Il Novellino/Parte seconda/Novella XIV
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de una giovene napolitana vende una schiava al padre, contamina la giovene; e con l'amante se fugge
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NOVELLA XIV.
ARGOMENTO.
AL PRESTANTISSIMO MISSER JACOBO SOLIMENA FISICO SALERNITANO1
ESORDIO.
Quanto la gelosa e rapace avaritia con soi detestandi vizii se abbia ampliata per tutto l’universo, e come a cui pone le sue unghie addosso ogni virtù gli lacera e occupa, tu novello Esculapio col tuo peregrino ingegno lo potrai con non molta difficoltà giudicare. E oltre a ciò avendo per addietro degli effetti de la gelosia non a bastanza toccato, mi pare più oltre trapassando di dire non essere tal passione sempre de soverchio amore causata, ma certamente lo più de le volte da pusillanimità grandissima travenire; però che la maggior parte de’ gelosi sono vecchi, o brutti, o impotenti, o vero di sì poco core che credono che ognuno che apparescente veggono saperà meglio e più di lui a la moglie satisfare. E perchè al numero de’ magnanimi e dei liberali da li teneri anni te ho cognosciuto, e ottimo medico da sanare ogni languore, m’è piaciuto, donandote de la seguente novella notitia, te supplicare che di salutiferi rimedii, che all’una e all’altra passione accadono, al tuo Masuccio e dottrina e consiglio prestar ne debbi, a tal che da te istrutto possa a li posteri la tua mirabile scienza con autorità non piccola comunicare.
NARRAZIONE.
Messer Tommaso Mariconda2 mio avolo e tuo affine, come a te può esser noto, fu molto notevole e leggiadro cavaliere, ed al suo tempo non poco in la nostra città tenuto e reputato, il quale essendo d’anni pieno, come è dei vecchi usanza, de infinite e dignissime istorie ricontar se dilettava, e quelle non senza grandissima facondia e memoria incredibile le porgea. Ove tra l’altre me ricordo udirli nella mia fanciullezza per verissimo ricontare come dapoi la morte del re Carlo Terzo nacque nel nostro regno grande e continua guerra per le solite oppressioni datene per Casa d’Angioia; nel quale tempo essendo in Napoli un cavaliere messinese Giuffredi Saccano nominato, e molto divoto partesano di casa de Durazzo; e un dì, come a cavallo per la città era usato di gire, gli venne veduta a la finestra una bellissima giovenetta figliuola d’un vecchio mercante del cui nome non bene mi ricordo; e quella oltre modo piaciutali, subito di lei si trovò fieramente preso; e come volse la lieta fortuna di tutti dui, avvedendosi la giovene, che Carmosina3 avìa nome, che al cavaliere era piaciuta, quantunque mai avesse conosciuto che cosa fosse amore, nè appena alcun altro omo veduto, avvenne cosa forse inaudita, che in un medesimo ponto una fiamma parimente in doi cori arse, per modo tale che a nissuno parea il partire fosse concesso; pur dopo alquanto spazio da onestà e timore tirati non senza greve e pari pena si dipartirono. Messer Giuffredi cognoscendo che amore all’improvvista con un colpo ne avea due buttati a terra, e che altro che attitudine4 non gl’impediva a possere le concordi voglie satisfare, tutto si diede, come d’amanti è costume, a investigare chi fosse la giovene, e di chi figliuola. Trovato brevemente il padre, intese d’esser quello oltre la vecchiezza geloso e avaro fuor de modo, e in maniera che per non esser di maritare la sua unica figliola requesto5, de continuo reclusa in casa e peggio che vile serva la tenea. E di tutto il cavaliere pienamente informato, per aver qualche colorata cagione per quella contrada passare, e se non la giovene almeno le mura de la casa vedere, cominciò ora di una, ora de l’altra de le sue vicine innamorato mostrarsi, di che essendo da molti non altro che per un pascivento giudicato, era la sua astuta sagacità in deriso degli sciocchi venuta. Il quale di ciò poco curandosi, seguendo il suo proposito, grandissima dimestichezza prese con el padre de la giovene che mercatante era, per cagione che assai volte e senza averne alcun bisogno de le sue mercatantie a carissimo prezzo comparava, e oltre a ciò per più adescarlo quasi ogni dì d’altri cortegiani in bottega gli conducea, facendogli de continuo di freschi danari toccare: il quale e dal cavaliere e dai suoi compagni gran profitto traendo, avea tanta amistà con lui contratta, che quasi ognuno de ciò se maravigliava. Volendo dunque il cavaliere il suo disegno all’ultimo