Il Libro dei Re - Volume I/Il re Dahâk/II

Il re Dahâk - II. - Sogno di Dahâk

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Il re Dahâk - I Il re Dahâk - III
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II. Sogno di Dahâk.

(Ed. Calc. p. 28-31).


     115Ma poi che di vent’anni e venti ancora
Spazio restava alla sua vita in terra.
Vedi e pensa qual mai novella cosa
Trasse a Dahàk su l’empio capo Iddio.
     Nella notte profonda entro al regale
120Palagio egli dormìa con la leggiadra
Ernevàz al suo fianco. Ei vide allora
Dal palagio dei re fuori d’un tratto
Tre guerrieri apparir, due di provetta
Età, l’altro minor che in mezzo agli altri
125S’avanzava, e parea nobil cipresso
Nella statura maestosa ed alta,
Nel costume di prence. Erasi cinto
Qual re sovrano e avea regale incesso,

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Stringea nel pugno una possente clava
130Da un capo di giovenca in sulla cima.
Venne costui fino a Dahàk correndo
E cercando la pugna, e lo colpìa
Con quella clava in su la testa. Allora,
Quell’eroe che da meno era degli altri
135Negli anni suoi, dal capo al piè legavalo
D’un striscia di cuoio, ambe le mani
Con quel capestro gli avvincea pur anco
In nodi fermi, e un laccio gli appendea,
In segno d’ignominia, alla cervice.
140Del Demavènd così fin presso al monte
Abbandonato ei lo traeva, correndo,
Strascinandolo avvinto, e dietro a lui
Gittavasi la folla intimorita.
     Si contorcea nel sonno paventoso
145L’empio Dahàk, sì che parea che il core
Gli scoppiasse nel sen. Levò tal grido
Sognando ancor, che tutta quella vasta
Dimora ne tremò con le sue cento
Alte colonne. Giù balzâr dal loco
150Le vaghe ancelle, al grido impaurite
Dell’inclito signor; prima di tutte
Ernevàz l’inchiedea: Prence e signore,
Che t’avvenne ci narra, e alto secreto
Ne terreni noi. Tu che in tua vasta casa
155Dormi tranquillo, per la dolce vita
A che temi così? Sono dell’ampia
Terra le sette regïoni al tuo
Cenno sommesse, e gli uomini e le fiere
E i Devi ancora guardano gelosi
160I giorni tuoi. Tutti i viventi stanno
In tuo poter, dal cerchio della luna
Fino al mostro fatal che il mondo regge.
     E di rimando a le fanciulle il prence:
Di tal prodigio favellar concesso,

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165No, no, non è. Che se il racconto udito
Fosse per voi di ciò che vidi in sogno,
Tutta speranza si morrebbe in voi
Pel viver mio sì tristo. — E il tuo secreto,
Ernevàz rispondea, ben si conviene
170Tutto svelare a noi. Arte sottile
Usar potrem, che non è trista cosa
In terra, che riparo anco non abbia.
     E quei svelava del cor suo l’arcano
Patitamente, a le fanciulle sue
175Narrava il sogno. Ed Ernevàz, Cotesto
Inesplorato non lasciar, rispose
Al suo signor, ma cèrcavi riparo.
Ampio suggello del destino è il tuo
Trono felice, e per tua illustre sorte
180Risplende il mondo, chè quest’ampia terra
Sotto l’anello tuo di gran signore
Si sta soggetta, gli uomini e le fiere,
I volatori della selva, i Devi
E le alate Perì. Saggi e sapienti,
185E astrologi e indovini e sacerdoti
Da ogni parte raccogli, e ai sacerdoti
Ogni cosa disvela e alta ricerca
Fa di tuo arcano, verità con cura
Investigando. Vedi allor chi rechi
190La tua morte in sua man, nato mortale,
Devo o alata Perì. Quando scoperto
Alfin l’avrai, ponvi riparo e lascia
Ogni vano timor di chi t’è avverso.
     Piacque all’empio signor quel detto accorto,
195Qual pronunciato avea la bella e adorna
Compagna sua. Ma di corvino augello
Era la notte allor qual penna, oscura.
Alfin, sul monte si mostrò la chiara
Lampa del sol. Parea che per l’azzurra
200Vôlta del ciel di fulgidi rubini

