Il Narciso/Atto IV
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ATTO QUARTO
Prato con fonte. Bosco in lontananza.
SCENA I
Narciso (uscendo dal bosco).
e la fatica e la stagion m’invita.
(si asside all’orlo della fonte per bere)
Ahi, che miri, o Narciso?
(contempla la sua immagine nell’acque)
Una fonte, o un incanto?
Due pupille o due fiamme?
Che volto è quel che in mezzo all’acque accende
e d’insolito ardor m’empie le vene?
Amor certo tu sei
o bellissimo volto! Io ti ravviso
all’arco delle ciglia, agli occhi ardenti.
Fuggi, o vile Narciso,
fuggi amor che t’insulta!
(mostra voler levarsi e partire, ma poi si arresta)
Oh Dio, qual forza
ti trattiene e i tuoi rischi
entro a que’ lumi a vagheggiar ti sforza?
Perdonatemi, pupille vaghe,
perdonatemi se giá vi adoro.
Mi sono dolci le vostre piaghe,
è gloria vostra se per voi moro.
Lascia, o bocca vezzosa,
tu che mi parli non intesa, lascia
(si accosta per baciarsi nell’acque)
Oli pietá che m’avviva!
Mi accosto, e tu ti accosti;
porgo il labbro, e tu il porgi;
ti bacio, e tu mi baci. Ahi, l’onda iniqua
su l’avida mia bocca il bacio rompe
e dolor tu ne mostri eguale al mio.
(si ritira sdegnoso)
Deh, stendi il braccio, ond’io ti tragga almeno
fuor dell’invida fonte, e in seno al prato
meglio poi ti vagheggi. (stende il braccio alla fonte)
Ecco cortese
tu mi stendi ’l tuo braccio, io stendo il mio;
io ti traggo e tu vieni.
Ahi, che l’onda frapposta
mi ti toglie di novo; (ritira il braccio sdegnoso e dolente)
e tu frattanto
che ridesti al mio riso, or piangi al pianto.
Ma di chi mi querelo?
Folle! quello son io, giá mi ravviso;
quella è la bocca mia, quelli i miei lumi.
Narciso ama Narciso!
Oh portento d’amore! Oh stolti voti!
Bramo ciò che possiedo
e povero mi rende il mio possesso.
Esca e focile, accendo il foco e n’ardo,
scopo insieme ed arcier, piago me stesso.
SCENA II
Eco e Narciso.
o a te spuntossi in qualche tronco il dardo,
bellissimo Narciso,
non può lasciarti orme di doglia in viso.
Narciso. Ahi, con qual fronte, o ninfa,
potrò piú sostener degli occhi tuoi
il rimprovero e l’ira? Entro a qual bosco
nasconderommi al mio rossor? Qual pace
mi daranno piú gli antri
e queste solitudini tranquille?
Eco. Del tuo duol...
Narciso. Deh, se m’ami,
tu compisci ’l mio duol; vibra il tuo ferro;
da man sí cara uscito
caro mi sará il colpo.
Eco. Che?...
Narciso. In questo cor venga il tuo stral pungente,
venga a punir pietoso
l’antico orgoglio e la viltá presente.
Eco. Ad altri colpi il tuo bel sen si serbi,
né segua la mia destra
lo stil degli occhi tuoi che piagan l’alme.
Quella morte tu chiedi
che a impetrarti io venia, col dir che t’amo.
Si, t’amo, o caro. Ecco il mio error. Castiga
l’ardir del core e quel del labbro insieme.
Vibra il colpo! che tardi?
Non lasciar che in ferirmi
invidi piú la destra a’ tuoi bei sguardi.
Narciso. Eco spietata, al mio cor tu aggiungi
la pietá che ho del tuo, pietá ch’è tarda,
poiché è tardo a scoprirsi anche il tuo amore.
Perché allor tu celarlo
che mi accoglievi affaticato in seno
e in dolce uffizio a me tergevi, amica,
col bianco velo i caldi umori in viso?
Forse allor che piú crudo avea il sembiante
avrei data al tuo amore
Eco. Come, amante? E di chi?
Narciso. Ninfa, in me vedi
un delirio di amor, mostro il piú strano
che concepir si possa.
Nell’amor tuo ti son rival. Mi struggo
per la beltá che t’arde.
Fece le nostre piaghe un sol sembiante;
tu per me solo avvampi,
sol di me stesso anch’io mi trovo amante.
Eco. Eh Narciso, Narciso!
Com’esser può?
Narciso. Cosí non fosse! Amore
cosí dovea punir la mia fierezza
e le vendette sue far col mio volto.
Eco. Getta il folle pensiero. Ama a chi puoi
donar gli amplessi tuoi;
se il merta la mia fé, mira i miei lumi;
ivi amor col suo dardo
ha il tuo sembiante impresso,
e se amar me non vuoi,
almeno entro a’ miei lumi ama te stesso.
Narciso. Se non si placa amor, cangiar non posso
di affetto e compiacerti.
Addio, m’è forza abbandonar la vista
di quella fonte ov’io bevei quel foco
che mi divora e sface.
Addio, mostro di amore,
torno alle selve e tu rimanti in pace.
Vado co’ miei martiri
a balze indomite
a selve inospite
vado a insegnar pietá.
Al suon de’ miei sospiri
il sasso gelido
il tronco rigido
forse sospirerá.
SCENA III
Eco.
