina, aprimi la tua mente: vuoi possedermi?

Cat. Ciò è come piacerà al roi mon père.

Enr. Oh! ciò gli piacerà, Caterina; ciò gli piacerà.

Cat. Allora io pure ne sarò contenta.

Enr. Questo essendo, voglio baciarvi la mano, e chiamarvi... mia regina.

Cat. Laissez; non, seigneur, laissez, laissez: ma foi, je ne veux point que vous abaissiez votre grandeur, en baisant la main d’une vostre indigne servante: excusez-moi, je vous supplie, mon très-puissant seigneur.

Enr. Allora vi bacierò le labbra, Caterina.

Cat. Les dames et demoiselles pour estre baisées devani leur nopces, il n’est pas la coutume de France.

Enr. Signora, mia interprete, che dice ella?

Al. Dice che non è di moda per le signore di Francia... non so come si traduca in inglese baiser.

Enr. To Kiss.

Al. Vostra Maestà intende meglio di me.

Enr. Non è moda per le fanciulle in Francia baciare prima di essere spose, vuol ella dire?

Al. Oui, vraiment.

Enr. Oh Caterina! le vane usanze cedono alla potenza dei gran re. Fanciulla amata, voi ed io non possiamo essere ristretti entro i deboli limiti delle mode di un paese; noi siamo gli autori delle mode. Caterina, e la libertà che segue i nostri passi chiude la bocca alla censura; come io voglio, per punirvi della vostra affezione per le mode della vostra terra, chiuder la [p. 370 modifica]vostra con un bacio; arrendetevi pazientemente. (baciandola) Voi avete mille sortilegi nelle labbra. Caterina: vi è più eloquenza nel loro contatto che non ne sia in tutto un concilio di Francia: ed esse persuaderanno più presto Enrico d’Inghilterra, che una preghiera di cento monarchi. Viene vostro padre.

(entrano il re di Francia e la regina, Borgogna, Bedford, Glocester, Exeter, Westmoreland ed altri signori inglesi e francesi) Bor. Dio salvi Vostra Maestà! Vi intrattenevate forse, mio real cugino, nell’insegnare l’inglese alla nostra bella principessa?

Enr. Voleva istruirla, caro parente, del mio amore: e questo in buon gallese.

Bor. Non ha forse attitudine a tale scienza?

Enr. La nostra lingua è rozza, e la mia tempra non è molle: cosicchè non avendo per me nè la voce, nè il cuore dell’adulazione, non ho potuto evocare in lei lo spirito dell’amore, tanto da vederlo nelle sue vere sembianze.

Bor. Perdonate alla mia franchezza, e vi risponderò. Se volete scongiurarla2 vi è forza fare un circolo: se volete veder l’amore nelle sue vere sembianze convien che il veggiate nudo e cieco: or potete voi biasimarla se, essendo vergine nè altra tinta conoscendo fuorchè quella rosea della modestia, ella niega di vedere un fanciullo nudo e cieco? Dura fu, mio signore, la proposta vostra per una fanciulla.

Enr. Nondimeno serrando gli occhi v’acconsentono tutte.

Bor. Esse vogliono allora escusarsi, milord, perchè non veggono quello che fanno.

Enr. Ebbene, mio caro duca, insegnate alla vostra cugina di acconsentire, e di chiuder gli occhi per me.

Bor. Questo farò volentieri, signore, se voi penserete a farle comprendere quello che sto per dirvi. Le fanciulle sono come le mosche, che, durante i calori dell’estate, appaiono fiere e volubili, ma passato il giorno di S. Bartolomeo sembra che divengano cieche, quantunque abbian gli occhi, e allora si può ad esse avvicinare, e toccarle facilmente, mentre prima fuggivano fino gli sguardi degli uomini.

Enr. Secondo i vostri principii, dovrò ancora aspettare lungamente, e passare un’estate ben calda per domare la vostra cugina, che deve divenire cieca.

Bor. Come l’amore lo è, milord, prima di amare. [p. 371 modifica]

Enr. Appunto, e alcuni di voi possono ringraziare l’amore della mia cecità, che non mi lascia vedere tante belle città francesi, a cagione di una vergine di Francia che mi sta dinanzi.

