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152 libro secondo

     E, benché egli fusse lasso e stanco,
con altri pesi ancor gli carcò il dosso.
Allora disse:— Oimè! che vengo manco.—
     Mentre diceva:— Oimè! che piú non posso
140portar tante gravezze,— e’ cadde in terra,
fiaccandosi la testa ed anche ogni osso.
     — Io fui da Lucca e detto Forteguerra
— diss’egli a noi:— a far la grande impresa
m’indusse spem, che fa che spesso uom erra.
     145Ella mi fece far la molta spesa
e posemi l’incarco della parte,
che sempre a chi n’è capo troppo pesa.
     — Nulla averebbe potuto gravarte
— diss’io a lui,— se tu alla scorta mia
150creduto avessi in tutto ovver in parte.
     Ma, s’e’ ti piace, volentier vorria
che mi contassi le doglie penose,
che la speranza pone in questa via.—
     Ond’egli, sospirando, mi rispose:
155— Sappi che la fallace e vana spene
principalmente si fonda in due cose.
     O ella aspetta scemarsi le pene,
ch’ella sostien, o desiando sguarda
poter avere alcuno amato bene.
     160Se l’una e l’altra d’este due si tarda,
ovver che manchi, l’animo tormenta;
ma affligge molto piú, quand’è bugiarda.
     Benché tante fiate a noi ne menta,
come hai provato, ancor se gli dá fede:
165tanto con le losinghe altrui contenta;
     che ’l miser’uomo sempre ratto crede
quel che desia; ma quel, ch’egli ha ’n temenza,
non crede si rimova, se nol vede.—
     Poi piú non disse; e femmo indi partenza.