effetto mandare, un dì rinchiusosi col mercatante dentro suo fondaco, in tal maniera a dir gli cominciò: Bisognandomi nei miei fatti consiglio ed aiuto, io non saprei omai ad altro che a voi ricorrere, il quale non altrimente che propio padre per la vostra bontà e amo e temo; e per tanto non restarò di non aprirvi ogni mio secreto. Onde sappiate che egli son già molti anni che essendomi da mio padre partito, sono stato qui e da lo amore del Re e da le condition della guerra detenuto, ed in maniera che el repatriare non m'è stato sino al presente concesso: adesso sono più dì che con molte lettere e ambasciate sono da lui sollecitato che prima che si terminano gli anni de soa vecchiezza a rivedere il vada. Ai comandamenti e pietà del quale non possendo resistere ho preso per partito di andarvi; dove per alcun brieve termine dimorato, intendo al servigio del Re mio signore subito ritornare; né avendo di chi più commodamente che di voi in tal caso e in ogni altro possa fidarmi, voglio che certe mie robe insino al mio ritorno mi fate conservare: e oltre a ciò e lo maggior pensiere si è d’una mia schiava, però che greve mi parria venderla per la sua bontà, e d’altra parte trovandomi dal bisogno de trenta ducati costretto, e che per mio onore nessun mio amico di sì minima quantità ricercherei, ma piuttosto in tale ambiguità stando, di voi solo pigliar questa securtà ho deliberato, e affannare voi di questo danaro, e de lasciarvi la schiava, e se fra il mezzo che io torno la trovarete a vendere per lo prezzo che me costa di settanta ducati, fate di quella come fosse vostra. I1 cupidissimo più che savio vecchio occupatosi, con tutti li sentimenti alla utilità che del chiesto servigio venir gli possea, non discernendo altrimente l’inganno, senz’altra consulta in tal forma gli rispose: Vedi, messer Giuffredi, egli è tanto l’amor ch’io ti porto, che per cosa che mi recercassivo non saprei dire di no, sol che per me fare si potesse: e per questo volentieri son disposto servirvi del denaro che vi bisogna, e la schiava terrò per voi acciò che non se abbia male a vendere, e quando sarete a salvamento ritornato, se ella farà a mio bisogno, saldarò il vostro conto in modo che non altrimente che proprio figliuolo sarete da me trattato. Il cavaliere lietissimo de l’avuta risposta gli disse: Io non sperava altro da voi, e lo rengraziarvi mi parrebbe soverchio; ma faccia il signore Dio che con comune commodità i frutti de la nostra buona amicitia vi possa dimostrare. E con la detta conchiusione da lui partitosi, montato a cavallo, come già era solito, per la contrada de la sua donna passò, e per avventura come lor comuni fati aveano forse per lor pari felicità ordinato, vide la giovene alquanto dimostrarsegli a la finestra, e poi indietro quasi raminga6 tirandosi fargli una piacevole e pietosa guardatura; del che lui mirandosi intorno, e niuno vedendo, non avendo tempo di usar più lungo sermone, li disse: Carmosina mia, confortati, che io ho dato modo di presto cavarti de prigione; e andossi con Dio. La giovene che ben avea le parole de l’amante intese, ne fu non poco contenta, e quantunque a lei non potesse andar per il capo che ciò dovesse alcun buon effetto parturire, nientedimeno da fredda speranza incitata sperava e non sapeva del che. Il cavaliere gionto in casa, e fattasi venire la schiava, li disse: Anna mia, fornita è già la cosa tra noi ordinata, e però fa che sei prudente a quel che averai da operare. La quale ancora che dottissima fosse nell’arte, più volte insieme l’ordita trama reiterarono. E così di lì a pochi dì essendo ogni cosa in ordine, andatosene dal vecchio mercatante in tal forma gli parlò: Quanto a me sia noioso il partirmi per alcun terminato tempo da la vostra fruttuosa amistà, il veto conoscitore di tutti i secreti me ne sia testimonio; tuttavia convenendomi pur questa notte partire, per essere il mio passaggio in ordine, vi sono venuto a chiedere commiato, e oltre ciò togliere il danaro che vi chiesi, e che mandate per la faccenda che sapete. Il vecchio che di altro Iddio non pregava, avendo già dubitato non fosse pentito, fu di tal novella lietissimo, e numeratili di botto li trenta ducati, mandò per la schiava, la quale con certe altre coselline del cavaliere in casa si condusse. E venuta la sera il cavaliere dal mercatante accompagnato e da altri suoi amici insino ai liti marini, e con tutti abbracciatosi e