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Il sol versasse un nembo. Il prence allora
Tutti raccolse da ogni parte i vati
E i sacerdoti, sapïenti e saggi,
Facondi in favellar, di vigil core;
205Da ogni parte ei li trasse alla regale
Dimora in fretta, e poi con mesto core
Il suo sogno narrò, visto da lui
Per l’atra notte. Ei li raccolse, e in loco
Secreto gli radunò; chiese che a sua
210Sventura e si cercasse e si vedesse
Forte un riparo. Orsù, disse, del vero
Fatemi certo, e all’alma mia sì fosca
Fino alla luce fate un varco! — E intanto
Ei gl’inchiedea d’ogni secreta cosa,
215Del mal, del ben della sua sorte infida,
E seguì poi: Come avverrà che giunga
Al termin suo del viver mio felice
Il lungo corso, e chi questo mio trono
E la corona avrà, l’aurea cintura
220Di prence e di signor?... Su, su, si sveli
Ogni secreto a me; se no, la vostra
Testa davver che perderete voi!
     Inaridìa de’ sacerdoti il labbro
A quegli accenti, e lor pallide gote
225Subitamente si bagnàr di pianto.
Se l’avvenir, dicean fra lor sommessi
Mormorando così, per noi si svela
Veramente qual è, grave è il periglio
Di nostra vita, nostra vita è grama
230E senza pregio. Se da noi non sente
Profetar l’avvenir, di nostra vita
Deporre ogni pensier meglio è per noi.
     Così passàr tre giorni, e niuno ardìa
Far manifesto apertamente il vero.
235S’adirò il quarto dì l’alma feroce
Dell’arabo signor contro que’ saggi

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Che mostrar gli dovean la via spedita.
Vivi, allora ei gridò, tutti da un alto
Tronco fra breve penderete voi,
240O l’avvenir, qual sia, mi svelerete.
     Chinàr la testa i sacerdoti. Il core
Lor si spezzò per lo spavento, e gli occhi
Di lagrime si empîr. Ma. tra que’ saggi
Di famoso saper, uno era quivi
245Di vigil core e sapïente e saggio
Del ver zelante e vigile ed esperto,
Zirèk di nome; e primo era di tutti
I sacerdoti e gli avanzava tutti
Per eletta virtù. Più forte in petto
250Ei sentì ’l core in quell’istante, e venne
Senza tremar, sciolta la lingua, innanzi
All’irato signor con fermi passi.
E intento disse: Sgombra omai dal core
Ogni vano pensier, chè per l’estremo
255Fato soltanto erompe un uom dall’alvo
Della sua madre. Oh! vedi? Altri possenti
Prima di te furon qui molti, e degni
Eran ben di tal seggio e illustre e grande.
Vider molto dolor, molta letizia
260Ebber nel mondo; e allor che termin giunse
Di lor vita longeva, elli morirono.
Ma tu, s’anche di ferro una barriera
Fossi davver, ti abbatterà pur sempre
Il ciel, nè qui starai. Sarà l’eccelso
265Trono in che siedi, dato a un altro, e quegli
Travolgerà la tua fortuna al suolo,
Sì lieta un dì. Sarà di quel possente
Fredùn il nome, e a questa terra sua
Come cielo ei sarà chiaro e felice.
270Ancor nato ei non è; della distretta,
Dell’angoscia mortal non è ancor giunto
Il vero tempo. Ma quand’ei fia nato

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Da madre eletta e di ogni grazia piena,
Come arbor crescerà che dolci frutti
275Recherà un giorno. Toccherà costui
Eccelso grado di valor, col capo
Rasenterà di questo ciel la vòlta,
E corona regal, trono e cintura
Ed elmo chiederà. Qual è un cipresso
280Che al ciel si estolle, tal sarà nell’alta
E nobile statura, e in su le spalle
Ferrata clava reggerà. Con questa,
Dal capo di giovenca in duro ferro,
Ecco! ei ti vibra su la fronte un colpo,
285Colpo fatal, carco ti trae di ceppi
Fuor di tua casa nell’aperta via.
     E l’empio re: Perchè tai ceppi? e quale,
Qual vendetta gli sta nel cor profondo,
Qual contro a me? — Rispose ardito il saggio:
290     Se fior di senno hai tu, pensa che niuno
Senza un’alta cagion danno s’attenta
Altrui di procacciar. Per la tua mano
Avrassi morte il padre suo. Per questa
Acerba doglia del suo cor trafitto,
295Fiero un desìo di sangue e di vendetta
Ei nell’anima avrà. Nobil giovenca
Sarà del generoso alma nutrice,
Birmàyeh a nome, e vittima innocente
Cadrà essa ancor per la tua mano, ed ei
300Per la vendetta sua trarrà una clava
Col capo di giovenca in su la cima.
     Dahàk poichè ciò udì, per tutto intendere
Schiuse gli orecchi e cadde dal suo trono
E ogni senso smarrì. Fuggìa quel saggio
305Lungi dal trono per timor d’offesa;
Ma quando ricovrò la mente il sire,
Il regal seggio ei risalì. Cercava
Di Fredùn per la terra indizio alcuno

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E in secreto e in palese, e sonni intanto
310Ei non avea, non cibo e non quiete,
E il chiaro dì per lui s’intenebrava.