Il Quadriregio/Libro secondo/XI
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CAPITOLO XI
Dove si tratta della pena di Sisifo.
Noi pervenimmo in una gran foresta,
ove gente trovai, ch’ognuno un sasso
avea per soma su nella sua testa.
Per una piaggia insú moveano il passo,
5e, giunti al monte, poi scendeano al piano,
e poi risalian su laggiú da basso.
Venir ver’ noi non molto da lontano
un’alma carca vidi d’un gigante
maggior sei volte e piú d’un corpo umano.
10Io dissi a lei, quand’io gli fui davante:
— Dimmi chi se’, che porti sí gran soma,
ch’appena portería un elefante.
— Sisifo son, che ’l gran poeta noma,
— disse. E poi giunse:— A voi mortali è posta
15soma maggior ch’a me, e piú vi doma.
E perché meglio intendi mia risposta
e che tu sappi ben ch’io non agogno,
a quel, che ora dirò, l’orecchio accosta.
Il timor della morte e del bisogno,
20amor e speme a voi pon maggior pesi,
che non fa l’enco, quando appare in sogno.—
E, perché questo dir non ben compresi,
dissi a Minerva:— O dea, questo sermone
ben non intendo, se non l’appalesi.—
25Ed ella a me:— Quel Signor, che dispone
e regge il tutto, a chiunque al mondo nasce
della sua soma sua gravezza pone.
Con pena prima sta dentro alle fasce
e col sudor di colei che ’l nutríca,
30e di colui che poi, vivendo, il pasce.
Poi che cresciuti son, chi s’affatica
dietro all’aratro e la terra rivolta,
ché non produca spine ovver ortica;
chi con paura e con fatica molta
35giunge, cercando il mare, alla vecchiezza,
sepolto dentro a’ pesci alcuna volta;
chi mercatanta per aver ricchezza,
e quel, che con fatica egli rauna,
a chi pervenga nulla n’ha certezza;
40_et tamen_ senza sonno e posa alcuna
la voglia sempre ha fame e mai non s’empie
ed al piú pasto, piú riman digiuna;
chi segue Marte e le sue opere empie
facendo sé centauro biforme,
45armato a ferro indosso e nelle tempie;
chi mangia a posta altrui e vegghia e dorme
sol per aver il rimorchiato pasto,
e va subietto dietro all’altrui orme;
chi, per sanar all’uom il membro guasto,
50Ippocrate si fa; e chi legista
per vender le parole e far contrasto.—
Quand’ella dicea questo, alzai la vista
inverso il monte e vidi un’altra gente,
ch’avea la soma di splendor sofista.
55— Chi son color che ’l carco hanno splendente?
— diss’io a Minerva.— Saria forse quello,
perché si porti piú leggeramente?—
Ed ella a me:— Perché ’l peso sia bello,
non è però che egli sia piú lieve,
60né dá a colui, che ’l porta, men flagello;
ché una libra di penne è tanto greve,
non piú, né men quant’una libra d’oro
al dosso che la porta e la riceve.
E se saper tu vuoi chi son coloro,
65son quelli, dalli quai si signoreggia,
e però ’l peso han con sí bel lavoro.
Come la bestia, che ben somereggia,
va piú adornata ed ha miglior prebende
ed è onorata di freno e di streggia;
70cosí han quelli il peso che risplende,
ma sotto quel colore sta nascosto
la soma greve, che la mente offende.
Per questo giá gridò Cesare Agosto:
— Quando sará ch’io scarchi i pesi gravi
75del pondo imperial, sopra me posto?—
Gridò Gregorio che ’l manto e le chiavi
ed ogni reggimento ha tanto pondo,
che gli altri sonno a rispetto soavi.
Ahi! quanti credon su nel mortal mondo
80alcun aver in poppa il prosper vento,
e sé averlo in prora e non secondo!
Che se colui, il qual credon contento,
dicesse quant’è afflitta la sua voglia,
direbbon sé aver minor tormento.