detto addio, dentro una fusta che andava a Messina s'imbarcoe. E non essendo molto dal porto lontano, fattosi porre in un legnetto (secondo avea col patrone ordinato) a Procida ponere si fece, dove in casa d’un suo amico riparatosi insino a la terza notte dimorò, e al costituito termine con la schiava, e con certi compagni siciliani arditi a fare e ad ogni gran pericolo ben disposti, a Napoli si condusse; e per una cauta via in la città intrato, co' suoi compagni in una casa a quella del mercatante contigua si occultoe, la quale in quell'anno per la malignità de la guerra era già rimasta vota de pesonanti7, ed ivi chetamente in sino al seguente giorno dimorarono. La sagacissima schiava gionta in casa del mercante fu da la Carmosina lietamente ricevuta, e sapendo di chi era, prese con lei in breve spatio grandissima domestichezza, e perchè la brevità del tempo la spronava, non senza mirabil arte e maestrevoli parole la cagione de la sua venuta pontualmente li discoperse, e quanto col suo patrone avevano sopra di ciò ordinato, confortandola da passo in passo nel suo ragionare a virilmente seguir l’impresa per eterna quiete e felicità di tutti e due. La giovene che per più rispetti miglior voglia del cavaliere ne avea, non lasciando in lungo sermone la schiava multiplicare, li disse che ad ogni sua richiesta era apparecchiata ad eseguire tutti gli ordinamenti del signore da lei non altrimenti che la propria vita amato. Al che disse la schiava: Figliola mia, se tu hai da portartene alcune cosette, ponitelle in assetto, che il fatto sarà per questa notte in ordine; e sappi che il mio patrone e lo servo è con suoi compagni in questa casa a noi congionta, secondo il segno che in quella oggi ho visto, alla quale come tu sai facilmente potremo andar da l'astrico nostro. La giovene inteso il curto termine del suo scampo, basatala cento volte, li rispose che lei non avea del suo né poco né molto da pigliare, ma che intendea pigliare de quello dell’avarissimo patre assai più che avesse possuto istimare essere bastevole per la sua dote. E in tale conchiusione firmatase, venuta l’ora de la mezzanotte, dormendo il vecchio e ogni altra persona di casa, aprerono una cassa e trattine tra gioie e contanti oltre il valore di mille e cinquecento ducati, e con quelli varcato l’astrico chetamente, ove era il cavaliero pervennero, dal quale con grandissima festa in braccio ricevuta e ardentissimamente basata, senza più avanti procedere che la dubbiosa stanzia nol comportava, tutta la brigata in la via si condussero, e verso il mare avviatisi, e cautamente per un pertugio dietro le Beccherie da la città usciti, trovato il lor legno non solo acconcio ed armato da veloce andare ma quasi atto da volare, e tutti dentro montati, dati i remi in acqua in poche ore ad Ischia si trovorono. E presentatosi il cavaliere con soe brigate dinanzi al signor di quel luoeo, che singular suo amico era, e secondo con lui avea per innanzi ordinato, furono assai benignamente ricevuti e onorati: e qui stando, parendoli già esser sul sicuro, colsero il dolce e primo frutto del lor reciproco amore, e con non manco piacere de l’uno che de l’altro di lor rapina goderono. Venuto il chiaro giorno il vecchio patre non trovando la figliola nè la impegnata schiava, e accortosi ultimamente dei danari e gioie involate, per le quali non minore amaritudine ne sentiva, se il dolore, pianto, rammarico fu grande ciascuno sel può pensare; né sarà da maravigliare fosse sì fiero che più volte ne stesse per lui medesimo per la gola appiccarsi: e così del danno e de la vergogna oppresso, rinchiuso in casa in continue lacrime dimorava. La innamorata coppia in Ischia lietissimi dimorando, per loro continuo uso la gentil giovene a ingravidar si venne; il che essendo al cavaliere carissimo, gli occorse volere una virtuosa liberalità usare, e ad un medesimo punto a Dio, al mondo, e a sé stesso sotisfare; e mandato per mezzo del signore di Ischia per lo padre di Carmosina e suo parentato, e quivi venuti, e dopo alcuni contratti insieme radunati, il cavaliere con grazia del Re e con comune contentezza e general piacere di tutti i napoletani onorevolmente per sua legittima sposa la pigliò: e del furtivo venereo gioco al matrimonial corso trasportati, repatriatisi in Napoli in sin che vissero con felicità goderono: e cosi il vecchio geloso avaro e insensato dopo il danno racconciò lo fatto.