Ho per rival chi adoro e son gelosa
che s’amino tra lor quegli occhi amati.
Ove s’intese egual miseria? Oh fonte,
fonte per me fatal, tu sola e prima
cagion del mio dolor, fonte odiosa!
A te rabbia di vento, ira di nembo
dal margine fiorito
svelga le amiche piante;
a te d’infausto augel stridulo canto
rompa i sacri silenzi, e sozzi armenti
turbin col piè fangoso
l’antico letto a’ tuoi tranquilli argenti.
Misera! io perdo i voti e tu frattanto
piú superba ne vai del mio gran pianto.
Per non farti insuperbir,
lascerò di lagrimar.
Dirò al labbro e dirò al cor
che, ascondendo il suo dolor,
cessi omai di sospirar.
SCENA IV
Portico pastorale nella casa di Tirreno.
Uranio e Cidippe.
Uranio. Ascoltami...
Cidippe. Pastor noioso.
Uranio. Ninfa crudel.
Cidippe. Lascia il cor nel suo riposo.
Cidippe. Perché in seguirmi...
Uranio. Perché in tradirmi...
Cidippe. Tanto ostinato?
Uranio. Tanto infedel?
Sí, partirò, spietata.
Partirò, poiché il vuoi. Queste sian, queste
del tuo Uranio fedel l’ultime voci.
Anderò fra le rupi e dirò a’ sassi:
«Al par di voi duro ha Cidippe il core».
Andrò fra boschi e mesto
ripeterò alle frondi: «Al par di voi
incostante è Cidippe».
Andrò alle fonti, ai fiumi,
e dirò: «Al par di voi
corron gonfi di pianto anche i miei lumi».
Sí, partirò, spietata!
Cidippe. E ancor non parti?
Uranio. Tempo verrá che ancor dirai dolente
all’avviso crudel della mia morte:
«Quanto fedel, tanto infelice amante,
doveasi miglior sorte
alla tua fede, all’amor tuo. Ricevi
questo inutile pianto,
questa tarda pietade, ombra adorata».
Poi verrai sconsolata
di lagrime e di fiori a sparger l’urna,
e su le fredde ceneri a lagnarti.
Sí, partirò, spietata!
Cidippe. E ancor non parti!
Uranio. Addio dunque, o crudel! Ma pria ch’io vada,
nessun meco piú resti
dell’incostanza tua, dell’amor tuo
troppo a torto scordato
testimonio fedel; prendi ’l tuo dardo
che in quel tempo felice a me donasti.
(dá il dardo a Cidippe ed ella attentamente lo guarda)
quando forse non basti
a uccidermi, a svenarmi il dolor mio.
Ecco, pago i tuoi voti,
ecco ch’io parto. Ingrata ninfa, addio!
(mostra partire e Cidippe il trattiene)
Cidippe. Ferma, Uranio!
Uranio. Che chiedi?
Cidippe. (Ohimè, qual vista!
qual rimembranza, qual orror mi turba!)
Uranio. (Seco ragiona.) (a Cidippe) Io parto, o ninfa.
Cidippe. Ah, ferma!
(Ei m’è fedele; io pur l’amai. Sprezzarlo
perché, infido mio core? in che ti offese?
Forse col troppo amarti?)
Uranio. (Mi guarda e impallidisce. Amor m’aita.)
Cidippe. (guardando Uranio) (Esci pur dal mio petto,
o Narciso spietato.
Perché deggio piú amarti?
Io ti adorai, tu mi sprezzasti ingrato.
Ritorni Uranio, onde il cacciai. Ritorni
a questo seno. Il genitor lo impone,
gratitudine il chiede.
Dove piú speri, o core,
ritrovar tanto amore e tanta fede?)
Uranio. Sofferir piú non posso.
Addio, ninfa!
Cidippe. Ove vai?
Uranio. Lascia ch’io parta.
Cidippe. Deh, ferma, ascolta. E tanto
sdegno improvviso a tanto amor succede?
Uranio. Troppo ti son noioso.
Cidippe. Ah, non so come
tu piú quello non sei.
Ferma!
Uranio. Lascio il tuo cor nel suo riposo.
Ti movan questi pianti. Ah no, che indegna
son della tua pietá dopo il mio fallo.
Parti; ma prima osserva
le tue vendette, Uranio, e il mio dolore.
Ecco, con questo dardo,
dardo per me fatal, mi passo il core.
Uranio. Che fai, Cidippe, oimè?
Cidippe. Partirai piú, crudele?
Uranio. Sì, partirò... ma partirò con te.
Cidippe. Mio Uranio!
Uranio. Mia Cidippe!
Cidippe. L’ire deponi?
Uranio. E tu l’amor ripigli?
Cidippe. Piú di prima ti adoro.
Uranio. È piú Narciso...?
Cidippe. Solo Uranio è il mio bene.
Uranio. Omai la destra...
Cidippe. ti dará fé di sposa.
Uranio. E non m’inganni?
Cidippe. Perché tu piú non tema
prendila, o mio diletto.
Mi credi?
Uranio. Or sì, mia cara,
l’ire depongo e mi ti stringo al petto.
Pur cede alla mia fede
l’orgoglio del tuo cor.
Nell’amor tuo diventa
mia gloria il mio dolor.
Cidippe. Dalla tua fede imparo
ad esser piú fedel;
tu mi sarai piú caro
ch’io non ti fui crudel.