Il Quadriregio/Libro secondo/X

X. Dove l’autore discorre delle pene, che l’uomo dá a se stesso per false opinioni

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
X. Dove l’autore discorre delle pene, che l’uomo dá a se stesso per false opinioni
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CAPITOLO X

Dove l'autore discorre delle pene,
che l'uomo dá a se stesso per false opinioni.

     «Voi, che salite al secondo reame,
intrate qui per questa porta inferna,
che sempre aperto tiene il suo serrame.
     Dentro ve fa la via una caverna,
5la qual salendo sette miglia gira,
ove nulla è che chiaro occhio discerna.
     Questa conduce al loco, ove martíra
l’uomo se stesso, e di sé fa vendetta,
e fassi il colpo, onde piange e sospira».
     10Vista che avemmo la scrittura e letta,
intrammo la caverna alla man destra
per una via oscura ed anco stretta.
     Ma dietro all’orme della mia maestra
io sempre andai, e per un sasso fesso
15uscimmo fòra, a guisa di finestra.
     E su nell’aere, alquanto a noi appresso,
vidi una donna alata trasmutarse
in diverse figure spesso spesso.
     Grande come gigante prima apparse;
20poi piccola si fece e lieta e trista;
giovine e vecchia poi la vidi farse.
     — Chi se’— gridai,— che piú cambi la vista,
che Acchilogo, e nullo essere vero
par che ’n te sia, ovver che ’n te persista?
     25— La Falsa Opinion son del pensiero
— disse volando,— e questo loco tegno,
ov’io dimostro il bianco per lo nero.

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     Qui sta la Fantasia, qui sta lo Sdegno,
Speranza, Amor, Timor e Alterezza,
30Sospizion, ’Resia sta in questo regno.
     Io fo povero alcun nella ricchezza
e fo la povertá allegra tanto,
ch’alcun la porta e nulla n’ha gravezza;
     sí come avvien che ’n povertá alquanto
35equal son due, e l’un non se ne cura,
e l’altro si lamenta e fa gran pianto.
     Se da sé fosse quella soma dura,
alli due pazienti equal sería,
se l’operante è di simil natura.—
     40L’Opinion, ovver la Fantasia,
per l’aer se n’andò, movendo l’ale,
e mutava sembianti tuttavia.
     — Quella è la grave peste e ’l grave male
— disse Minerva a me;— quella è cagione
45di molto duol, che l’uom nel mondo assale.
     S’alcuno è ricco, e la sua opinione
a questa veritá gli contradice,
egli se stesso in povertá ripone.
     Nessun può esser in stato felice,
50se a quello non concorre il suo parere,
come concorre al frutto sua radice.
     Come la frenesia, che fa vedere
un per un altro, e ’l vin, quando ubbriaca
non lassa ben vedere le cose vere;
     55cosí tre passion, che son la ra’ca
di tutti i vizi: il troppo amore e spene
e ’l timor anco all’uom la mente opaca.
     Per queste tre, quando son troppe, avviene
che si disvia ed erra l’intelletto,
60tanto che ’l ver non può conoscer bene:
     come alcun che ha il palato infetto,
che gusta il dolce, e pargli che sia amaro
e giudica in contrario il proprio obbietto.

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     Altramente il superbo ovver l’avaro
65estima alcuna cosa, ed altramente
l’animo buono e di vertú preclaro.
     E secondo l’etá cosí la gente
credon le cose, ed altramente estima
chi porta l’odio che chi d’amor sente.
     70La puerizia ovver l’etade prima
errando crede che solazzo e gioco
tra tutti i ben sovran tenga la cima.
     E, poiché quell’etá tramuta loco,
dietro all’amor ne va l’adolescenza,
75e i ludi giá passati estima poco.
     Nell’etá terza, c’ha piú conoscenza,
reputa i giochi e l’amor esser vano,
e solo estima onore ed eccellenza.
     Poi nella quarta etá dal capo cano
80s’avvede ch’ogni etá era ingannata,
e pone all’avarizia allor la mano.
     Se, quando è su la morte, addietro guata,
il cammin della vita, il qual è ito,
gli pare un’ombra o cosa non mai stata.
     85Svegliasi quando del mondo è partito,
e vede ciò c’ha tempo esser menzogna,
rispetto all’eternal, che è infinito.
     Sí come spesso avvien, quando alcun sogna,
che, mentre dorme, gli par manifesto
90aver dell’oro in man quanto bisogna,
     e, quando torna in sé e ch’egli è desto,
e’ qui si scorna e dice nel suo core:
— Oimè! oimè! perché non fu ver questo?—
     cosí l’anima umana, quando è fuore
95della sua carne, allor ella comprende
che il mondo è sogno, e conosce il suo errore.
     Iti eravamo omai quanto si stende
quell’ampia valle, e noi trovammo un colle,
che ben duo miglia su da alto pende.

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     100Minerva salse il monte e poscia volle
che dietro a lei seguissi le vestige,
se non voleva andar sí come uom folle.
     Quand’io fu’ in cima, vidi il lago Stige,
fatto alla forma ch’io l’avea veduto
105giú nell’inferno in ogni sua effige.
     Io era insino al lito suo venuto,
e per mirar fermai i passi mei,
per la gran nebbia risguardando acuto.
     — Questa negra palude, che tu véi,
110è quella, per cui iura il sommo Iove
— disse Minerva— e iuran gli altri dèi.
     Ciò che cade da cielo, ovver che piove,
ciò che dall’aere o su dal foco cade,
e ciò che l’acqua sé purgando move,
     115si aduna qui da tutte le contrade:
ogni sozzura ed ogni sucidume,
tutta la marcia delle cose frade.—
     Per penetrar la nebbia e ’l folto fume,
facea cogli occhi miei lo sguardo aguzzo,
120come fa alcun, quand’egli ha poco lume.
     Quanto piú m’appressava, maggior puzzo
senteva al naso e tanto n’era offenso,
che soffiando io facea dell’aere spruzzo.
     Tutta la timiama ovver l’incenso,
125che mai d’Arabia ovver d’Assiria venne,
non mitigaría quel fetore immenso.
     Lí eran l’arpie con pallide penne,
con facce umane, storte, irate e guerce,
fetenti sí, che ’l naso nol sostenne.
     130Facean lamenti su le smorte querce,
e ’l misero Fineo mangiava sotto
vivande, ch’eran di lor sterco lerce.
     Una di lor mi disse questo motto:
— O tu, che questo inferno passi vivo,
135dietro alli passi di Palla condotto,

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     perché ti atturi il naso e mostri schivo?
Tu sai che l’uomo nel vostro emispero
piú di noi non è netto ovver giulivo:
     ché egli è un sacco pien di vittupèro,
140e tra gli altri animal che son nel mondo,
vuole in nettarsi maggior ministero.
     Tu sai ch’e’ per la cima e per lo fondo
e dello corpo suo per nove fori
sparge il fastidio, piú che noi immondo.
     145Al sucidume e suoi corrotti umori
per delicanza concorron le mosche,
sí come l’api sopra belli fiori.
     — Trapassa ratto este contrade fosche
— disse a me Palla— e non gli far risposta:
150basta che l’abbi viste e le conosche.—
     Allora mi partii senza far sosta
e vieppiú oltre una gente trovai,
ch’avean la soma in la lor testa posta,
     la qual convien che portin sempremai.