MASUCCIO.
El felice fine de la ricontata novella non dubito che darà materia a molti con infinite lodi la sagacità de la giovene commendare, la quale vedendosi così vilmente tenuta e peggio che serva reputata, ella medesima un sì valoroso amante avesse procacciato, e pigliatosi de le robe del miserissimo padre più che di dote non le contingìa, e alfine con onore e contentezza divenirgli sposa. Le quali cose quantunque ad Amore più tosto e non a lei si potrebbeno attribuire, il quale le svegliò l’ingegno addormentato a farle con animosità grande seguire quanto lui medesimo insegnato le avea; nientedimeno non laudarò io, né ad alcuna donna consiglierei, che per grandi che fossero le promesse de l’amante, a ciò seguire trascorrer si lassasse; chè posto che alla nostra Carmosina bene le avvenesse, non sono però tutti gli animi degli uomini di una medesima qualità ed opinione; e quello che il cavaliere usò per sua innata bontà e singolar virtù, altri forse la dannariano per viziosa e trista, 8 e trovandosi a simili partiti a loro pareria avere fatta una gran prova quando alle loro amorose avessero il fiore di loro virginità rapito, e con quello insieme robarle, e doppo lasciarle schernite; e ancoraché ciascuna fosse secura che al suo proposito l’effetto li riuscisse, pur giudicarei che più sana parte fosse da seguire il contrario, però che di gran lunga è meglio ad altrui non si ponere a periglio dì posser perire, che presso il pericolo non periclitare. Ed oltre a ciò mi persuado niuno posser negare che l’istrema gelosìa con l’antica miseria insieme del vecchio mercatante non gli fosse stata cagione de la beffa dal gran danno accompagnata che lui ricevette; e se etiandio ne seguì il racconcio dell’onorevole fine, non fu perchè li reprobati vizii non avessero li loro venenosi effetti dimostrati, li quali sono tanti e sì orribili che pure con ammiratione restarò a dirne. E perchè nella seguente novella di materia assai disforme e contraria a la gelosia trattar mi conviene, di tal prava infermità alquanto ne lassarò il ragionare, e da madonna Avaritia non partendomi mostrarò un’abominevole operatione di un geloso avaro, per la quale si potrà comprendere quanto tal vizio occupa l’intelletto, e ogni virtù, onore e contentezza fura.
- ↑ Nella Storia Documentata della Scuola Medica di Salerno, opera lodata di Salvatore de Renzi, a pag. 583 è scritto così: «Giacomo Solimene. Il Pontano nel suo libro II Tumulorum fa una iscrizione ad un Giacomo Solimene medico, che dal manoscritto Pinto rilevasi essere stato figlio di Mazzeo Solimene di Salerno». Il De Renzi dice che Mazzeo viveva nel 1457, e nomina Antonio, Tommaso, Guglielmo, Niccolò tutti Solimene e tutti medici. Questo Giacomo lodato dal Pontano e da Masuccio come novello Esculapio, dovette essere un uomo assai riputato a quei tempi.
- ↑ I Mariconda furono nobili di Napoli e di Salerno. Andrea Mariconda fu Vice-Protonotario, ed il primo de’ giudici che fecero il processo e profferirono la condanna contro il Petrucci, il Coppola, e gli altri baroni della congiura.
- ↑ Bel nome greco. Cosi si chiamava anche la fanciulla di Jacopo Sannazzaro. Oggi non è più comune nelle nostre donne.
- ↑ Attitudine qui significa occasione atta, acconcia a fare ciò che tutti e due volevano.
- ↑ requesto, richiesto.
- ↑ Che vuol dire questo raminga non so: forse smarrita?
- ↑ Pesonanti nap. pigionali, inquilini.
- ↑ Viziosa e trista che? azione, che bisogna sottintendere.