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34 i - il narciso


che altra cura piú grave

non può lasciarti orme di doglia in viso.
Narciso. Ahi, con qual fronte, o ninfa,
potrò piú sostener degli occhi tuoi
il rimprovero e l’ira? Entro a qual bosco
nasconderommi al mio rossor? Qual pace
mi daranno piú gli antri
e queste solitudini tranquille?
Eco. Del tuo duol...
Narciso.   Deh, se m’ami,
tu compisci ’l mio duol; vibra il tuo ferro;
da man sí cara uscito
caro mi sará il colpo.
Eco. Che?...
Narciso.   In questo cor venga il tuo stral pungente,
venga a punir pietoso
l’antico orgoglio e la viltá presente.
Eco. Ad altri colpi il tuo bel sen si serbi,
né segua la mia destra
lo stil degli occhi tuoi che piagan l’alme.
Quella morte tu chiedi
che a impetrarti io venia, col dir che t’amo.
Si, t’amo, o caro. Ecco il mio error. Castiga
l’ardir del core e quel del labbro insieme.
Vibra il colpo! che tardi?
Non lasciar che in ferirmi
invidi piú la destra a’ tuoi bei sguardi.
Narciso. Eco spietata, al mio cor tu aggiungi
la pietá che ho del tuo, pietá ch’è tarda,
poiché è tardo a scoprirsi anche il tuo amore.
Perché allor tu celarlo
che mi accoglievi affaticato in seno
e in dolce uffizio a me tergevi, amica,
col bianco velo i caldi umori in viso?
Forse allor che piú crudo avea il sembiante
avrei data al tuo amore