85Ahi! quanti son che sguardano alla invoglia
della gran soma, a cui se lo somiere
dicesse il suo gran peso e la gran doglia,
piglierian le lor some volentiere,
come minori e di piú lieve affanno,
90piú atte al loro dosso e piú leggiere!
Ahi! quanti son che or a basso stanno,
che ’n terra con la soma caderiéno
del signorile scettro e primo scanno!
Quanti son ricchi ed in stato sereno,
95che, della povertá portando il peso,
la forza e la vertú lor verria meno!
Saul in terra morto andò disteso,
portando la soma alta e con bei fregi,
che, stando a basso pria, non era offeso.
100Chi sta in alto, il basso non dispregi;
e chi sta al basso ed ha la soma oscura,
non abbia invidia a prenci ed a gran regi.—
E poscia ad altri molti io posi cura,
ch’ognun sopra la soma era premuto
105da circumstanti suoi per fargli iniura.
Udii gridar indarno:— Aiuto! aiuto!—
con pianti e con sospir; ma la pietade
ivi era sorda a chi non era muto.
Ed uno a noi gridò:— Guai a chi cade!
110ché, bench’abbia abbondanza di consigli,
non però trova chi aiutarlo bade.—
La dea rispose:— O tu, che sí bisbigli,
perché al caso tuo cordoglio porto,
t’adiuterò, se ’l mio consiglio pigli.
115Se vuoi alla gran soma alcun conforto,
pensa di quei che portan maggior carchi
che non hai tu, e portanli piú a torto.
E guarda ben che l’amor non ti carchi,
e la spene e ’l timor se ti dán pena,
120degno è che sol di te tu ti rammarchi.—
Poich’ebbe esto consiglio, un’ora appena
egli era stato, e quivi un fanciul venne
con bella faccia e di letizia piena.
Due ali adorne avea di belle penne
125piú che paone, ed in mano avea l’arco,
dal qual Achille giá ’l colpo sostenne.
Costui gli pose sopra tanto carco,
mostrando il dolce e celando l’amaro,
che ’l fece pianger con pianto e rammarco.
130Poi venne un altro, che tutto contraro
era a quel primo in tutte sue fattezze,
col viso negro quanto il primo chiaro.
Questo gli pose ancor molte gravezze,
poi venne innanti a noi una donna anco
135col riso in bocca e piena d’allegrezze.
E, benché egli fusse lasso e stanco,
con altri pesi ancor gli carcò il dosso.
Allora disse:— Oimè! che vengo manco.—
Mentre diceva:— Oimè! che piú non posso
140portar tante gravezze,— e’ cadde in terra,
fiaccandosi la testa ed anche ogni osso.
— Io fui da Lucca e detto Forteguerra
— diss’egli a noi:— a far la grande impresa
m’indusse spem, che fa che spesso uom erra.
145Ella mi fece far la molta spesa
e posemi l’incarco della parte,
che sempre a chi n’è capo troppo pesa.
— Nulla averebbe potuto gravarte
— diss’io a lui,— se tu alla scorta mia
150creduto avessi in tutto ovver in parte.
Ma, s’e’ ti piace, volentier vorria
che mi contassi le doglie penose,
che la speranza pone in questa via.—
Ond’egli, sospirando, mi rispose:
155— Sappi che la fallace e vana spene
principalmente si fonda in due cose.
O ella aspetta scemarsi le pene,
ch’ella sostien, o desiando sguarda
poter avere alcuno amato bene.
160Se l’una e l’altra d’este due si tarda,
ovver che manchi, l’animo tormenta;
ma affligge molto piú, quand’è bugiarda.
Benché tante fiate a noi ne menta,
come hai provato, ancor se gli dá fede:
165tanto con le losinghe altrui contenta;
che ’l miser’uomo sempre ratto crede
quel che desia; ma quel, ch’egli ha ’n temenza,
non crede si rimova, se nol vede.—
Poi piú non disse; e femmo indi partenza.