Il Libro dei Re - Volume I/Il re Dahâk/I

Il re Dahâk - I. - Regno ingiusto di Dahâk

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I primi Re - VI Il re Dahâk - II
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I. Regno ingiusto di Dahâk.

(Ed. Calc. p. 27-28).


     Dal dì che re sedea sovra l’eccelso
Trono Dahàk, su lui passâr mille anni,
E in mille anni di regno al suo comando
Parve il fato piegar. Da ciò ben lungo
5Tempo trascorse poi, nel qual disparve
D’uomini sapïenti ogni costume,
Libera andò voglia malvagia e rea
D’uomini stolti, addetti ai Devi. Abietta
E vil cosa sembrò saviezza allora;
10Magìa venne in onor; giustizia ascosa,
Aperta e sciolta vïolenza. I Devi
Stendean la mano ad opre infami e ree
Liberamente, nè parola v’era
Di ben, fuor che in segreto. Or, dalle case
15Dell’antico Gemshìd fuori fùr tratte
Due vergini fanciulle. Esse tremavano
Come foglia di salce alla tempesta.
Eran sorelle di Gemshìd, corona
D’ogni donna regal. Di lor, che il volto
20Avean coperto di un vel casto e puro,
Shehrnàz era la prima, e la sorella
Ernevàz era, come luna adorna
In ciel sereno. E le traean malvagi
Sgherri a le stanze di Dahàk riposte,
25E a lui che due serpenti in su le spalle

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Avea contorti, lasciavanle in preda
Perfidamente. Ogni opra rea costui
Lor disvelava, e la magìa, gl’incanti
Loro apprendea con ogni frode e inganno,
30Chè tal del tristo era la legge, e questa
Ampia terra per lui tanto era vile
Quanto di lieve cera un picciol globo.
Egli nulla sapea fuor che maligne
Arti bandir, nulla sapea che morte
35Non fosse o incendio o barbara rapina.
     Avvenne poi che si traean per lui
Due giovinetti ad ogni vespro (un servo,
Disceso l’altro d’un’eroica stirpe)
Dai regi scalchi alle sue case, e questo
40Era rimedio al suo penar; che tosto
Il tristo gli uccidea, poscia il cerèbro
Fuor ne traea con arte, e un tristo cibo
Alle serpi apprestava, orride e negre.
Ma in que’ giorni vivean, d’inclita e regia
45Stirpe discesi, due gagliardi, illustri
Per molto senno e per opre leggiadre.
Irmaìl dolce e pio l’un s’appellava,
E l’altro Kermaìl, saggio e prudente.
E avvenne ch’elli un dì sedeano insieme
50A favellar de’ casi intravvenuti,
Patitamente, e dell’opre nefande
Del lor signor, del popolo infelice,
Del costume di lui feroce e reo
Nel ferino alimento. E un disse allora:
55Or sì, quai regi scalchi, andar conviene
Di tal prence all’ostello e una sottile
Arte trovar, con molto studio e cura
Vi ripensando, per che almen dei due
Che ogni giorno a morir sulle regali
60Porte son tratti, uno per noi si salvi.
     Così partìan, così l’arte dei cibi

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Apprendean con gran studio, e gli alimenti
Con certa norma in preparar fùr dotti.
Venner con alma intenta ed il governo
65Preser così della regal cucina,
E allor che tempo giunse ove innocente
Sangue scorrer dovea, quando la dolce
Vita dovean troncar delle infelici
Vittime i regi scalchi, a lor fùr tratti
70Da crudi sgherri con percosse e strepiti
Due giovinetti al pie; che anzi boccone
Li gittarono al suol. Smarrì a tal vista
L’alma de’ scalchi intenerita, e lagrime
Spuntâr sul ciglio, e fu desìo magnanimo
75Di vendetta in ciascuno. Essi guardaronsi
Così l’un l’altro, questo e quello, e un alto
Disdegno ebbero in cor per l’opre ingiuste
Di quel signor dell’ampia terra. E allora,
Poi che altra via non era aperta e nota,
80Uno ucciser dei due, trasser dal capo
D’un capretto il cerèbro e alle cervella
Di quel preclaro il mescolàr già spento.
Ma l’altro ebbesi in don la cara vita,
E, Vedi, gli dicean compunti e mesti
85Gli scalchi, vedi omai se in parte ascosa
Ti è dato soggiornar. Bada che loco
Abitato non sia quella ove andrai
Terra lontana, chè deserti solo
Inospiti e selvaggi ed alti monti
90Lochi son destinati al tuo soggiorno.
     Così cerèbro vil di agnelle o zebe
D’uman cerèbro venne in loco, e quelli
Un cibo ne apprestavano commisto
Agli orridi serpenti, onde ben tosto,
95Ad ogni luna, trenta giovinetti
In dono avean da lor la cara vita.
E allor che ben duecento eran raccolti,

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E niun sapea lor nomi, i regi scalchi
D’alquanti capri e di lascive agnelle
100Dono lor fean, poscia additavan loro
Lochi deserti e abbandonati e vasti.
Venner da questi che fuggìan da morte,
I Curdi bellicosi, essi che lochi
Non aman colti e ben difesi ostelli,
105Ma vivon solitari entro a lor tende
Né timore han di Dio nel tristo core.
     D’allora in poi dell’empio re il costume
Sì perverso si fé’, che ove improvvisa
Brama gli entrasse in cor, qualunque vaga
110Fanciulla intatta, d’illibato nome,
Incontrastato a’ ginecei traea,
Schiava ei la fea nel suo cospetto. In lui
Pregio non era, non costume o fede,
Non virtù che di re degna si fosse.