Il Quadriregio/Libro quarto/VIII
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CAPITOLO VIII
Nel quale la Fortezza scioglie un dubbio dell'autore,
e appresso incominciasi a trattare della prudenza.
L’intelletto dell’uom, che mai non posa,
che sempre cerca e sta ammirativo,
sinch’e’ non trova la cagion nascosa,
dicea fra sé:— Nel loco sí giolivo
5come star puote chi non si battezza
o non credette in Cristo, essendo vivo?—
Però addomandai la dea Fortezza:
— Come qui ’n questo loco tanto ameno,
di tanta festa e di tanta dolcezza,
10stan questi che ’l battesmo ebbono meno?
Non so se fuor del cielo è luogo al mondo,
che sia sí bello e di letizia pieno.—
Ed ella a me:— Tu cerchi sí profondo,
che scusata serò, se bene aperto
15alla domanda tua io non rispondo.
Ma sappi in prima, ed abbilo per certo,
ch’ogni male da Dio será punito,
ed anco addolcirá ogni buon merto.
Ma del voler di Dio, ch’è infinito,
20quanto a cercar alcun piú vi s’affanna,
tanto pel grand’abisso va smarrito.
Se li non battizzati egli condanna,
sol che li tien per sempre del ciel fòre,
per questo non gl’iniuria e non gl’inganna;
25ché quei, che ebbon di vertú ’l valore,
di pena sensitiva non martíra,
s’altro peccato non dá lor dolore.
E ciò che ’l ciel non toglie, mentre gira,
dico memoria, volontá, intelletto
30e ciò che l’alma sciolta seco tira,
possono usare ed usan con diletto,
e la vertú che ama e che ragiona,
e contemplar con atto piú perfetto.
Ma ’l ben che Dio per grazia ne dona,
35se ’l dá a costui ed a quel nol concede,
non però fa iniuria a persona.
Per grazia è solo, non giá per mercede
salir al paradiso; e tal acquisto
far non si pò senza battesmo e fede;
40ché i battezzati col ben far permisto
son quelli, a’ quali Dio promette il cielo
ed alli circoncisi innanzi a Cristo.
Che alcun puniti siano in caldo e gelo
per gran delitti e scelerosi mali,
45apertamente ne ’l mostra il Vangelo.
Ma questi, ch’ebbon le vertú morali,
benché del ben di grazia sien privati,
non però perdon li ben naturali.
E però qui tra questi belli prati
50a te mostrati son, che ti sia nota
la gran vertú, della qual fûn dotati.
Sí come Ezechiel vide la rota
e vide Ieremia un’olla accesa,
ed altro intende la mente devota;
55cosí qui altra cosa s’appalesa
agli occhi tuoi, ed altra dalla mente
nel senso vero debbe esser intesa.—
Poiché mostrata m’ebbe la gran gente,
quelle sante donzelle si partîro;
60ed io su salsi una piaggia repente,
tanto che io pervenni al quarto giro,
ove la quarta porta era chiusa anco;
e ’l muro tutto avíe de fin zaffiro.
Inginocchiato il pié diritto e il manco,
65come chi vuol intrar quivi far usa,
venne una ninfa vestita di bianco.
Io percepetti ben ch’era una musa,
ché ’n capo avea d’alloro una grillanda;
e questa aprí a me la porta chiusa.
70Tutti i bei fior, che Zefiro ne manda,
e tutto il canto della primavera,
allor che amor la compagnia domanda,
nulla saríeno al canto che quivi era:
il lume di quel regno era sí accenso,
75che ogni luce di qua parría da sera.
E, benché lo splendor fusse sí intenso,
non però quello i mortali occhi offende,
ma piú acuto fa il visivo senso:
cosí l’occhio mental, quand’egli intende,
80si fa piú vigoroso e fassi forte,
quanto l’obietto visto piú risplende.
Della Prudenzia pervenni alla corte;
e ben pareva la casa del Sole:
tanti splendori uscían delle sue porte.
85Intorno al pian vid’io le grandi scole
de’ filosofi saggi e de’ poeti,
d’Apollo e di Mercurio santa prole.
Pensa se gli occhi miei erano lieti,
vedendo di Parnaso il sacro monte,
90qual per veder sostenni fami e seti;
vedendo intorno al pegaseo fonte
le nove muse, e di peneia fronda
incoronarsi le tempie e la fronte;
vedendo lo stillar della sacra onda;
95udendo i dolci canti e le favelle,
a’ quai degno parea che ’l ciel risponda.
Come dal sole è ’l lume delle stelle,
cosí dalla gran corte di Prudenza
venía la luce in queste cose belle.
Nell’aula di tanta refulgenza
la musa intrar mi fe’, di cui le piante
venni seguendo insú con riverenza.
Tra molte donne in mezzo a tutte quante
una ne vidi, e dietro avea due occhi,
105duo nelle tempie e duo ne avea dinante.
Io dissi a lei, calando li ginocchi:
— O donna, che ’l passato a mente rechi
e che ’l presente miri e ’l fine adocchi,
priego che l’ignoranza in me resechi;
110e la mia mente illustra, acciò che io
non caggia o vada errando com’e’ ciechi.
Venuto son quassú dal mondo rio
dietro a Minerva, ed ella fu mia duce;
ella è che ha guidato il passo mio.
115Ella mi disse che tua chiara luce
delle tre tue sorelle illustra ognuna
e dietro a te ciascuna il piè conduce;
e che lor mente sería oscura e bruna,
sí come stella senza l’altrui raggio
120o come senza il sole oscura luna.
Io vengo a te per l’aspero viaggio,
come scolar che volentieri impara,
ch’a lungi cerca chi lo faccia saggio.—
Sí come, quando a Febo s’interpara
125alcuna nube, e poscia manifesta
la bella faccia, che il mondo rischiara;
cosí schiarò sei occhi della testa,
de’ quai gli risplendette tutto il volto;
poi mi rispose con parola onesta:
130— Sí come il senso e l’appetito stolto
la Temperanza regge e fren lor pone,
che è mesura tra lo troppo e ’l molto,
e sí come Fortezza lo sperone
porge al voler, s’è tardo o se declina
135dalla vertú e dalle cose buone;
cosí qui illustro con la mia dottrina
la luce d’intelletto ovver mentale,
ché l’arte e l’uso la vertú raffina.
Questo splendore e luce naturale
140è prima legge all’uomo, ed ella è atta
poter discerner tra lo ben e ’l male.
Ed in duo modi può diventar matta,
quand’ella non al fin del corso umano,
ma nella via il suo piacere adatta:
145cioè in diletti, ovver nell’amor vano,
in troppa cupidigia, in usar froda,
o in rapina, o nell’arte di Gano.
Io dirò ’l vero, e voglio ch’ognun l’oda:
inganno, tradimento e falso gioco,
150pur ch’util abbia, per vertú si loda.
Prudente è chi al fine, ovver al loco,
al qual creato fu, drizza il cammino,
e non al mondo, ov’egli ha a viver poco;
e per la via fa come il pellegrino,
155che per la via, s’è saggio, non si carca,
per ritornar ov’egli è cittadino,
e, mentre il corpo posa, col cor varca.—