Re. Sì, milord, in prospettiva vedete tali città, che divenute sono altrettante vergini, perocché cinte miransi da vergini mura, in cui alcuno non è mai entrato.

Enr. Sarà dunque Caterina mia sposa?

Re. Così vi piaccia.

Enr. Sono contento: e le città di cui parlavate possono ringraziarla. Se la bellezza che incontrai per via si oppone al compimento de’ miei desiderii di conquista, essa mi promette almeno di colmare i miei voti d’amore.

Re. Abbiamo acconsentito a tutte le condizioni ragionevoli.

Enr. È ciò vero, miei lórdi d’Inghilterra?

West. Il re ha sancito ogni articolo: prima sua figlia, poi tutto il resto.

Ex. Ad una cosa soltanto non ha acconsentito: è l’inchiesta di Vostra Maestà che il re di Francia, dovendo scrivere per qualche bisogna a Vostra Altezza, debba usare della seguente formula: notre très-cher fils Henry, roy d’Angleterre, héritier de France; e così in latino: praeclarissimus filius noster Henrieus rex Angliae, et haeres Franciae.

Re. Nondimeno, fratello, non ho rifiutato in guisa, che se voi lo desiderate assolutamente, non sia per accettarlo.

Enr. Prego vi dunque per amore e parentela, di lasciare che anche questo articolo passi cogli altri, e di darmi per conclusione la figlia vostra.

Re. Prendetela, e dal suo sangue nascanvi figliuoli che possano alfin estinguer l’odio che sì a lungo straziò questi due regni, rivali l’uno dell’altro; possa questa unione stabilire una pace degna di due monarchi cristiani: possa la guerra non più mai infierire fra la Francia e l’Inghilterra.

Tutti. Amen.

Enr. Ora, amata Caterina, siate la ben trovata; e voi tutti fatemi testimonianza ch’io qui l’abbraccio come mia sovrana regina. (squillo di trombe)

Reg. Iddio, autore supremo e benefico di tutti i maritaggi, unisca e confonda in un solo i vostri due regni, i vostri due cuori! Come lo sposo e la sposa, quantunque esseri separati, in un solo essere per amore si convertono, così fra la Francia e l’Inghilterra abbia luogo tale unione che non più alcun atto ostile la perturbi. La gelosia crudele, che semina troppo spesso di spine il letto dei connubii fortunati, non sciolga mai il nodo che lega questi regni per dividerli con divorzio fatale! Gl’Inglesi e i Francesi s’accolgano e si riguardino mutuamente, come se non [p. 372 modifica]formassero che una sola nazione! — Dio voglia ascoltare e consacrar questo voto.

Tutti. Amen.

Enr. Apprestiamoci al nostro imeneo: in questo giorno, duca di Borgogna, riceveremo il vostro giuramento, e quello di tutti i pari per garanti della nostra unione: poscia io sacrerò la mìa fede a Caterina, e voi, Caterina, a me; così eternamente mantenuti siano i nostri patti, e fecondi ne vengano di felicita. (escono)


Entra il Coro.

Eccoci al termine a cui il nostro umile autore ha condotta questa storia. I suoi rozzi pennelli inadeguati erano al gran subbietto. Costretto a racchiudere in un angusto campo i più alti personaggi, e a non mostrare che ad intervalli alcuni punti splendidi del vasto corso della loro gloria, ei chiede la vostra indulgenza. Enrico, astro d’Inghilterra, non è vissuto che pochi giorni; ma il suo breve spazio ha riempito di una fama immensa. La fortuna aveva fatta la spada colla quale ei conquistò il più bel giardino del mondo, e di cui lasciò il figliuol suo sovrano. Enrico VI, coronato colle bende dell’infanzia re di Francia e d’Inghilterra, ascese dopo lui al trono: ma tante mani avvilupparono le redini del suo governo, che da esse potè svincolarsi la Francia, e sangue inglese andò sparso. Noi vi abbiamo dimostrato spesso siffatti quadri sul nostro teatro: perciò degnatevi di fare a questo un accoglimento favorevole.



fine del dramma.

Note

  1. Allude al conte di Essex che soggiogò quell’isola per comando di Elisabetta.
  2. Allude all’arte delle streghe.